RELAZIONE INTEGRALE PRESIDENTE INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO
Introduzione
La situazione attuale
Le riforme della precedente legislatura
La temporaneità degli uffici direttivi
La presenza degli avvocati nei consigli giudiziari
L’andamento della giustizia nel distretto di Lecce
La situazione della giustizia penale, della giustizia civile,
della giustizia del lavoro
I tempi di definizione dei processi
La prescrizione dei reati
Gli indennizzi pagati dallo Stato per i ritardi
Le cause della crisi
Gli interventi necessari ed urgenti
La mancanza di mezzi e risorse: l’informatizzazione
L’inadeguatezza dell’organico del personale giudiziario
e del personale amministrativo
Le strutture logistiche
Gli uffici del giudice di pace e la magistratura onoraria
Il patrocinio a spese dello Stato
Tipologia dei reati: l’impegno della polizia giudiziaria
Le misure di prevenzione di carattere patrimoniale
Gli infortuni sul lavoro e il lavoro in nero
La tutela dell’ambiente e l’abusivismo edilizio
I ricorsi al tribunale del riesame ed i riti alternativi
La magistratura di sorveglianza e gli istituti penitenziari
Questioni specifiche della giustizia civile
La giustizia minorile
Introduzione
Autorità, signore e signori,
anche a nome di tutti i magistrati del distretto, che ho il privilegio di rappresentare, vi porgo il più cordiale saluto ed un vivo ringraziamento per la vostra partecipazione a questa cerimonia.
Noi magistrati siamo consapevoli dell’importanza del nostro ruolo all’interno della società e del nostro dovere di fare quanto da noi dipende per esserne all’altezza e tuttavia siamo altrettanto consapevoli che la nostra credibilità va sempre più diminuendo.
Molti dicono per alcuni censurabili comportamenti di alcuni di noi -ai quali peraltro l’istituzione non sempre sa reagire tempestivamente ed efficacemente- e ciò, almeno in parte, è sicuramente vero e non mi riferisco a quelle vicende che tengono banco sulla stampa nazionale ma a quei comportamenti minuti di tutti i giorni che riescono proprio per la loro quotidianità ad offuscare la nostra immagine.
Altri dicono invece per la nostra incapacità di comunicare con la società civile, per far comprendere le vere ragioni di questo sfascio e di questi continui attacchi alla magistratura ad ogni livello: le accuse di partigianeria prima riguardavano i pubblici ministeri, poi i giudici nel loro complesso, ora non risparmiano la Corte di Cassazione (alla quale -la responsabilità è anche vostra signori giornalisti- si attribuisce ogni tanto qualche grossolana sciocchezza per poterla più facilmente deridere…) e di recente anche la Corte Costituzionale;
…incapacità di far comprendere che questi attacchi potrebbero trovare spiegazione per esempio nel rifiuto di qualsiasi controllo di legalità sul modo in cui si gestisce il potere, obiettivo che è più facile raggiungere, naturalmente, discreditando chi quei controlli pretende di esercitare;
… incapacità di far capire di chi è la vera responsabilità delle incredibili inefficienze dell’apparato giudiziario a cui in definitiva è legata la nostra perdita di credibilità.
Sta di fatto che se anche i sondaggi dicono il contrario e ci danno in vantaggio di fronte ad altre istituzioni (ma vacci a credere ai sondaggi…) e ci collocano dopo solo il Presidente della Repubblica, le forze dell’ordine (che sono quasi sempre al primo posto, e ciò ci dovrebbe far riflettere), la Chiesa… la nostra credibilità è oggi ai minimi termini e anzi siamo ormai circondati da sentimenti di vera e propria insofferenza, quando pretendiamo di indicare responsabilità altrui sminuendo invece le nostre.
Ed è triste dover constatare che noi giudici oggi siamo più temuti dai cittadini che non rispettati ed anche per questo ci dobbiamo sforzare di cambiare e “possiamo cambiare –come si legge in un recente documento della nostra associazione- solo se siamo capaci di rinnovarci al nostro interno perché è dovere e responsabilità dell’associazione magistrati e degli organi di autogoverno assicurare ai cittadini una magistratura capace, motivata e professionalmente adeguata”.
Noi vogliamo che i cittadini tornino a credere in noi e noi vogliamo tornare a credere nel nostro lavoro.
E’ allora una fortuna davvero che tanti di voi siate qui oggi per ascoltare che abbiamo ancora da dire; abbiamo anche la presunzione di credere che voi siete qui oggi non solo per adempiere distrattamente un obbligo legato al vostro ruolo istituzionale ma per un effettivo bisogno di essere informati ed anche per farci conoscere nell’immediatezza in che direzione chiedete a noi di impegnarci per migliorare la situazione di grave inefficienza, alla quale stiamo facendo abitudine, come a qualcosa di ineluttabile, che è sempre stato e sempre sarà.
Sennonché mi rendo conto a questo punto che tutto quello che c’era da dire è stato già detto e mi chiedo fino a che punto può essere utile ripeterlo: ma tacere e rinunciare alla discussione significherebbe certificare definitivamente la nostra sconfitta e la sconfitta della magistratura, credetemi, è una sconfitta per la democrazia e per il nostro futuro di uomini liberi.
E’ la terza volta che io svolgo questo compito, di relazionare cioè sull’andamento della giustizia nell’anno decorso e sulle prospettive che si pongono per il futuro; due volte ad Ancona, in un contesto socio-economico del tutto diverso, dove ho potuto maturare un’interessante esperienza; e oggi per la terza volta qui a Lecce dove sono tornato, come mi auguravo ed anche prima del tempo, per qualche fortunata –per me- coincidenza.
