lunedì 2 febbraio 2009

TESTO DELLA RELAZIONE LETTA
DAL PRESIDENTE DELLA CORTE DI APPELLO


Introduzione

Autorità, signore e signori,

anche a nome di tutti i magistrati del distretto, che ho il privilegio qui di rappresentare, vi porgo il più cordiale saluto ed un vivo ringraziamento per la vostra partecipazione a questa cerimonia.
Un rispettoso e riconoscente saluto, com’è doveroso, consentitemi di inviare al Presidente della Repubblica, rappresentante dell’unità nazionale e geloso custode della Costituzione che il popolo si è data: a lui va la gratitudine dei magistrati italiani per l’attenzione che egli riserva ai problemi della giustizia e per la guida morale che riesce ad essere per tutti noi.
Ancora un saluto, consentitemi, a S.E. mons. Francesco Ruppi, arcivescovo metropolita di Lecce, che per ragioni di salute non è presente a questa cerimonia, alla quale teneva tanto perché questa cerimonia si svolge quasi in coincidenza col ventennale del suo magistero episcopale in Lecce che nel corso dell’anno lascerà.

Ed un ricordo poi, prima di iniziare, a tutti quelli con cui abbiamo lavorato insieme e che ci hanno lasciato nel corso dell’anno, alcuni prematuramente (mi si stringe il cuore solo a ricordarli), altri dopo anni di specchiata attività professionale, fedeli ad un ideale di giustizia che tutti ci dovrebbe accomunare: ricordo per tutti l’avv. Pino Signore e lo vedo qui presente, attento e silenzioso, come tante volte in udienza.

Noi magistrati siamo consapevoli dell’importanza del nostro ruolo all’interno della società e del nostro dovere di fare quanto da noi dipende per esserne all’altezza e tuttavia siamo altrettanto consapevoli che la nostra credibilità va sempre più diminuendo.
Molti dicono per alcuni censurabili comportamenti di alcuni di noi -ai quali peraltro l’istituzione non sempre sa reagire tempestivamente ed efficacemente- e ciò, almeno in parte, è sicuramente vero e non mi riferisco a quelle vicende che tengono banco sulla stampa nazionale ma a quei comportamenti minuti di tutti i giorni che proprio per la loro quotidianità riescono ad offuscare la nostra immagine.
Altri dicono invece per la nostra incapacità di comunicare con la società civile, per far comprendere le vere ragioni dei continui attacchi alla magistratura ad ogni livello, prima ai pubblici ministeri, poi anche ai giudici, ora perfino alla Corte di Cassazione (alla quale -la responsabilità è anche vostra signori giornalisti- si attribuisce ogni tanto qualche grossolana sciocchezza per poterla più facilmente deridere…) e di recente alla Corte Costituzionale;
… per la nostra incapacità di far comprendere che questi attacchi potrebbero forse trovare spiegazione nel rifiuto di qualsiasi controllo di legalità sul modo in cui si gestisce il potere, obiettivo che è più facile raggiungere, naturalmente, discreditando chi quei controlli pretende di esercitare;
…per la nostra incapacità di far capire di chi è la vera responsabilità delle incredibili inefficienze dell’apparato giudiziario a cui in definitiva è legata la nostra perdita di credibilità.
Sta di fatto che se anche i sondaggi dicono il contrario e ci danno in vantaggio di fronte ad altre istituzioni (ma vacci a credere ai sondaggi…) e ci collocano dopo solo il Presidente della Repubblica, le forze dell’ordine (che sono quasi sempre al primo posto, e ciò ci dovrebbe far riflettere), la Chiesa… la nostra credibilità è oggi ai minimi termini e anzi siamo ormai circondati da sentimenti di vera e propria insofferenza, quando pretendiamo di indicare responsabilità altrui sminuendo invece le nostre.
Ed è triste dover constatare che noi giudici oggi siamo più temuti dai cittadini che non rispettati ed anche per questo ci dobbiamo sforzare di cambiare e “possiamo cambiare –come si legge in un recente documento della nostra associazione- solo se siamo capaci di rinnovarci al nostro interno perché è nostro dovere e responsabilità assicurare ai cittadini una magistratura capace, motivata e professionalmente adeguata”.
Noi vogliamo che i cittadini tornino a credere in noi e noi vogliamo tornare a credere nel nostro lavoro.
E’ allora una fortuna davvero che tanti di voi siate qui oggi per ascoltare che abbiamo ancora da dire; abbiamo anche la presunzione di credere che voi siete qui oggi non solo per adempiere distrattamente un obbligo legato al vostro ruolo istituzionale ma per un effettivo bisogno di essere informati ed anche per farci conoscere nell’immediatezza in che direzione chiedete a noi di impegnarci per migliorare la situazione di grave inefficienza, alla quale stiamo facendo abitudine, come a qualcosa di ineluttabile, che è sempre stato e sempre sarà.
Sennonché mi rendo conto a questo punto che tutto quello che c’era da dire è stato già detto e mi chiedo fino a che punto può essere utile ripeterlo: ma tacere e rinunciare alla discussione significherebbe certificare definitivamente la nostra sconfitta e la sconfitta della magistratura, credetemi, è una sconfitta per la democrazia e per il nostro futuro di uomini liberi.

E’ la terza volta che io svolgo questo compito, di relazionare cioè sull’andamento della giustizia nell’anno decorso e sulle prospettive che si pongono per il futuro; due volte ad Ancona, in un contesto socio-economico del tutto diverso e oggi per la terza volta qui a Lecce dove sono tornato, come mi auguravo ed anche prima del tempo, per qualche fortunata –per me- coincidenza.
E assolvo questo compito oggi con grande emozione, che mi deriva dal fatto di parlare davanti a persone tanto qualificate, davanti ad avvocati di eccezionale levatura di cui sono abituato ad ascoltare le argomentate arringhe, che oggi mi ascoltano nel mio dire disadorno e da quel che io dico mi giudicano e con me giudicano la magistratura di questo distretto.

La situazione attuale
Due anni fa ad Ancona, nella stessa occasione, il contesto politico generale suscitava in tutti la condivisa speranza che sarebbero state finalmente messe da parte le polemiche e le contrapposizioni e che in unità di intenti, come tante volte aveva raccomandato il Presidente della Repubblica, si sarebbe messo mano finalmente ad una complessiva riforma della giustizia della cui necessità si era preso apertamente atto. Ed in effetti furono varate una serie di iniziative legislative che per la verità in quella stagione di risse verbali servirono soltanto a far riaccendere le polemiche tra chi, da un lato, le giudicava inutili e addirittura pericolose, chi dall’altro le riteneva ancora timide. insufficienti ed inadeguate.
Forse se la legislatura non si fosse traumaticamente conclusa (col contributo anche di qualche giudice, di sicuro inconsapevole) a qualche risultato forse si sarebbe arrivati ma poi tutto tacque e di quel fervore (si fa per dire) rimase ben poco.