E assolvo questo compito oggi con grande emozione, che mi deriva dal fatto di parlare davanti a persone tanto qualificate, davanti ad avvocati di eccezionale levatura di cui sono abituato ad ascoltare le argomentate arringhe, che oggi mi ascoltano nel mio dire disadorno e da quel che io dico mi giudicano e con me giudicano la magistratura di questo distretto nel suo complesso.
La situazione attuale
Due anni fa ad Ancona, nella stessa occasione, il contesto politico generale suscitava in tutti la condivisa speranza che sarebbero state finalmente messe da parte le polemiche e le contrapposizioni e che in unità di intenti, come tante volte aveva raccomandato il Presidente della Repubblica –al quale oggi, sicuro di interpretare i sentimenti anche di tutti voi, invio un rispettoso e riconoscente saluto, riconoscente per l’attenzione che egli riserva ai problemi della giustizia e per la guida morale che riesce ad essere per tutti noi quale rappresentante dell’unità nazionale e geloso custode della Costituzione che il popolo si è data-… sembrava, dicevo, che in unità di intenti si sarebbe messo mano finalmente ad una complessiva riforma della giustizia della cui necessità si era preso apertamente atto. Ed in effetti furono varate una serie di iniziative legislative che per la verità servirono soltanto a far riaccendere le polemiche tra chi, da un lato, le giudicava inutili e addirittura pericolose, chi dall’altro le riteneva ancora timide. insufficienti ed inadeguate.
Forse se la legislatura non si fosse traumaticamente conclusa (col contributo anche di qualche giudice, mi auguro inconsapevole ma non per questo meno colpevole…) a qualche risultato forse si sarebbe arrivati ma poi tutto tacque e di quel fervore (si fa per dire) rimase ben poco anche se alla lunga quel poco potrà produrre qualche effetto ed è ciò di cui fra poco penso di occuparmi.
Oggi (dopo i fatti di Catanzaro) si riparla dell’urgenza di una riforma complessiva della giustizia, “dell’urgenza di affrontare e risolvere problemi di equilibrio istituzionale, nei rapporti tra politica e magistratura che si trascinano da tempo; dell’urgenza di riforme, volte a scongiurare eccessi di discrezionalità, rischi di arbitrio e conflitti interni alla magistratura nell’esercizio della funzione giudiziaria, a cominciare dalla funzione inquirente e requirente; dell’urgenza di una riforma che riguardi anche la migliore individuazione e il più corretto assolvimento dei compiti assegnati al Consiglio Superiore della Magistratura dalla Carta costituzionale e al tempo stesso di fermo richiamo a criteri di comportamento come quelli relativi al riconoscimento effettivo dei poteri spettanti ai capi degli uffici”.
Ed è ancora un volta l’alto monito del Presidente della Repubblica, di cui ho riportato le parole, a richiamare tutti alle proprie responsabilità, invitando tutti ad “ascoltare –sono ancora parole sue- ciascuno in ragione delle proprie responsabilità pubbliche, non l’appello del Capo dello Stato, ma quel che si attende il paese perché sa di averne bisogno”.
A noi magistrati il Presidente della Repubblica raccomanda in particolare un “costume di serenità, riservatezza ed equilibrio, nel rigoroso rispetto delle regole, che non può essere sacrificato all’assunzione di missioni improprie e a smanie di protagonismo personale”.
Ed è quello che io vado dicendo –molto più modestamente- da tempo: perché a parte le smanie di protagonismo personale, che vanno confinate nel patologico vero e proprio, nessuno può credere che tutto possa ridursi a problema di giustizia nel senso che ogni problema nazionale, nella più totale assenza o indifferenza delle altre istituzioni, possa giungere a soluzione attraverso la via giudiziaria e l’intervento del giudice; nessuno può illudersi che il giudice possa essere l’onnipresente custode della vita sociale, economica e politica supplendo alla mancanza ed all’inerzia delle altre istituzioni: io non credo e non ho mai creduto, a differenza di chi se ne fa ora il più accanito dei critici, nel cosiddetto ruolo di supplenza dei giudici; credo invece che il giudice debba essere in grado di interpretare pienamente il ruolo che la Costituzione e la coscienza moderna gli assegna, di farsi cioè tutore della legalità ad ogni livello e dei diritti, specie dei più deboli e dei meno garantiti, per contribuire al raggiungimento dell’obiettivo di uguaglianza sostanziale tra i cittadini che l’art. 3 della Costituzione assegna alla Repubblica nel suo complesso.
Un ruolo, credetemi, che non comporta nessuna assunzione di missione impropria, come ci avverte il Presidente della Repubblica, ma che, se correttamente praticato, non è davvero di poco conto, che offre mille possibilità di intervento, che dev’essere svolto però nel pieno rispetto non solo formale ma anche sostanziale della legge, come a maggior ragione dai magistrati si deve pretendere.
E d’altra parte sono proprie le associazioni dei magistrati a proclamare che “prima esigenza assolutamente indefettibile è la costante rigorosa applicazione della legge ed il rispetto del sistema procedurale, in ogni azione giudiziaria, specialmente in quelle che, anche a prescindere dalla volontà dei singoli magistrati, coinvolgono valori ed interessi di rilevanza pubblica ed istituzionale. Soprattutto in tali contesti nessuno scostamento dalle regole, consapevole o superficiale che sia, può essere mai giustificato, perché determina comunque la perdita di autorevolezza ed inquina il valore ed il senso costituzionale dell’indipendenza, non privilegio di potere, quale che sia, per i singoli ma strumento finalizzato ad una giurisdizione uguale per tutti, efficace, secondo le regole ed in tempi ragionevoli… senza immunità ed esenzioni per alcuno”.