Oggi (dopo i fatti di Catanzaro) si riparla dell’urgenza di una riforma complessiva della giustizia, “dell’urgenza di affrontare e risolvere problemi di equilibrio istituzionale, nei rapporti tra politica e magistratura che si trascinano da tempo; dell’urgenza di riforme, volte a scongiurare eccessi di discrezionalità, rischi di arbitrio e conflitti interni alla magistratura nell’esercizio della funzione giudiziaria; dell’urgenza di una riforma che riguardi anche la migliore individuazione e il più corretto assolvimento dei compiti assegnati al Consiglio Superiore della Magistratura dalla Carta costituzionale e al tempo stesso di fermo richiamo a criteri di comportamento come quelli relativi al riconoscimento effettivo dei poteri spettanti ai capi degli uffici”.
Ed è ancora un volta l’alto monito del Presidente della Repubblica, di cui ho riportato le parole, a richiamare tutti alle proprie responsabilità, invitando tutti ad “ascoltare –sono ancora parole sue- non l’appello del Capo dello Stato, ma quel che si attende il paese perché sa di averne bisogno”.
A noi magistrati il Presidente della Repubblica raccomanda in particolare un “costume di serenità, riservatezza ed equilibrio, nel rigoroso rispetto delle regole, che non può essere sacrificato all’assunzione di missioni improprie e a smanie di protagonismo personale”.
Ed è quello che anch’io –molto più modestamente- dico da tempo: perché a parte le smanie di protagonismo personale, che vanno confinate nel patologico vero e proprio, nessuno può credere che tutto possa ridursi a problema di giustizia nel senso che ogni problema nazionale, possa giungere a soluzione attraverso la via giudiziaria e l’intervento del giudice; nessuno può illudersi che il giudice possa essere l’onnipresente custode della vita sociale, economica e politica supplendo all’inerzia delle altre istituzioni: io non credo e non ho mai creduto, a differenza di chi se ne fa ora il più accanito dei critici, nel cosiddetto ruolo di supplenza dei giudici; credo invece che il giudice debba essere in grado di interpretare pienamente il ruolo che la Costituzione e la coscienza moderna gli assegna, di farsi cioè tutore della legalità ad ogni livello e dei diritti, specie dei più deboli e dei meno garantiti, per contribuire al raggiungimento dell’obiettivo di uguaglianza sostanziale tra i cittadini che l’art. 3 della Costituzione assegna alla Repubblica nel suo complesso.
Un ruolo, credetemi, che non comporta nessuna assunzione di missione impropria ma che, se correttamente praticato, non è davvero di poco conto, che offre mille possibilità di intervento, che dev’essere svolto però nel pieno rispetto non solo formale ma anche sostanziale della legge, come a maggior ragione dai magistrati si deve pretendere.
E d’altra parte sono proprie le associazioni dei magistrati a proclamare che “prima esigenza assolutamente indefettibile è la costante rigorosa applicazione della legge ed il rispetto del sistema procedurale, in ogni azione giudiziaria, specialmente in quelle che, anche a prescindere dalla volontà dei singoli magistrati, coinvolgono valori ed interessi di rilevanza pubblica ed istituzionale. Soprattutto in tali contesti nessuno scostamento dalle regole, consapevole o superficiale che sia, può essere mai giustificato, perché determina comunque la perdita di autorevolezza ed inquina il valore ed il senso costituzionale dell’indipendenza, non privilegio di potere, quale che sia, per i singoli ma strumento finalizzato ad una giurisdizione uguale per tutti, efficace, secondo le regole ed in tempi ragionevoli… senza immunità ed esenzioni per alcuno”.
Non è più accettabile allora che si avviino indagini giudiziarie ad ampio raggio, che non giungono mai a termine, lasciando un alone di sospetto sugli indagati e rinviando nel tempo la eventuale verifica dibattimentale, come se un termine di durata delle indagini non fosse già nella legge, dato che quasi sempre viene prorogato dai gip a semplice richiesta, indagini volte non alla ricerca delle prove di un reato già denunciato ma alla ricerca di reati in genere (vedi le intercettazioni a strascico di cui si parla in questi giorni).
Noi giudici dobbiamo essere consapevoli allora di questa diffidenza che c’è nei nostri riguardi e trarne le conseguenze.
Un impegno che qui ed ora abbiamo il dovere di assumerci.

Le riforme della precedente legislatura
Che cosa è rimasto allora delle riforme di due anni fa? Due sono i punti di arrivo a mio avviso importanti, le due riforme ordinamentali che riguardano la temporaneità degli uffici direttivi e la partecipazione degli avvocati, attraverso la loro presenza nei Consigli Giudiziari, alla gestione degli uffici.
Sono a ben vedere due riforme di enorme rilevanza se pure per il momento hanno creato solo problemi ma che pongono le premesse, se ognuno naturalmente saprà interpretare il suo ruolo, di un effettivo processo di rinnovamento.
Poi, è naturale, occorrerà, se si vuol far funzionare veramente la macchina giudiziaria, dotarla di mezzi adeguati, attuare altre riforme legislative per semplificare le procedure, provvedere ad una distribuzione più razionale degli uffici sul territorio, eliminare sacche incredibili di inefficienza, ristabilire un costume giudiziario rispettoso della dignità della funzione e dei ruoli rispettivi, ispirato a correttezza nei rapporti interpersonali, al rifiuto di ogni scorciatoia e di ogni furbizia, ad una maggiore lealtà cui possa corrispondere un maggiore affidamento verso l’altro…. Ma intanto si sono create le premesse perché sia pure lentamente qualcosa cambi.

La temporaneità degli uffici direttivi
Fino allo scorso anno il magistrato, che riusciva ad ottenere per meriti propri o, come poteva anche accadere e purtroppo accadrà ancora, per una serie di fortunate coincidenze, un ufficio direttivo, sapeva che l’avrebbe potuto mantenere fino al pensionamento, salvo a conquistare nel frattempo un ufficio di grado più elevato.
Non mi soffermo sugli inconvenienti che questo sistema aveva prodotto: tutti abbiamo conosciuto capi di uffici giudiziari anche importanti poco impegnati, sempre più demotivati specie mano che mano che andavano avanti negli anni, del tutto disimpegnati in prossimità del pensionamento, tanto più nel periodo in cui, caduto in crisi il principio gerarchico, i capi per primi si erano convinti (ma era una posizione di comodo) che non avevano alcun potere né i mezzi necessari per governare gli uffici.
Noi magistrati per primi avevamo denunciato questa situazione, proponendo che l’incarico direttivo divenisse temporaneo in modo da rendere possibile, ad ogni scadenza, una verifica della piena attitudine del magistrato all’incarico ricoperto e se del caso la sua sostituzione.
Nessuno perciò vi fece caso quando la regola della temporaneità venne inserita nel nuovo ordinamento giudiziario con effetto retroattivo (contestatissimo poi dai tanti interessati) e, ai tempi del ministro Castelli, tutti impegnati nella discussione sui massimi sistemi, nessuno si accorse che il 4 gennaio del 2008 quasi 400 tra magistrati direttivi e semidirettivi di altrettanti uffici di colpo sarebbero cessati dalle loro funzioni e di conseguenza 400 uffici da un giorno all’altro sarebbero stati privati della loro direzione. All’ultimo momento come si usa in Italia si è rimediato con decreto legge che ha previsto una proroga di sei mesi per dar tempo al CSM di provvedere e di fatto nei sei mesi successivi e tuttora il CSM ha fatto salti mortali per rimediare ad una situazione che si profilava di estrema gravità. Ve ne parlerà credo il rappresentante del CSM quando prenderà la parola.
In concreto abbiamo trascorso quest’anno in attesa che la gran parte degli uffici trovassero un assestamento organizzativo: una cosa da niente come potete immaginare per uffici che già prima arrancavano per conto loro. Ancora oggi sono interessati al problema due dei tre tribunali del distretto, Lecce e Brindisi, mentre nel terzo –Taranto- solo da un mese si è insediato il nuovo presidente, il dr Morelli al quale colgo l’occasione per rivolgere un augurio di buon lavoro… che ce n’è tanto bisogno, non di auguri ma di buon lavoro…. Sono stati designati ma non hanno ancora preso servizio i presidenti dei tribunali per i minorenni di Lecce e di Taranto; non sono stati neppure designati il presidente del tribunale di sorveglianza di Taranto e il Procuratore della Repubblica di Brindisi, solo da pochissimo hanno preso servizio i procuratori della repubblica di Lecce e di Taranto e i procuratori minorili delle stesse città.
Ma ora, superata in parte la bufera (non elenco neppure i posti semidirettivi di procuratore aggiunto o di presidente di sezione ancora scoperti) siamo in condizioni di ripartire e dobbiamo, cari colleghi, rimboccarci le maniche senza stare in attesa di qualche evento miracoloso, rendendoci conto che qui ed ora, con i mezzi di cui disponiamo e nelle difficoltà in cui ci troviamo, dovremo dar prova di sapere fare fronte alla situazione, perché –vedete- quella di assumere la direzione di un ufficio è sicuramente una giusta aspirazione per tutti noi ma non è certamente un obbligo di legge e, se abbiamo chiesto ed ottenuto la direzione di un ufficio, dobbiamo sapere che ci siamo assunta la responsabilità di esserne all’altezza, dando l’esempio, lavorando più degli altri, si lavorando più degli altri, rendendoci conto infine che non sarà più possibile continuare a chiedere senza dare.
Questo è l’impegno che oggi ci viene richiesto e questo è l’impegno che in un’occasione come questa dobbiamo pubblicamente assumerci, consapevoli anzi auspicando che non sarà più possibile sottrarci alle responsabilità che ce ne derivano, adducendo le difficoltà in cui lavoriamo, consapevoli anche che nulla possiamo attenderci dalla politica e dal sistema paese.
Ed a questo impegno non potremo sottrarci: non è un caso che, con riferimento ad una grave recente vicenda, in cui si è registrato un aspro conflitto tra due uffici di procura e in relazione alla quale perfino il Presidente della Repubblica ha dovuto spiegare il suo preoccupato intervento, la più grave misura è stata adottata nei riguardi di un capo di ufficio per omessa vigilanza sulle condotte dei magistrati a lui sottordinati rispetto alle misure adottate nei riguardi dei magistrati che di tali condotte si sarebbero resi responsabili.