Non è più accettabile allora che si avviino indagini giudiziarie ad ampio raggio, che non giungono mai a termine, lasciando un alone di sospetto sugli indagati e rinviando nel tempo la eventuale verifica dibattimentale, come se un termine di durata delle indagini non fosse già nella legge, dato che quasi sempre viene prorogato dai gip a semplice richiesta, non alla ricerca delle prove di un reato già denunciato ma alla ricerca di reati in genere (vedi le intercettazioni a strascico di cui si parla in questi giorni).
Noi giudici dobbiamo essere consapevoli allora di questa diffidenza che c’è nei nostri riguardi e trarne le conseguenze. Un impegno che qui ed ora abbiamo il dovere di assumerci.
Le riforme della precedente legislatura
Che cosa è rimasto allora delle riforme di due anni fa? Due sono i punti di arrivo a mio avviso importanti, le due riforme ordinamentali che riguardano la temporaneità degli uffici direttivi e la partecipazione degli avvocati, attraverso la loro presenza nei Consigli Giudiziari, alla gestione degli uffici.
Sono a ben vedere due riforme di enorme rilevanza se pure per il momento hanno creato solo problemi e anche di una certa gravità ma che pongono le premesse, se ognuno naturalmente saprà interpretare il suo ruolo, di un effettivo processo di rinnovamento.
Poi, è naturale, occorrerà, se si vuol far funzionare veramente la macchina giudiziaria, dotarla di mezzi adeguati, attuare altre riforme legislative per semplificare le procedure, provvedere ad una distribuzione più razionale degli uffici sul territorio, eliminare sacche incredibili di inefficienza, ristabilire un costume giudiziario rispettoso della dignità della funzione e dei ruoli rispettivi, ispirato a correttezza nei rapporti interpersonali, al rifiuto di ogni scorciatoia e di ogni furbizia, ad una maggiore lealtà cui possa corrispondere un maggiore affidamento verso l’altro…. Ma intanto si sono create le premesse perché sia pure lentamente qualcosa cambi.
La temporaneità degli uffici direttivi
Fino allo scorso anno il magistrato, che riusciva ad ottenere per meriti propri o, come poteva anche accadere e purtroppo accadrà ancora, per una serie di fortunate coincidenze, un ufficio direttivo, sapeva che l’avrebbe potuto mantenere fino al pensionamento, salvo a conquistare nel frattempo un ufficio di grado più elevato.
Non mi soffermo sugli inconvenienti che questo sistema aveva prodotto: tutti abbiamo conosciuto capi di uffici giudiziari anche importanti poco impegnati, sempre più demotivati specie mano che mano che andavano avanti negli anni, del tutto disimpegnati in prossimità del pensionamento, tanto più nel periodo in cui, caduto in crisi il principio gerarchico, i capi per primi si erano convinti (ma era una posizione di comodo) che non avevano alcun potere né i mezzi necessari per governare gli uffici.
Noi magistrati per primi avevamo denunciato questa situazione, proponendo che l’incarico direttivo divenisse temporaneo in modo da rendere possibile, ad ogni scadenza, una verifica della piena attitudine del magistrato all’incarico ricoperto e se del caso la sua sostituzione.
Nessuno perciò vi fece caso quando la regola della temporaneità venne inserita nel nuovo ordinamento giudiziario con effetto retroattivo (contestatissimo poi dai tanti interessati) e, ai tempi del ministro Castelli, tutti impegnati nella discussione sui massimi sistemi, nessuno si accorse che il 4 gennaio del 2008 quasi 400 tra magistrati direttivi e semidirettivi di altrettanti uffici di colpo sarebbero cessati dalle loro funzioni: col tempo ci abitueremo, dopo aver fatto il presidente di tribunale o di corte di appello, a tornare a fare il giudice e vedere il nostro posto occupato da un collega molto più giovane ma per ora tutto ciò contrasta con una mentalità acquisita nel tempo e il vero e proprio sconquasso che si è verificato sul piano psicologico per i tanti magistrati interessati dalla riforma si è aggiunto al problema molto più serio che 400 uffici da un giorno all’altro sarebbero stati privati della loro direzione. All’ultimo momento come si usa in Italia si è rimediato con decreto legge che ha previsto una proroga di sei mesi per dar tempo al CSM di provvedere e di fatto nei sei mesi successivi e tuttora il CSM ha fatto salti mortali per rimediare ad una situazione che si profilava di estrema gravità. Ve ne parlerà credo il rappresentante del CSM quando prenderà la parola.
In concreto abbiamo trascorso quest’anno in attesa che la gran parte degli uffici trovassero un assestamento organizzativo: una cosa da niente come potete immaginare per uffici che già prima arrancavano per conto loro. Ancora oggi sono interessati al problema due dei tre tribunali del distretto, Lecce e Brindisi, mentre nel terzo –Taranto- solo da un mese si è insediato il nuovo presidente, il dr Morelli al quale colgo l’occasione per rivolgere un augurio di buon lavoro… che ce n’è tanto bisogno, non di auguri ma di buon lavoro…. Sono stati designati ma non hanno ancora preso servizio i presidenti dei tribunali per i minorenni di Lecce e Taranto e il procuratore per i minorenni di Taranto; non sono stati neppure designati il presidente del tribunale di sorveglianza di Taranto e il Procuratore della Repubblica di Brindisi, solo da pochissimo hanno preso servizio i procuratori della repubblica di Lecce, di Taranto e del tribunale per i minorenni di Lecce.
Ma ora, superata in parte la bufera (non elenco neppure i posti semidirettivi di procuratore aggiunto o di presidente di sezione ancora scoperti) siamo in condizioni di ripartire e dobbiamo, cari colleghi, rimboccarci le maniche senza stare in attesa di qualche evento messianico, rendendoci conto che qui ed ora, con i mezzi di cui disponiamo e nelle difficoltà in cui ci troviamo, dovremo dar prova di sapere fare fronte alla situazione, perché –vedete- quella di assumere la direzione di un ufficio è sicuramente una giusta aspirazione per tutti noi ma non è certamente un obbligo di legge e, se abbiamo chiesto ed ottenuto la direzione di un ufficio, dobbiamo sapere che ci siamo assunta la responsabilità di esserne all’altezza, dando l’esempio, lavorando più degli altri, rendendoci conto infine che non sarà più possibile continuare a chiedere senza dare.
Questo è l’impegno che oggi ci viene richiesto e questo è l’impegno che in un’occasione come questa dobbiamo pubblicamente assumerci, consapevoli anzi auspicando che non sarà più possibile sottrarci alle responsabilità che ce ne derivano: non è un caso che, con riferimento ad una grave recente vicenda, in cui si è registrato un aspro conflitto tra due uffici di procura e in relazione alla quale perfino il Presidente della Repubblica ha dovuto spiegare il suo preoccupato intervento, la più grave misura è stata adottata nei riguardi di un capo di ufficio per omessa vigilanza sulle condotte dei magistrati a lui sott’ordinati rispetto a quelle adottate nei riguardi dei magistrati che di tali condotte si sarebbero resi responsabili.
La presenza degli avvocati nei consigli giudiziari
Solo alcuni di noi magistrati hanno visto con favore questa parte della riforma e molti considerano l’ingresso degli avvocati nei consigli giudiziari una vera e propria intrusione, tanto più che loro sono estremamente gelosi della indipendenza del loro ordine.
Le ragioni per cui molti di noi sono contrari derivano dalla preoccupazione che gli avvocati, potendo in qualche modo interferire sullo status dei magistrati, possano disporre nei loro confronti di una potente arma di pressione che potrebbero usare nel loro personale interesse.
E però, una volta previsto che la componente avvocati non partecipa alle deliberazioni riguardanti lo status e le valutazioni di professionalità dei magistrati, questo pericolo non esiste o è estremamente ridotto ed è ampiamente compensato dai possibili vantaggi.
E dunque, attraverso la loro presenza nei consigli giudiziari, gli avvocati partecipano a pieno titolo alla gestione degli uffici, possono prendere iniziative e comunque interloquiscono su tutto ciò che riguarda il loro efficiente funzionamento.
Non è davvero cosa da poco se pensate che, intervenendo per esempio sul progetto organizzativo di un ufficio, gli avvocati possono indirettamente fare emergere insufficienze nella direzione dell’ufficio, inadeguatezze ed incapacità dei giudici addetti ai settori di servizio giudicati inefficienti e così via.
Per ora, ma siamo agli inizi e per tutto agli inizi c’è bisogno di un periodo di rodaggio, la partecipazione degli avvocati ai lavori del Consiglio giudiziario è stata piuttosto timida; in un certo senso hanno preferito stare a guardare per rendersi conto della situazione, un atteggiamento in definitiva di apprezzabile prudenza che fuga quella preoccupazione di intrusione; finora però non ci siamo occupati di cose importanti, vedremo cosa avverrà quando a breve dovremo occuparci di tabelle di organizzazione degli uffici.
Ma l’importante è che si sia realizzata questa nostra apertura all’esterno, che si siano create le premesse di un dialogo che non potrà non essere foriero di utili risultati.
E’ su questo terreno, signori avvocati, che preferiamo confrontarci con voi e per questo non comprendiamo le ragioni del vostro ultimo sciopero, che a parte gli obiettivi che abbiamo in comune con voi (contrastare il fenomeno dei magistrati fuori ruolo, assicurare effettività al principio di obbligatorietà dell’azione penale, puntare ad una seria riforma dei codici, contrastare la legislazione di emergenza nella mala interpretata esigenza di sicurezza dei cittadini e che finora non ha prodotto nulla di positivo), per il resto serve solo a creare divisioni e ad aggravare una situazione giudiziaria di per se difficile.
Per quanto ci riguarda e credo di poter parlare anche a nome del Procuratore generale, confermiamo l’impegno, come stiamo già facendo da tempo, ad un’azione comune per cercare assieme a voi i rimedi possibili ad ogni situazione di inefficienza, reprimendo anche, quando occorre, condotte censurabili da chiunque tenute che nuocciono alla serenità ed al rispetto dei rapporti reciproci.
Anche la nostra associazione si pone come obiettivo prioritario quello di “garantire una elevata professionalità dei magistrati italiani e il rigoroso rispetto delle regole del processo e deontologiche in uno con la tutela della credibilità della magistratura sul piano dell’etica e della responsabilità”
I magistrati italiani considerano infatti l’autonomia e l’indipendenza della magistratura come valori posti a presidio dei diritti fondamentali dei cittadini e non come privilegi corporativi e per questo sono i primi a chiedere interventi rigorosi e tempestivi nelle ipotesi di forte caduta di professionalità, ma anche e soprattutto nelle situazioni che denotano neghittosità, collusioni, opacità.”