La presenza degli avvocati nei consigli giudiziari
Solo alcuni di noi magistrati hanno visto con favore questa parte della riforma e molti considerano l’ingresso degli avvocati nei consigli giudiziari una vera e propria intrusione, tanto più che loro sono estremamente gelosi della indipendenza del loro ordine.
Le ragioni per cui molti di noi sono contrari derivano dalla preoccupazione che gli avvocati, potendo in qualche modo interferire sullo status dei magistrati, possano disporre nei loro confronti di una potente arma di pressione che potrebbero usare nel loro personale interesse.
E però, una volta previsto che la componente avvocati non partecipa alle deliberazioni riguardanti lo status e le valutazioni di professionalità dei magistrati, questo pericolo non esiste o è estremamente ridotto ed è ampiamente compensato dai possibili vantaggi.
E dunque, attraverso la loro presenza nei consigli giudiziari, gli avvocati partecipano a pieno titolo alla gestione degli uffici, possono prendere iniziative e comunque interloquiscono su tutto ciò che riguarda il loro efficiente funzionamento.
Non è davvero cosa da poco se pensate che, intervenendo per esempio sul progetto organizzativo di un ufficio, gli avvocati possono indirettamente fare emergere insufficienze nella direzione dell’ufficio, inadeguatezze ed incapacità dei giudici addetti ai settori di servizio giudicati inefficienti e così via.
Per ora, ma siamo agli inizi e per tutto agli inizi c’è bisogno di un periodo di rodaggio, la partecipazione degli avvocati ai lavori del Consiglio giudiziario è stata piuttosto timida; in un certo senso hanno preferito stare a guardare per rendersi conto della situazione, un atteggiamento in definitiva di apprezzabile prudenza che fuga quella preoccupazione di intrusione; finora però non ci siamo occupati di cose importanti, vedremo cosa avverrà quando a breve dovremo occuparci di tabelle di organizzazione degli uffici.
Ma l’importante è che si sia realizzata questa nostra apertura all’esterno, che si siano create le premesse di un dialogo che non potrà non essere foriero di utili risultati.
E’ su questo terreno, signori avvocati, che preferiamo confrontarci con voi e per questo non comprendiamo le ragioni del vostro ultimo sciopero, che a parte gli obiettivi che abbiamo in comune con voi (contrastare il fenomeno dei magistrati fuori ruolo, assicurare effettività al principio di obbligatorietà dell’azione penale, puntare ad una seria riforma dei codici, contrastare la legislazione di emergenza nella mala interpretata esigenza di sicurezza dei cittadini e che finora non ha prodotto nulla di positivo), per il resto serve solo a creare divisioni e ad aggravare una situazione giudiziaria di per se difficile.
Per quanto ci riguarda e credo di poter parlare anche a nome del Procuratore generale, confermiamo l’impegno, come stiamo già facendo da tempo, ad un’azione comune per cercare assieme a voi i rimedi possibili ad ogni situazione di inefficienza, reprimendo anche, quando occorre, condotte censurabili da chiunque tenute che nuocciono alla serenità ed al rispetto dei rapporti reciproci.
Ma altrettanto è chiaro chiediamo anche a voi.

L’andamento della giustizia nel distretto di Lecce
Dopo questa lunga premessa è venuto il momento di parlare della situazione degli uffici giudiziari del distretto, dell’andamento in generale della giustizia, di quali siano le prospettive nel prossimo anno… ma i limiti di tempo che mi tocca rispettare, come poi chiederò anche a voi nel dibattito che seguirà, mi impongono una estrema sintesi.
La mia relazione scritta che vi è stata distribuita è invece fin troppo analitica e ricca di numeri e dati statistici, un vero supplizio per voi se ve la dovessi leggere per intero. E lascio a voi quindi la scelta se e quando leggerla: se la leggerete, se anche vi soffermerete sulle tavole di statistica elaborate dalla nostra validissima funzionaria preposta a questo servizio, qualche informazione interessante forse la troverete. Ed è solo per sollecitare la vostra curiosità che ne farò una rapidissima sintesi anche per non far torto a chi, le forze dell’ordine in primis ma anche il personale di cancelleria (e non parlo dei giudici) merita che del suo eccezionale impegno, profuso in una situazione di difficoltà, sia fatta quanto meno una rapida menzione.

La situazione della giustizia in generale
In tutti gli uffici del distretto di Lecce, salvo qualche trascurabile differenza –e non è una novità, ne ha parlato con toni allarmanti anche il Ministro nella sua relazione di ieri con riferimento naturalmente alla situazione nazionale- si è verificato durante l’anno decorso un sensibile aumento dei procedimenti sopravvenuti in tutti i settori della giustizia.
Un aumento non da poco, un esempio per tutti: alla corte di appello, sezione distaccata di Taranto compresa, l’aumento delle cause civili è stato dell’8,4 per cento…. che fortuna se aumentasse il fatturato dell’industria nella stessa misura… ma è pura fantasia…
Nonostante le persistenti difficoltà è anche aumentato il numero dei procedimenti definiti, grazie ad un maggiore impegno ed a qualche accorgimento organizzativo ma il numero dei procedimenti definiti, se pure maggiore di quello del precedente e corrispondente periodo, è sempre inferiore al numero dei procedimenti sopravvenuti, sicché il saldo per così dire è sempre negativo e va ad aggiungersi al numero dei procedimenti pendenti che inesorabilmente cresce.