Ma altrettanto è chiaro chiediamo anche a voi.
L’andamento della giustizia nel distretto di Lecce
Dopo questa lunga premessa è venuto il momento di parlare della situazione degli uffici giudiziari del distretto, dell’andamento in generale della giustizia, di quali siano le prospettive nel prossimo anno… ma i limiti di tempo che mi tocca rispettare, come poi chiederò anche a voi nel dibattito che seguirà, mi impongono una estrema sintesi.
La mia relazione scritta che vi è stata distribuita è invece fin troppo analitica e ricca di numeri e dati statistici, un vero supplizio per voi se ve la dovessi leggere per intero. E lascio a voi quindi la scelta se e quando leggerla: se la leggerete, se anche vi soffermerete sulle tavole di statistica elaborate dalla nostra validissima funzionaria preposta a questo servizio, qualche informazione interessante forse la troverete. Ed è solo per sollecitare la vostra curiosità che ne farò una rapidissima sintesi anche per non far torto a chi, le forze dell’ordine in primis -carabinieri, polizia e guardia di finanza- ma anche il personale di cancelleria (e non parlo dei giudici) merita che del suo eccezionale impegno, profuso in una situazione di difficoltà, sia fatta quanto meno una rapida menzione.
La situazione della giustizia penale
Tanto nella corte di appello (sede centrale e sede distaccata di Taranto) che nei tre tribunali del distretto si registra un costante e sensibile incremento del numero dei procedimenti penali pervenuti nel periodo di riferimento ed al tempo stesso, come conseguenza di una apprezzabile maggiore produttività in assoluto dei singoli uffici, derivante dagli accorgimenti organizzativi adottati, un discreto aumento del numero dei procedimenti definiti.
Per la corte di appello il saldo finale è stato comunque negativo poiché il numero dei procedimenti definiti è stato in ogni caso inferiore a quello dei procedimenti pervenuti e ciò ha determinato un ulteriore incremento delle pendenze finali.
Anche presso gli uffici dei giudici di pace, cui solo da qualche anno è stata attribuita competenza in materia penale, si deve registrare la formazione di una pendenza in progressivo aumento che, se ancora allo stato non può definirsi patologica, ben presto lo diverrà: anche in questo caso il consistente numero dei procedimenti definiti risulta quasi sempre inferiore a quello dei procedimenti pervenuti.
Il dato statistico è in proposito illuminante:
nella corte di appello (compresa la sezione distaccata di Taranto) nel periodo di riferimento sono pervenuti 3.554 procedimenti a fronte dei 3.127 pervenuti nel periodo precedente con un incremento quindi del 13,6 per cento mentre nel 2007 (un dato sulle cui cause bisognerà approfondire la riflessione) si era verificato un sensibile decremento ed una riduzione del 15,8 per cento. Sempre nel periodo di riferimento sono stati definiti 3.090 procedimenti a fronte dei 3.074 definiti nel corrispondente periodo dell’anno precedente con un modesto incremento quindi dello 0,5 per cento. Il saldo, come dicevasi, è però negativo perché a fronte dei 5.174 procedimenti pendenti al 30.6.07 la pendenza è ora di 5.636 procedimenti con un aumento dell’8,9 per cento.
Presso la corte di assise di appello si registra un aumento da 13 a 16 dei procedimenti pendenti essendone stati definiti 9 a fronte dei 12 pervenuti.
Sostanzialmente stabile o anche migliorata è la situazione dei tribunali.
Al Tribunale di Lecce (comprese le sezioni distaccate), nel periodo in riferimento, sono stati definiti a giudizio 3.869 procedimenti a fronte dei 3.868 definiti nel corrispondente periodo dell’anno precedente; ne sono pervenuti 3.980 a fronte dei 4.174 dell’anno precedente; la pendenza alla fine del periodo è di 6.648 procedimenti a fronte dei 6.625 della fine del periodo precedente.
Al Tribunale di Brindisi (comprese le sezioni distaccate), nel periodo in riferimento, sono stati definiti 2.629 procedimenti a fronte dei 2.363 del periodo precedente; ne sono pervenuti 2.377 a fronte dei 2.396 del periodo precedente; alla fine del periodo i procedimenti pendenti erano 2.661 a fronte dei 2.919 della fine del periodo precedente: in questo caso si è verificata una sensibile riduzione della pendenza dovuta alla maggiore produzione nel periodo.
Al Tribunale di Taranto (comprese le sezioni distaccate), nel periodo in riferimento, sono stati definiti 4.990 procedimenti a fronte dei 4.047 del periodo precedente; ne sono pervenuti 4.029 a fronte dei 3.220 del periodo precedente; ne risultano pendenti 7.755 a fronte degli 8.736 del periodo precedente con una sensibile riduzione in questo caso della pendenza finale dovuta alla maggiore produzione che ha anche compensato il maggior numero delle sopravvenienze.
Presso i Tribunali per i minorenni di Lecce e di Taranto si registra un modesto incremento delle pendenze penali; i procuratori della repubblica minorili attribuiscono questa crescita essenzialmente alla reintroduzione del reato di guida senza patente e ritengono invece che la devianza minorile sia nel distretto sostanzialmente stabile, a parte il sommerso di illeciti non scoperti o più spesso non denunciati, che certamente esiste ma non è per sua natura quantificabile.
Diversa è la situazione degli uffici del GIP-GUP.
All’ufficio Gip-Gup del Tribunale di Lecce: nel periodo di riferimento sono pervenuti 7.765 procedimenti contro noti (a fronte dei 9416 del periodo precedente); ne sono stati definiti 10.455 (a fronte degli 8.901 del periodo precedente); alla fine del periodo vi erano pendenti n. 8.404 procedimenti a fronte degli 11.328 del periodo precedente; in questo caso la sensibile diminuzione della pendenza è dipesa principalmente dalla riduzione del numero dei procedimenti sopravvenuti.
All’ufficio Gip-Gup del Tribunale di Brindisi: nel periodo di riferimento sono pervenuti n. 7.949 procedimenti contro noti a fronte degli 8.168 del periodo precedente); ne sono stati definiti 7.411 (a fronte dei 9.481 del periodo precedente); la pendenza a fine periodo è stata di 2.972 procedimenti (a fronte dei 2.825 della fine del periodo precedente).
All’ufficio del Gip-Gup del Tribunale di Taranto: nel periodo di riferimento sono sopravvenuti 8.206 procedimenti contro noti a fronte dei 7.475 del periodo precedente; ne sono stati definiti 6.646 (a fronte dei 5.579 del periodo precedente); a fine periodo erano pendenti n. 13.751 procedimenti a fronte dei 13.934 del periodo precedente.
In controtendenza, dunque, sul dato complessivo relativo ai procedimenti contro noti, davanti ai gip-gup si è registrata una sensibile riduzione che è del 4,5 per cento, quanto ai procedimenti sopravvenuti nel periodo (23.920), e del 10,5 per cento quanto ai procedimenti pendenti (25.127).
I procedimenti contro ignoti nei tre uffici Gip-Gup sono stati, nel periodo, rispettivamente di 5.164 a Lecce, 4.237 a Brindisi, 6.034 a Taranto con un incremento del 7,2 per cento sul dato complessivo di 15.435 procedimenti a fronte dei 14.399 del periodo precedente.
Ai giudici di pace del distretto nel periodo di riferimento sono pervenuti a dibattimento (si omette il dato dei procedimenti definiti senza rinvio a giudizio o contro ignoti) 3.462 procedimenti mentre ne sono stati definiti 3.039; a fine periodo il numero dei procedimenti pendenti era di 4.127 (a fronte dei 3.728 della fine del periodo precedente).
La situazione della giustizia civile
Analogo e addirittura più appariscente è l’andamento dei procedimenti in materia civile.
Nel periodo di riferimento sono pervenute alla corte (il dato si riferisce ai soli procedimenti di cognizione ordinaria) n. 2.156 cause con un incremento rispetto al periodo precedente dell’8,4 per cento; ne sono state definite 1.953, l’1,4 per cento in più rispetto al periodo precedente ma sempre meno delle cause sopravvenute; inevitabile di conseguenza l’aumento delle cause pendenti che erano a fine periodo 5.396 a fronte delle 5.200 pendenti alla fine del periodo precedente con un incremento del 3,8 per cento.
Nello stesso periodo al Tribunale di Lecce sono pervenute 3.708 cause a cognizione ordinaria; ne sono state definite 2.733 (di cui 1.086 con sentenza); a fine periodo il numero delle cause pendenti era pervenuto a 25.603.
Al Tribunale di Brindisi sono pervenute 2.738 cause a cognizione ordinaria mentre ne sono state definite 2.618 di cui 1.221 con sentenza; la pendenza a fine periodo è stata di 8.987 cause.
Al Tribunale di Taranto sono pervenute 3.688 cause mentre ne sono state definite 3.637 di cui 1.980 con sentenza; a fine periodo sono pendenti n. 17.106 cause a cognizione ordinaria.
Per tutti gli uffici dal dato statistico trova conferma il rilievo che il numero delle cause definite è sempre inferiore a quello delle cause sopravvenute con l’ineluttabile conseguenza dell’incremento delle pendenze. Significativo è anche il fatto che meno del 50 per cento delle cause definite si sono concluse con sentenza, mentre la maggior parte si è conclusa con modalità diverse, che per lo più presuppongono un accordo tra le parti.
Il che per certi aspetti potrebbe essere un dato positivo, nel senso che le parti in causa, raggiungendo un accordo transattivo, avrebbero comunque dimostrato di essere in grado di porre un limite alla loro litigiosità; molto più spesso però all’accordo transattivo si perviene perché non si ripone fiducia nel servizio giustizia per le lungaggini delle cause.
Anche per la c.d. giustizia minore, quella affidata ai giudici di pace, che in realtà non è più tale, sol che si consideri l’aumentato limite della competenza per valore, si è verificata una progressiva crescita dei procedimenti sopravvenuti, un significativo aumento, rispetto al precedente periodo dei procedimenti definiti, maggiore in termini percentuali ma inferiore in termini assoluti rispetto ai procedimenti pervenuti nello stesso periodo; quindi un sensibile aumento a fine periodo dei procedimenti pendenti.
Complessivamente, nel periodo di riferimento, sono pervenuti ai giudici di pace del distretto 66.885 procedimenti (11.494 a Brindisi, 34.227 a Lecce, 21.164 a Taranto) con un incremento rispetto al periodo precedente del 5,2 per cento; mentre ne sono stati definiti 58.883 (10.849 a Brindisi, 27.758 a Lecce, 20.276 a Taranto), il 6,9 per cento in più rispetto al periodo precedente molto meno però di quelli sopravvenuti; il numero di procedimenti pendenti a fine periodo era di 70.381 con un incremento rispetto al precedente periodo (che registrava una pendenza di 62.376) del 12,8 per cento.