I tempi di definizione dei processi
Il risultato di questo scostamento è un allungamento dei tempi di definizione dei procedimenti che già in passato aveva raggiunto livelli impensabili ed è perciò assai preoccupante sia perché si risolve in una denegata giustizia sia per le conseguenze patrimoniali che ne derivano all’erario, sia infine per le conseguenze negative e finora non sufficientemente indagate che possono derivarne sul sistema economico nazionale.
Limitando l’esame ai giudizi di appello, va rilevato che, per i giudizi penali, la durata media è stata di giorni 438 nel 2005, è giunto a 551 nel 2007. Per i giudizi civili invece –e sempre con riferimento al grado di appello- la durata media è stata sempre crescente, di 818 giorni nel 2005, di 903 giorni nel 2006, di 937 giorni nel 2007, di 868 giorni nel 2008 mentre in materia di lavoro e di previdenza la durata media è stata di giorni 398 nel 2005, quasi il doppio 635 nel 2008.
Se si considera che in primo grado i processi hanno una durata media di gran lunga superiore e che poi bisogna aggiungere il tempo di durata dell’eventuale giudizio di legittimità, non è difficile pervenire alla conclusione che la durata media dei processi sia penali che civili o di lavoro è assai superiore a quella che si ritiene la durata ragionevole di un processo.
Le conseguenze
E di fatti da un lato –e per quanto riguarda i processi penali- sempre rilevante è il numero delle prescrizioni, dei reati cioè per i quali, nonostante l’enorme dispendio di energie processuali, la decisione non giunge in tempo ad evitarne l’estinzione; per altro verso sempre crescente è l’ammontare degli esborsi che lo Stato corrisponde a titolo di indennizzo alle parti per la violazione del termine ragionevole di durata di processi.
Gli indennizzi erogati alle parti per l’eccessiva durata dei processi ammontavano nel 2006 per quanto riguarda questo distretto –che si occupa dei ritardi verificatisi nel distretto di Bari- ad euro 330.000 ma nei primi dieci mesi dell’anno decorso questo importo era arrivato ad euro 580.322,07 a cui si aggiunge un debito dell’Amministrazione per indennizzi, già liquidati e non pagati per mancanza di disponibilità, di euro 1.600.000,00, una cifra enorme che, se diversamente utilizzata, basterebbe a risolvere molti problemi operativi dell’amministrazione giudiziaria.
Per i nostri ritardi invece –quelli cioè riguardanti uffici giudiziari del nostro distretto- la competente corte di appello di Potenza ha liquidato per l’anno 2006 euro 217.730,77, per l’anno 2007 euro 450.400,89, per l’anno 2008 euro 463.858,92; vi sono liquidazioni in sospeso –per cui mancano i fondi- per complessivi euro 979.337,46.
Vuol dire che noi andiamo meglio di Bari ma c’è poco da star contenti.
Le cause della crisi
Ben note –tanto che può essere superfluo ritornare sull’argomento- sono le cause di tale fenomeno, riconducibili innanzitutto dai maggiori ambiti della giurisdizione e alla farraginosità dei procedimenti caratterizzati da garanzie solo formali che, senza assicurare sul piano sostanziale, alcuna effettiva esigenza di tutela, si prestano a strumentalizzazioni di vario tipo sempre finalizzate a ritardare la definizione dei procedimenti, a tutto beneficio di chi non vi ha interesse cioè in definitiva di chi ha torto e pretende di mettere sempre e ripetutamente in discussione una decisione a se sfavorevole.
Di qui la necessità di interventi di carattere strutturale (e ben poco avrebbero potuto incidere quelli anticipati nella precedente legislatura, poi comunque abbandonati dalla nuova maggioranza, che ha allo studio interventi di tipo diverso sui quali allo stato non è possibile pronunciarsi non essendo disponibili informazioni adeguate).



Gli intereventi necessari e più urgenti
Per esempio è necessario cambiare radicalmente tutto il sistema delle comunicazioni tra uffici giudiziari ed utenti del servizio, che dovrà essere improntato alla stessa speditezza ed efficienza con la quale si svolgono le comunicazioni in qualunque struttura civile moderna. Non si comprende la ragione per la quale importantissime comunicazioni tra governi, banche, società multinazionali possano giovarsi degli ordinari sistemi informatici, mentre solo la giustizia debba ancora servirsi di avvisi, notifiche e quant’altro possa ritardare, confondere ed aumentare il peso della carta nei nostri fascicoli..
Il timido tentativo di introdurre la possibilità di eseguire tutte le notificazioni successive alla prima presso il difensore di fiducia quale domiciliatario ex lege e che garantiva una semplificazione della procedura di notificazione degli atti prevenendo comportamenti volontariamente dilatori dell’imputato è abortito sul nascere perché la possibilità riconosciuta al difensore di dichiarare immediatamente all’autorità che procede di non accettare la notificazione e la frequenza con cui i difensori si sono avvalsi di tale facoltà ha di fatto reso nulla l’operatività della norma vanificandone le finalità.
Assai efficacemente scrive a riguardo il Presidente del Tribunale di Brindisi che “tanto i magistrati che gli avvocati, al di là dei buoni propositi esternati a parole, mostrano nel concreto di non assumere l’impegno di pervenire in tempi rapidi alla definizione dei processi e di essere per converso pervicacemente occupati nel trasformare lo svolgimento del processo in un’estenuante corsa ad ostacoli, caratterizzata da cavillosa dialettica fine a se stessa”.

Non va trascurato tuttavia che all’origine di un così appariscente aumento del contenzioso sia civile che penale vi sono vari fattori, legati alle condizioni dell’economia, all’incremento degli affari ed alla complessità e rapidità di svolgimento dei rapporti economico-sociali, che hanno determinato un ampliamento impensabile degli spazi della giurisdizione, poiché oggi si richiede al giudice di intervenire in ambiti che prima gli erano preclusi ed è davvero strana questa smisurata crescita della domanda di giustizia a fronte della gravissima crisi che colpisce l’organizzazione giudiziaria mentre non è possibile ridurre tutto ad un problema di giustizia perché l’organizzazione giudiziaria, specie nello stato in cui si trova, non può farvi fronte da sola.

La mancanza di mezzi e risorse
Alla crescita esponenziale del contenzioso corrisponde una gravissima carenza strutturale di mezzi e di risorse umane e materiali, che negli ultimi tempi ha raggiunto livelli davvero inimmaginabili, per cui l’effetto sinergico dell’aumento del contenzioso da una parte e della mancanza di mezzi dall’altra, ha prodotto o quanto meno rischia di produrre una vera e propria paralisi in un settore che è nevralgico per l’ordinato sviluppo della società.
Si consideri in particolare quanto si verifica in materia di informatizzazione dei servizi: nel settore, quaranta anni fa, l’amministrazione della giustizia italiana, con le iniziali esperienze del CED della Cassazione, era all’avanguardia in Europa; ma quel primato ben presto si è perduto poiché alla rapidissima evoluzione della tecnologia non ha corrisposto –a differenza di quanto è avvenuto presso altre amministrazioni anche dello Stato- un’evoluzione analoga dei sistemi informativi dell’organizzazione giudiziaria la quale, nonostante gli elevati traguardi raggiunti, grazie soprattutto all’impegno di pochi volenterosi, è tuttavia assai indietro nella realizzazione dei programmi già messi a punto (si pensi per es. al processo civile telematico), in quanto si richiede impegno di mezzi e di strutture che attualmente mancano.
Per quanto riguarda lo specifico settore dell’informatica, segnalo che alla Procura della Repubblica ed al Tribunale di Lecce è in fase di avanzata realizzazione un progetto finanziato dalla Regione coi fondi credo europei, di cui però ancora non si vedono i pratici risultati.
Per la Corte di appello ma solo di recente è stato approvato dal Ministero, nell’ambito del programma di diffusione delle cosi dette best practices, il progetto, già in via di sperimentazione –a suo tempo la corte di Lecce fu scelta come sede pilota-, di informatizzazione degli archivi con la concessione di un finanziamento di 350.000 euro, la cui gestione è però affidata alla Regione e anche per questo siamo in attesa.
Maggiore affidamento dovremmo fare sul progetto deliberato dalla Regione e di cui il Presidente Vendola ci ha dato personalmente comunicazione, secondo cui la Regione dovrebbe farsi carico del rinnovamento tecnologico delle strutture informatiche presso gli uffici giudiziari. Abbiamo prontamente risposto per esprimere apprezzamento per tale iniziativa e ci siamo messi a disposizione e però neppure in questo caso siamo riusciti a partire.
Per il momento non si vede quale seguito potrà avere il progetto SIGI (servizio integrato giustizia informatizzata) a suo tempo elaborato, per iniziativa del senatore Maritati, allora sottosegretario al ministero della giustizia, che puntava ad una soluzione complessiva dei problemi della informatizzazione e che, se attuato, avrebbe avuto una ricaduta fortemente positiva sulla stessa durata dei procedimenti . Conclusasi prematuramente la legislatura, il progetto è rimasto un sogno nel cassetto… Il senatore Maritati anche in questa legislatura ne ha fatto oggetto di un disegno di legge ma si sa che i disegni di legge di iniziativa parlamentare, se non sostenuti dal governo, non hanno molte prospettive.
L’inadeguatezza dell’organico
del personale giudiziario e del personale amministrativo
Ovvia poi la necessità di un sensibile incremento delle risorse a disposizione, discorso questo che è ormai ineludibile considerato il progressivo depauperamento nel tempo di tali risorse: a riguardo tutti gli uffici del distretto denunciano inadeguatezza degli organici e non potrebbe essere diversamente considerato che ormai da oltre otto anni non viene bandito alcun concorso per l’assunzione di personale amministrativo e di supporto ed anche i concorsi per l’accesso alla magistratura hanno subito un notevole rallentamento per effetto delle attuate riforme ordinamentali.
D’altra parte non v’è dubbio che, in presenza di una situazione ormai nota a tutti, la volontà politica di non ricostituire gli organici, di non aumentare le possibilità di lavoro straordinario per i dipendenti, di pretendere che si continui a fare sacrifici senza altri riconoscimenti che quelli critici sempre più offensivi, vedi l’accusa di essere “fannulloni ed improduttivi”, non incoraggerà verso maggiori sacrifici.
Va denunziato a questo proposito l’ingiustizia del trattamento riservato al personale giudiziario, il solo, nel settore pubblico, finora ed inspiegabilmente escluso dalla c.d. riqualificazione e dai modesti benefici che ne derivano anche in termini economici oltre che di collocazione professionale, per cui mentre altrove abbondano le qualifiche elevate qui da noi tutti i nostri collaboratori di cancelleria sono da sempre al grado e allo stipendio, al grado e allo stipendio, iniziale.
Occorre al contrario predisporre una serie di incentivi anche di natura economica per motivare il personale di cancelleria il cui impegno, finora per vero mai mancato, è indispensabile ad ogni prospettiva di riforma.

Le strutture logistiche
Le strutture nelle quali operano gli uffici giudiziari del capoluogo sono buone ed adeguate, specie ora che, con grande sforzo finanziario del Comune di Lecce di cui bisogna dare atto al sindaco del tempo on. Poli Bortone e a quello attuale il più giovane e dinamico dr Perrone, le sezioni civili e del lavoro della corte di appello sono state allocate in uno stabile di nuova costruzione di recente acquisito, sito in prossimità della sede del Tribunale civile e dell’ufficio del giudice di pace, e poco distante dall’attuale palazzo di giustizia di modo che la separazione degli uffici penali da quelli civili, attraverso la realizzazione di due distinti poli, non comporterà alcun disagio agli utenti né difficoltà di alcun genere.
Il Tribunale per i minorenni di Lecce ha trovato una più che decorosa sistemazione nel complesso monastico Missionari di San Vincenzo dei Paoli, comunemente noto come Villa Bobò, già destinato in passato a casa penale e di recente restaurato, in vista della nuova destinazione, con grande impegno finanziario dello Stato e con grande perizia ed ottimi risultati di cui va dato atto agli organi tecnici (la Sopraintendenza ed il Provveditorato alle opere pubbliche di Bari) che se ne sono occupati.
Anche la sezione distaccata della corte di appello in Taranto sta per trasferirsi nella sede di nuova realizzazione sicuramente adeguata e confacente mentre la Procura della Repubblica della stessa città ha sede ancora in due distinti stabili peraltro distanti fra loro, il che determina grande disagio e difficoltà operative. A breve il Procuratore generale ed io pensiamo di promuovere un incontro a Taranto con i rappresentanti dell’ente locale per avviare a soluzione anche questo problema.
Gli altri uffici del distretto hanno una buona sistemazione, salvo qualche sezione distaccata di Tribunale e qualche ufficio di giudice di pace (per esempio Nardò) che hanno bisogno di lavori di manutenzione di difficile attuazione a causa della stretta finanziaria.

La magistratura onoraria
Chi vi parla è ben consapevole dell’apporto dato al funzionamento della giustizia dalla magistratura onoraria, della quale è escluso ormai che possa farsi a meno, e però non può più tollerarsi che questioni civili e penali spesso di non semplice soluzione siano affidate e decise da giudici o vice procuratori onorari, per i quali il compenso è commisurato sulla base non della qualità ma della quantità del lavoro, solo teoricamente posti sotto la sorveglianza dei responsabili degli uffici e per i quali sostanzialmente non è previsto, se non in modo sporadico, alcun aggiornamento professionale né alcuna effettiva verifica periodica di efficienza e professionalità.
Bisogna riconoscere che il tema è stato troppo a lungo colpevolmente ignorato e che invece è necessario puntare ad una meditata e generale riforma dell’istituto, rifiutando la logica delle proroghe che si susseguono ad altre proroghe che contribuiscono soltanto a creare anche in questo campo una sorta di precarietà stabilizzata.
L’ormai indifferibile riforma dovrà rivisitare radicalmente il sistema di accesso alla magistratura onoraria, se del caso valorizzando i diplomati delle Scuole di Specializzazione per le Professioni legali, ma occorrerà soprattutto eliminare questa sorta di precariato, presente ormai anche nella magistratura, non attraverso le vagheggiate e generalizzate immissione nei ruoli della magistratura ma consentendo per esempio al magistrato onorario più volte confermato nell’incarico di accedere alla magistratura professionale attraverso i normali concorsi ma utilizzando una riserva di posti. Solo questa prospettiva potrà indurre il magistrato onorario a trascurare, se non addirittura eliminare, durante l’esercizio della funzione onoraria, l’esercizio della attività professionale, rispetto alla quale e indipendentemente da questa prospettiva è necessario comunque prevedere limiti molto rigorosi, perché è sicuramente una grossa anomalia il contemporaneo esercizio dell’attività professionale di avvocato e della funzione onoraria, magari a distanza di trenta chilometri dalla sede giudiziaria ed è la ragione principale dello sfavore con cui gli avvocati guardano all’istituto, loro per primi contrari a questa commistione di compiti, al punto da ritardare oltre ogni limite ragionevole l’espressione dei pareri richiesti ai fini delle conferme o delle nuove nomine.

Il patrocinio a spese dello Stato
Il ricorso all’istituto del patrocinio a spese dello Stato, anche nei casi di imputati irreperibili o impossidenti assistiti da difensore di ufficio, è sempre più frequente: nell’anno 2007 gli uffici del distretto hanno complessivamente liquidato euro 4.821.821. Si tratta all’evidenza di somme notevoli, di gran lunga superiori a quelle assegnate agli uffici per il loro funzionamento e tale considerazione, in una alle modalità inaccettabili con cui spesso si utilizza l’istituto, ne impone un ripensamento se non lo si vuole trasformare in un vero e proprio istituto di sostegno economico a favore del ceto forense, tanto più che l’istituto ha notevolmente incentivato la tendenza ad agire infondatamente o ad infondatamente resistere in giudizio.

La tipologia dei reati
Notevolmente diminuiti, secondo il procuratore distrettuale antimafia, i reati di matrice mafiosa e ciò perché, grazie all’intelligente azione di contrasto delle forze dell’ordine, sono state fortemente ridimensionate le organizzazioni operanti nell’ambito della Sacra Corona Unita, specie dopo l’arresto ad opera dei carabinieri del Comando Provinciale di Lecce, dell’ultimo latitante di spicco della provincia di Lecce, Augustino Potenza, nell’ottobre 2006, seguito alla cattura, nel febbraio dello stesso anno e sempre ad opera dei carabinieri del Comando Provinciale di Lecce, di Tommaso Montedoro, già condannato, come il Potenza, all’ergastolo.
E infatti l’ultimo omicidio mafioso risale al 6 marzo 2003 dopo il periodo 2002-2003 nel quale vi erano stati nella sola provincia di Lecce, dieci agguati mafiosi con cinque omicidi.
Da registrare però l’omicidio avvenuto il 6 settembre 2008 di un esponente storico e di primo piano della criminalità mafiosa salentina, Salvatore Padovano detto Nino Bomba, affiliato alla Sacra Corona Unita e responsabile del territorio di Gallipoli, condannato a ventitré anni e sei mesi di reclusione per partecipazione -con compiti di direzione ed organizzazione- all’associazione mafiosa, tornato in libertà nel dicembre 2006; l’episodio del cui movente non è ancora possibile una sicura lettura, potrebbe rappresentare il segnale di una ripresa di conflittualità interna o di nuovi assetti criminali”.
Da registrare, inoltre, alcuni omicidi ed agguati verificatisi nei territori di Brindisi e Taranto, certamente allarmanti benché non siano state ancora compiutamente accertate per tutti le motivazioni ed il contesto ambientale nel quale sono maturati.
Sempre a Taranto è in corso davanti al tribunale il processo sui collegamenti tra esponenti della criminalità organizzata ed ambienti del Comune della stessa città per il controllo di attività economiche.
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A Brindisi invece è stato di recente disposto il rinvio a giudizio del tribunale sempre per corruzione elettorale di un personaggio locale che, in cambio di appoggio alla sua candidatura, avrebbe promesso somme di danaro, posti di lavoro e alloggi popolari ad esponenti del clan mafioso dei fratelli Brandi, proponendosi anche (donde l’imputazione di concorso in associazione mafiosa) quale politico di riferimento dello stesso gruppo mafioso all’interno del consiglio comunale, stringendo poi con i fratelli Brandi accordi economici per la gestione di attività commerciali.
Secondo il Comandante provinciale dei carabinieri di Lecce i settori di interesse criminale sono tuttora quelli tradizionali e cioè il traffico degli stupefacenti. In questo settore assai energica è stata l’azione di contrasto delle forze dell’ordine; polizia, carabinieri e guardia di finanza hanno portato a termine infatti brillanti operazioni su cui più dettagliatamente mi soffermo nella relazione scritta.