La giustizia del lavoro
Assai allarmanti –avuto riguardo alla specificità della materia- sono i dati relativi alla giustizia del lavoro. Particolarmente allarmante –ai fini della responsabilità dello Stato per il ritardo- è il fatto che quasi di regola, nei giudizi di primo grado, la prima udienza di comparizione venga fissata ben al di là del termine stabilito dalla legge (che praticamente è impossibile rispettare) ma spesso a distanza di anni, in coda ai processi già pendenti. In conseguenza di tale prassi avviene purtroppo che il giudizio di fatto inizia a distanza di anni dall’atto introduttivo.
Nel periodo di riferimento sono pervenute alla Corte di appello 3.360 cause ( di cui 2655 in materia previdenziale, 151 in materia di pubblico impiego, 554 di lavoro privato), il 13,1 per cento in meno rispetto al periodo precedente (va rilevato che la riduzione riguarda prevalentemente –il 39,6 per cento- le cause in materia di lavoro privato e molto meno –il 5 per cento- la materia previdenziale); ne sono state definite 2.622, il 12,9 per cento in meno rispetto al periodo precedente; a fine periodo i procedimenti pendenti erano di 5.576 a fronte dei 4.838 della fine del periodo precedente, con un incremento del 15,2 per cento.
Nello stesso periodo alla sezione distaccata di Taranto sono pervenuti 637 procedimenti (di cui 418 in materia previdenziale); ne sono stati definiti 331, il 23,5 per cento in più rispetto al periodo precedente ma meno di quelli sopravvenuti; sicché alla fine del periodo il numero dei procedimenti pendenti è cresciuto a 1.324 (a fronte dei 1.022 del periodo precedente) con un incremento del 29,5 per cento.
Quanto a tribunali del distretto risultano pervenuti nel periodo di riferimento 5008 procedimenti (di cui 4.238 in materia previdenziale) a Brindisi; 3.238 (di cui 2.867 in materia previdenziale) a Lecce (ma si tratta di un dato parziale e del tutto inaffidabile), 15.922 (di cui 13.316 in materia previdenziale) a Taranto. Ne sono stati definiti: 2.822 a Brindisi, 1.380 a Lecce, 14.454 a Taranto. A fine periodo i procedimenti pendenti erano: 10.577 a Brindisi, 30.588 a Lecce, 43.842 a Taranto, per definire i quali, tenuto conto della produttività media degli uffici e senza tener conto del presumibile incremento dei procedimenti nuovi, occorrono dai cinque ai sei anni: un periodo di tempo decisamente superiore a quella che si ritiene essere la ragionevole durata di un processo.
Per quanto riguarda questa specifica materia, rileva il Presidente del Tribunale di Lecce che “”oltre ad un costante aumento del contenzioso sia in materia di lavoro ordinario sia di previdenza ed assistenza, va rimarcato l’impatto crescente delle norme in tema di organizzazione dei rapporti di lavoro nelle pubbliche amministrazioni ai sensi del decreto legislativo 31.3.1998 n. 80 (il riferimento è oggi al T.U. approvato con decreto legislativo 30.3.2001 n. 165 contenente “norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”) con un progressivo aumento delle controversie in questo settore. Inizialmente tale contenzioso si è manifestato prevalentemente con richieste di provvedimenti cautelari; a distanza di otto anni dalla devoluzione al giudice ordinario delle controversie in questione, alle richieste in via di urgenza, che pure permangono e sono in aumento, si è aggiunto un contenzioso in sede di merito via via crescente, sia in termini numerici, sia in termini di peso percentuale sull’intero volume delle controversie di competenza della sezione. Questa tendenza all’aumento delle controversie appare costante e destinata a protrarsi nel tempo.””
“”Il crescente aumento della quota percentuale delle controversie in materia di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, appare il dato statisticamente più significativo; si tratta infatti di un contenzioso interamente aggiuntivo rispetto al passato, senza che vi abbia fatto riscontro un adeguato aumento delle risorse umane, pur risultando il nuovo contenzioso particolarmente impegnativo per quantità e qualità, venendo per lo più all’attenzione dei magistrati questioni giuridiche nuove e complesse, in conseguenza della profonda riforma della disciplina sostanziale e processuale intervenuta nel settore””
E ciononostante, nel Tribunale di Lecce, se pure i magistrati che sono addetti al settore sono numericamente inadeguati, malgrado il costante aumento delle pendenze, i tempi del processo del lavoro sono abbastanza contenuti. Non vi sono molti processi pendenti da oltre un triennio, e, rispetto agli stessi, secondo quanto riferisce il Presidente del Tribunale, ciascun magistrato si è impegnato, in conformità agli accordi presi nelle apposite riunioni di sezione, alla definizione prioritaria mediante fissazione anticipata ed anche con udienze ravvicinate e straordinarie.
I tempi di definizione dei processi
Dai dati su riferiti emerge con ogni evidenza che il progressivo incremento del numero degli affari sopravvenuti, anche a fronte di una maggiore ma più contenuta produttività degli uffici, determina, specie presso la corte di appello, un allungamento dei tempi di definizione dei procedimenti che già in passato aveva raggiunto livelli impensabili ed è perciò assai preoccupante sia perché si risolve in una denegata giustizia sia per le conseguenze patrimoniali che ne derivano all’erario, sia infine per le conseguenze negative e finora non sufficientemente indagate che possono derivarne sul sistema economico nazionale.