Le misure di prevenzione di carattere patrimoniale
Nel corso del periodo di riferimento sono state avanzate dalla Direzione antimafia numerose proposte di applicazione di misure di prevenzione di carattere patrimoniale nei confronti delle persone pericolose indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso ed è nell’ambito di tale attività che la Divisione Polizia Anticrimine della Questura di Lecce nel gennaio 2008 ha proceduto al sequestro preventivo, ai danni di un imprenditore edile di Gallipoli, varie volte condannato e ritenuto in passato affiliato al clan Padovano, di beni immobili e varie attività economiche per un valore complessivo di quattro milioni di euro.
Segnala il Comandante provinciale della Guardia di Finanza che “tra i settori più allettanti, per la criminalità organizzata, utilizzati per ripulire l’illecito capitale finanziario accumulato, rientrano senza ombra di dubbio, la gestione di supermercati e di distributori di carburanti, giochi pubblici, scommesse clandestine, aste giudiziarie”. In tale contesto il GICO della Guardia di Finanza di Lecce nel corso dell’anno 2007, a conclusione di complesse indagini ha proposto l’applicazione a pluripregiudicato in libertà di misura di prevenzione di carattere patrimoniale con la confisca di vari beni mobili e immobili e dell’intero compendio aziendale costituito da due supermercati.
La gestione dei beni sequestrai e poi confiscati presenta tuttavia difficoltà stratificate nel tempo derivanti dalla frammentazione delle procedure e delle competenze. Si è tentato di rimediare con la istituzione di un’autorità centrale di coordinamento operativo di tutti i soggetti pubblici coinvolti nelle procedure amministrative al fine della corretta gestione ed è stato conferito l’incarico di Commissario straordinario, in considerazione della specifica competenza acquisita nel settore come magistrato antimafia e con altre esperienze professionali, ad un magistrato di questo distretto il dott. Antonio Maruccia a cui rivolgo auguri di buon lavoro.
Le rapine
In forte diminuzione di quasi un terzo il numero delle rapine nel circondario di Lecce apparentemente fuori di uno stabile contesto di criminalità organizzata e neppure riferibili, secondo il Comando Provinciale di carabinieri di Lecce, a bande criminali armate e specializzate in tal tipo di delitto contrariamente a quanto è avvenuto negli anni precedenti ed a quanto tuttora si verifica nelle vicine province di Taranto e Brindisi.
Elevato in proporzione resta il numero delle rapine ad opera di ignoti e si tratta quasi sempre dei fatti che suscitano maggior allarme sociale.
Estorsioni ed usura
Tutt’altro che scomparsi i reati di estorsione ed usura, reati che sono tipicamente riconducibili alla criminalità organizzata.
Quanto alle estorsioni non si registrano almeno apparentemente incrementi di rilievo ed al contrario deve prendersi atto con soddisfazione dell’alta percentuale di denunce valutata in termini di ritrovata fiducia dei cittadini nell’intervento repressivo delle forze dell’ordine (ed infatti è sensibilmente aumentato il numero dei procedimenti contro persone identificate rispetto a quelle contro ignoti); al tempo stesso però, secondo il procuratore antimafia, “non possono essere sottovalutati segnali di diffusione del fenomeno in forma sotterranea, legati anche alla maggior forza di intimidazione conseguita dall’organizzazione mafiosa che non ha più necessità di far ricorso a forme evidenti di intimidazione e violenza per commettere tale genere di reati”.
Energica è peraltro l’azione delle forze dell’ordine su questo versante
Nel gennaio 2008 la Squadra Mobile della Questura di Lecce identificava gli autori di una lunga attività estorsiva ai danni dell’amministratore della società Eurospin, dal quale avevano preteso la somma di 30.000,00 euro mensili con la minaccia di recar danno agli esercizi commerciali della stessa società siti nel territorio di Lecce e di Taranto e quindi, in esecuzione di ordinanza cautelare emessa dal gip del Tribunale di Lecce, procedeva alla loro cattura.
Nel maggio 2008 personale della Sezione Volanti di Lecce sorprendeva in flagranza di reato ed arrestava due persone mentre ricettavano macchine operatrici per movimento terra trafugate da un cantiere della provincia; veniva così a cessare la serie di furti di escavatori e di macchine operatrici dai cantieri, che per la loro frequenza avevano destato grande allarme nell’ambiente degli operatori economici.

Notevole è sicuramente l’attività usuraria con riferimento alla quale però è molto modesto il numero di denunce, certamente non indicativo della reale entità di tale attività”.
Da segnalare che nel gennaio 2008 personale della Squadra Mobile di Lecce ha tratto in arresto una persona ritenuta responsabile di una sistematica attività usuraria ed estorsiva ai danni di vari imprenditori locali e che la Tenenza della Guardia di Finanza di Manduria, a conclusione nel giugno 2008 di una rilevante operazione di servizio per il contrasto dell’usura, ha denunziato sedici persone per sei delle quali è stata poi emessa ordinanza di custodia in carcere, col sequestro di cinque immobili ed una attività commerciale.

Reati commessi da stranieri
Fisiologico il numero dei reati commessi da stranieri che è pari al quattro per cento del totale dei procedimenti iscritti nel registro modello 21, dato che di per se dovrebbe smentire certi luoghi comuni frutto di pregiudizio.
Come si è già rilevato, in questo distretto la comunità degli immigrati è ben inserita nel nuovo contesto sociale e solo una minoranza, per scelta o per evidente difficoltà di adattarsi al nuovo ambiente di vita, si dedica a traffici illeciti, per lo più lo smercio di droga, molto più spesso il commercio di merci con marchio contraffatto. Elevato è invece in percentuale il numero di cittadini stranieri, spesso di incerta provenienza e per i quali è quindi anche difficile adottare provvedimenti di espulsione, destinatari di misure cautelari, per cui molto elevata è la percentuale della popolazione carceraria costituita da stranieri.

Reati contro la pubblica amministrazione
Costante o addirittura in decremento il numero dei reati contro la pubblica amministrazione ma è impensabile d’altra parte che la corruzione sia improvvisamente sparita in Italia nonostante la comune percezione del contrario: più ovvio ritenere che tali fenomeni difficilmente emergono e che minore attenzione rispetto al passato è ad essi dedicata da parte degli inquirenti, per non dire delle riforme legislative che di fatto hanno depenalizzato talune condotte che la coscienza sociale giudica assai negativamente.
Nel corso dell’anno sono stati celebrati o sono in corso di celebrazione a Taranto ed a Brindisi vari procedimenti per gravi fatti di locupletazione ai danni delle amministrazioni comunali del luogo.
Rileva l’Avvocato Generale di Taranto che “lo stato di gravissimo dissesto del Comune ufficialmente certificato è risultato fortemente sostenuto da sottrazioni cospicue e continue negli anni da parte di numerosi funzionari (tratti in custodia cautelare) che lucravano stipendi assai consistenti; da sistemi di appalti agevolati, da incuria amministrativa e da veri e propri reiterati falsi in bilancio”. Questa gravissima situazione, una volta alla luce, ha determinato il proliferare di procedimenti a carico di amministratori locali con la emissione di numerose misure cautelari (in numero di 32) a carico di impiegati e funzionari della Direzione Risorse Finanziarie del Comune di Taranto.

I reati sessuali
In aumento e tutt’altro che irrilevante (malgrado le significative condanne delle magistrature salentine) il numero dei reati sessuali spesso commessi da e/o a danno di minorenni mentre preoccupa la proliferazione, agevolata dal progresso tecnologico, dei reati di pornografia minorile e di detenzione di materiale pornografico.
Su questo versante peraltro la polizia giudiziaria è molto impegnata.
Nel gennaio 2008 la Squadra Mobile di Lecce identificava e poi, coadiuvata dalla sezione volanti, traeva in arresto, in esecuzione di ordinanza cautelare emessa dal gip di Lecce, quattro persone ritenute responsabili di violenza sessuale di gruppo ai danni di cittadina somala di 18 anni.

Le violazioni in materia tributaria
Restano sostanzialmente irrilevanti sotto il profilo penale le violazioni in materia tributaria, nonostante la scandalosa diffusione dell’evasione tributaria, che esige un rinnovato impegno da parte degli organi preposti all’accertamento ma anche l’abbandono della pratica del condono (che ha contribuito al diffondersi di una sensazione di impunità e, stendendo un velo sulle precedenti illecite condotte, ne ha impedito l’accertamento) nonché una seria riforma dell’apparato sanzionatorio notevolmente mitigato di recente, sebbene la coscienza sociale esiga di fronte a tali condotte un atteggiamento di fermezza.
Di fatto i reati tributari, peraltro di difficile configurazione dopo l’ultima riforma, non vengono neppure menzionati nelle relazioni dei procuratori della repubblica.

Le frodi comunitarie
Numerose le denunce relative a frodi comunitarie.
Si tratta per lo più di condotte fraudolente dirette al conseguimento dei benefici previsti dalla legge n. 488 del 1992, ottenuti da vari imprenditori della provincia, in assenza delle condizioni di legge e sulla base di false documentazioni.
Il pubblico ministero, allo scopo di assicurare all’amministrazione il recupero di quanto indebitamente erogato, ha fatto frequente ricorso al sequestro per equivalente previsto dall’art. 322 ter c.p.p. sia in danno della persona fisica dell’indagato che in danno della persona giuridica per conto della quale agiva, ai sensi della normativa introdotta col decreto legislativo n. 231 del 2001. Nell’anno sono stati sottoposti a sequestro beni per un valore di circa 5.000.000 di euro e recuperate somme di danaro per 1.690.000 euro. Infatti in molti casi gli stessi indagati hanno chiesto di restituire le somme indebitamente percepite, in altri casi, dopo l’avvio delle indagini hanno rinunciato all’erogazione dei contributi già riconosciuti in via provvisoria degli organi competenti.
Sembrerebbe poi che molti imprenditori abbiano rinunciato ai contributi ed agli investimenti programmati per prevenire il pericolo di essere indagati, poiché ciò di per se ed a prescindere da effettive responsabilità, avrebbe potuto offuscare la loro immagine commerciale.
Di questo stato d’animo che può essersi diffuso tra il ceto imprenditoriale non può non tenersi conto, per l’incidenza che ne può derivare sull’economia e indirettamente anche sull’occupazione.
Sarà necessario allora che in questo campo le indagini siano condotte con particolare rapidità, col massimo rispetto delle garanzie di legge e prevenendo la fuga di notizie ad evitare anticipazioni di giudizio prima che le indagini possano approdare alla fase del dibattimento.
Tutte le indagini in questo settore sono state eseguite con encomiabile scrupolo dalla Guardia di Finanza di Lecce.

La tutela dell’ambiente
Nonostante l’impegno di alcuni uffici di procura (in particolare Taranto) assai poco soddisfacenti sono purtroppo i risultati conseguiti in materia di tutela dell’ambiente e del territorio.
Segnala l’Avvocato Generale di Taranto che “la presenza di siti industriali con caratteristiche altamente inquinanti contigui all’abitato ha indotto da oltre un decennio l’Organizzazione Mondiale della Sanità a qualificare il territorio di Taranto area ad elevato rischio ambientale” e però nonostante gli sforzi per dare avvio ad un processo di recupero con i rappresentanti degli enti territoriali e del mondo sindacale, nonostante le valutazioni dell’ARPA e gli impegni della proprietà dei siti inquinanti, il tasso di inquinamento rimane elevato ed è notevolissimo il crescendo di affezioni gravi o gravissime legato da indiscutibile nesso di causalità. Duole constatare che mentre le iniziative spontanee e l’associazionismo sollevano e sottolineano il problema, i poteri pubblici –quando addirittura non entrano in conflitto tra loro come è avvenuto di recente tra la Regione e lo Stato – tendono per lo più a sottovalutare il problema e le gravissime conseguenze che ne derivano sul piano della salute pubblica e d’altra parte non è neppure raro il caso di gestione di discariche, termovalorizzatori, scarichi a mare che spesso vengono realizzati con vistose violazioni normative.
L’abusivismo edilizio
Ugualmente diffuso nelle tre province il fenomeno dell’abusivismo edilizio favorito ed incoraggiato dai frequenti condoni, che hanno reso possibile il mantenimento, con poca spesa, non di rado neppure entrata nelle casse dello Stato, come si sarebbe appurato con una recente indagine, di opere deturpanti spesso realizzate con il simulacro di atti amministrativi compiacenti, rilasciati da dipendenti comunali che, nel malcostume imperante, non si fanno scrupolo di regolarizzare situazioni che stanno mutando, forse hanno già irreversibilmente mutato, le caratteristiche paesaggistiche del nostro paese.
Secondo uno studio de Il Sole 24 ore la provincia di Lecce occupa assieme a Bari uno dei primi posti nella graduatoria dell’abusivismo: nella provincia salentina ci sarebbero 52454 particelle, ossia porzioni di terreno, su sui sono stati identificati edifici fantasma, non registrati al catasto.

Il Comando Polizia Municipale di Brindisi, nel segnalare la diffusione dell’abusivismo, auspica l’introduzione di incentivi al cittadino che, denunciando l’abuso, permetta un tempestivo intervento della polizia ed un maggiore impegno nell’azione di contrasto, con la istituzione di forme di controllo elettronico delle aree a maggior rischio ambientale. La Polizia Municipale di Lecce segnala anch’essa le difficoltà degli accertamenti in questa materia, data l’ampiezza del territorio di competenza e considerato che gli abusi riguardano per lo più il litorale dove la vigilanza è per necessità discontinua.

Reati connessi con competizioni sportive
Dalle procure del distretto non è stato segnalato alcun episodio di particolare violenza e allarme sociale in occasione di competizioni sportive.
Il Questore di Lecce ha adottato 23 provvedimenti di divieto di accesso agli stadi ed ai campi sportivi e zone circostanti, contenenti la prescrizione dell’obbligo di presentazione negli uffici di polizia in concomitanza con lo svolgimento delle partite di calcio.
Gli anzidetti provvedimenti sono stati tutti convalidati dal gip.

Reati di fabbricazione di monete false
Nel maggio 2008 nella zona industriale di Melissano, carabinieri del Nucleo antisofisticazione monetaria, coadiuvati da personale della Compagnia di Casarano, traevano in arresto cinque persone sorprese all’interno di un fabbricato adibito a stamperia clandestina di banconote false con taglio da 50 euro. Nel contesto venivano sequestrate banconote false per un valore nominale di dieci milioni di euro e sofisticate apparecchiature per la produzione delle stesse.
Un’analoga ed altrettanto brillante operazione è stata portata a termine dalla Guardia di Finanza nel Comune di Leverano dove pazienti e diligenti indagini permettevano di individuare un soggetto, poi tratto in arresto, che, al riparo di una apparentemente lecita attività artigianale, aveva in realtà impiantato una piccola fabbrica di banconote false di vario taglio.
Infortuni sul lavoro
Quella degli infortuni sul lavoro costituisce ormai una vera e propria emergenza nazionale rispetto alla quale il sistema giudiziario dimostra purtroppo ancora una volta la sua inadeguatezza. Costano ogni anno tre punti di PIL, 35 miliardi di euro. E sono sempre i più deboli a pagare e spesso con la vita, per lo più immigrati, i precari, gli atipici, quelli assunti in nero o, apparentemente, lo stesso giorno dell’infortunio.
Non mi soffermo sull’argomento perché credo che ne parlerà, meglio di me, nel corso del suo intervento il procuratore generale.
Mi limito a dire che il sistema di prevenzione e protezione, sebbene normativamente assai articolato, non ha un sufficiente livello di effettività, come dire che in Italia, almeno in questo settore, si fanno le leggi ma poi non c’è chi le faccia rispettare. E’ necessario allora cercare di comprenderne le ragioni e per quanto riguarda gli uffici giudiziari comprendere la necessità di costituire all’interno degli stessi gruppi di lavoro specializzati, che riescano a stabilire un canale di coordinamento con ispettorati e con le ASL, del che si dovrà tener conto sia da parte degli uffici di procura che da parte degli uffici giudicanti nella predisposizione dei loro progetti organizzativi.
Ma è l’ente territoriale regionale che deve innanzitutto farsi carico del problema, promuovendo una disciplina, come è avvenuto in altre regioni, quanto meno per i lavori pubblici di interesse regionale, che incoraggi a non risparmiare sui costi della prevenzione e che favorisca l’inclusione nei contratti di affidamento dei lavori delle cosi dette clausole sociali, che stabiliscano cioè per ogni violazione delle norme antinfortunistiche l’applicazione di penali o la sospensione dei pagamenti.
Una raccomandazione in tal senso proviene anche dall’incontro tenutosi nei giorni scorsi in Prefettura con la partecipazione dell’Associazione Costruttori edili.

Gli istituti penitenziari
I presidenti di entrambi i tribunali di sorveglianza del distretto segnalano la condizione di sovraffollamento degli istituti di custodia.
La casa circondariale di Lecce, una delle più grandi ed importanti nel panorama nazionale, è tornata a presentare nell’ultimo anno, dopo il periodo di forte calo dovuto all’applicazione dell’indulto (agosto 1996) il problema di sempre: il sovraffollamento: ad oggi le presenze raggiungono punte di 1200 detenuti, a fronte di una capienza ottimale di 550 e tollerabile di 850 -900 posti.
Ciononostante l’ordine e la sicurezza interna sono sempre stati assicurati da una valida azione direttiva che ha potuto contare sulla professionalità e lo spirito di servizio della Polizia penitenziaria e del personale civile..
Molto apprezzabile anche è l’azione svolta dalla Direzione finalizzata al recupero sociale dei detenuti.
Fra le tante iniziative sono da segnalare il protocollo con l’Università del Salento e l’Amministrazione provinciale per garantire il diritto allo studio di un consistente numero di detenuti, le attività teatrali, i corsi di abilitazione informatica.
Speciale menzione, infine, merita l’iniziativa imprenditoriale realizzata nella Sezione femminile in collaborazione con la Cooperativa Officina Creativa che ha consentito l’avviamento al lavoro di dodici detenute la cui produzione di abbigliamento e accessori , destinata al mercato nazionale, è stata oggetto di una “sfilata di moda” all’interno dell’Istituto che ha avuto vasta eco e successo nella società, riflettendo l’immagine e la sostanza di un mondo , quello carcerario, nel quale è ancora viva la speranza del riscatto.



Quanto alla giustizia civile
C’è davvero poco da dire oltre tutto quello che negli anni si è detto; segnalo soltanto che è notevole in tutti i tribunali del distretto, il numero delle procedure di esecuzione immobiliare mentre è notevolmente diminuito il numero dei fallimenti dichiarati, non purtroppo in controtendenza con la crisi economica ma esclusivamente perché ne è mutata la disciplina.
La giustizia minorile
La giustizia minorile si caratterizza sempre più per la frequenza di episodi di bullismo e più in generale di violenta devianza e ciò non può non preoccupare poiché appare evidente che all’origine di tali comportamenti vi è un generalizzato rifiuto di valori, trasmesso molto probabilmente e comunque non contrastato dall’esempio degli adulti, che caratterizza la condotta di una sempre più elevata percentuale di minori, appartenenti anche ad ambienti culturalmente e socialmente in apparenza evoluti.
Nel periodo di riferimento, secondo il Presidente del Tribunale minorile di Taranto, la tipologia ed il numero dei reati non hanno subito aggravamenti sensibili rispetto agli anni precedenti ma resta preoccupante il fenomeno dello spaccio di sostanze stupefacenti ancora prevalentemente circoscritto alle droghe leggere ed alla vendita al minuto di quantità modeste ma con allarmante progressiva estensione a quelle pesanti (cocaina in particolare) ed alla partecipazione attiva a traffici di più vasta estensione organizzati dagli adulti.
Non poco preoccupante è poi la frattura spesso insanabile tra il minore e la scuola, con fenomeni di totale disinteresse per lo studio cui seguono forme di bullismo scolastico, ribellione alle regole e continui episodi di disturbo delle attività didattiche, fenomeno che non solo non ha subito attenuazioni ma che è in costante aumento quantitativo e soprattutto qualitativo.
A ragion veduta rileva il procuratore minorile di Lecce che “il bullismo deve essere doverosamente contrastato con adeguate sanzioni sul piano penale e sotto il profilo disciplinare scolastico e tuttavia non può trascurarsi che è sintomo di un disagio che deve essere affrontato soprattutto con azioni educative e, se necessario, di trattamento psicologico non solo nei confronti dei singoli, ma anche dell’intero piccolo gruppo in cui spesso si manifesta.
Segnala poi il procuratore minorile di Taranto il preoccupante aumento dei reati violenza sessuale (16 iscrizioni a fronte dei 9 dell’anno precedente) e i reati di pedopornografia minorile (7 iscrizioni a fronte dei 2 dell’anno precedente), che sono, a suo avviso, “prova del diffondersi a largo raggio di una mentalità libertaria ed edonistica e di una forte caduta di valori etici anche fra giovanissimi dell’uno e dell’altro sesso”.

Molto frequenti e gravi i danneggiamenti di edifici scolastici, specialmente nella fase iniziale dell’anno scolastico, sia nelle città capoluogo che nei centri minori del distretto, anche ad opera di vere e proprie bande composte da alunni e giovani adulti, con finalità di assurdo vandalismo ed insieme di profitto, concretizzate nella sottrazione di computer ed altri oggetti.
Le denunce a carico di minori stranieri restano pari a circa il 10 per cento del totale.

Comuni a quelle degli altri tribunali minorili le problematiche giuridiche affrontate dal tribunale di Lecce; in particolare e come anche in altre sedi permane tuttora aperto il contrasto con il tribunale ordinario in tema di competenza a provvedere sull’affidamento dei figli in pendenza di una causa di separazione personale dei coniugi.
La necessità del resto di una valutazione unitaria dei problemi della famiglia, da cui nascono o in cui comunque si inseriscono le situazioni di disagio dei minori, per individuare le soluzioni più rispondenti alle esigenze ed all’interesse di questi ultimi, considerandoli non isolatamente ma come parte di una realtà familiare fatta di difficoltà ma anche di risorse, consiglia la concentrazione in un unico organo giudiziario della competenza a decidere su tutte le questioni riguardanti la famiglia e costituisce dunque una ragione più che valida a favore di chi considera ormai indifferibile la costituzione di un tribunale della famiglia in cui siano concentrate le competenze oggi frammentate tra tribunali ordinari e tribunali minorili.
E qui la mia relazione si conclude; mi pare giusto che si concluda con questa particolare attenzione dedicata ai giovani nei confronti dei quali nessun permissivismo si giustifica (sarebbe deleterio per il loro avvenire) mentre ragione vuole che, per quanto essi possano apparire insolenti ed insopportabili, si deve evitare di criminalizzare i loro comportamenti e di illudersi che la via penale possa costituire una scorciatoia percorribile per risolvere i problemi legati alla loro condizione di disagio.

Vi ringrazio per la pazienza con cui mi avete ascoltato.