Limitando l’esame ai giudizi di appello, va rilevato che, per i giudizi penali, la durata media è stata di giorni 438 nel 2005, 463 nel 2006, 551 nel 2007 e 521 nel 2008 (questa riduzione per l’anno in corso è un fatto assolutamente eccezionale che si spiega col recente indulto poiché, una volta che la pena era stata dichiarata estinta, il processo non è proseguito nei gradi ulteriori come invece sarebbe avvenuto se non si fosse potuto fare affidamento sulla concessione del beneficio). Per i giudizi civili invece –e sempre con riferimento al grado di appello- la durata media è stata sempre crescente, di 818 giorni nel 2005, di 903 giorni nel 2006, di 937 giorni nel 2007, di 868 giorni nel 2008 mentre in materia di lavoro e di previdenza la durata media è stata di giorni 398 nel 2005, 401 nel 2006, 468 nel 2007, di 635 nel 2008. Insiste particolarmente sul punto il Presidente della sezione distaccata di Taranto il quale rileva che “la durata dei processi civili in grado di appello, lungi dal subire l’auspicata contrazione, si è fisiologicamente allungata sia per il numero e la complessità degli affari sopravvenuti sia per la endemica inadeguatezza dell’organico dei magistrati ed ancor più del personale di cancelleria le cui scoperture di organico incidono in maniera sempre più pesante sull’andamento e la speditezza dei servizi, soprattutto se rapportato a quello dell’ufficio giudiziario sott’ordinato”.
Se si considera che in primo grado i processi hanno una durata media di gran lunga superiore e che poi bisogna aggiungere il tempo di durata dell’eventuale giudizio di legittimità, non è difficile pervenire alla conclusione che la durata media dei processi sia penali che civili o di lavoro è assai superiore a quella che si ritiene la durata ragionevole di un processo.
Le conseguenze: la prescrizione dei reati
E di fatti da un lato –e per quanto riguarda i processi penali- sempre rilevante è il numero delle prescrizioni, dei reati cioè per i quali, nonostante l’enorme dispendio di energie processuali, la decisione non giunge in tempo ad evitarne l’estinzione; per altro verso sempre crescente è l’ammontare degli esborsi che lo Stato corrisponde a titolo di indennizzo alle parti per la violazione del termine ragionevole di durata di processi.
Quanto alle prescrizioni (che non di rado hanno riguardato non solo reati c.d. bagatellari ma anche reati di una certa gravità) e, senza tenere conto delle prescrizioni (che non entrano nella relativa statistica) che maturano nella fase delle indagini preliminari e che si concludono con un provvedimento di archiviazione, i reati prescritti sono stati 418 in corte di appello (a fronte dei 528 del periodo precedente); 1.214 nei tribunali (a fronte dei 1.014 del periodo precedente), 2.133 davanti ai gip (a fronte dei 3.021 dell’anno precedente).
Gli indennizzi pagati dallo Stato per il ritardo
Quanto agli indennizzi erogati alle parti per l’eccessiva durata dei processi, essi ammontano per quanto riguarda questo distretto –che si occupa dei ritardi verificatisi nel distretto di Bari- ad euro 330.000 nel 2006 (di cui 298.835,70 alle parti e 31.164,30 ai difensori); ad euro 359.178,43 (di cui 297.846,48 alle parti e 61.331,95 ai difensori) nell’anno 2007; ad euro 580.322,07 (di cui 520.668,02 alle parti e 59.654,05 ai difensori) nell’anno in corso fino alla data odierna. Vi è però un debito dell’Amministrazione per indennizzi, già liquidati e non pagati per mancanza di disponibilità, di euro 1.600.000,00, una cifra enorme che, se diversamente utilizzata, basterebbe a risolvere molti problemi operativi dell’amministrazione giudiziaria.
Per i nostri ritardi invece –quelli cioè riguardanti uffici giudiziari del nostro distretto- la competente corte di appello di Potenza ha liquidato per l’anno 2006 euro 217.730,77, per l’anno 2007 euro 450.400,89, per l’anno 2008 euro 463.858,92; vi sono liquidazioni in sospeso –per cui mancano i fondi- per complessivi euro 979.337,46.
Le cause della crisi
Ben note –tanto che può essere superfluo ritornare sull’argomento- sono le cause di tale fenomeno, riconducibili innanzitutto dai maggiori ambiti della giurisdizione e alla farraginosità dei procedimenti caratterizzati da garanzie solo formali che, senza assicurare sul piano sostanziale, alcuna effettiva esigenza di tutela, si prestano a strumentalizzazioni di vario tipo sempre finalizzate a ritardare la definizione dei procedimenti, a tutto beneficio di chi non vi ha interesse cioè in definitiva di chi ha torto ovvero di chi pretende di mettere sempre e ripetutamente in discussione una decisione a se sfavorevole. E’ quanto avviene per esempio (e prescindendo dalle ben più gravi incongruenze della procedura penale) nella materia relativa al contenzioso familiare, dove la recente innovazione che ha previsto il reclamo alla corte di appello delle decisioni temporanee assunte dai presidenti tribunale all’udienza di comparizione dei coniugi, consente un procedimento parallelo a quello principale in quanto da un lato induce alcuni presidenti di tribunale a compiere indagini istruttorie finalizzate ad un più motivato provvedimento (che al contrario, per essere destinato a soddisfare interessi che esigono una immediata tutela e data la sua natura di provvedimento provvisorio ed urgente, non dovrebbe tollerare ritardo), da altro lato ritarda l’inizio della vera e propria fase istruttoria di competenza del giudice con il risultato che provvedimenti delicatissimi, come quelli sull’assegnazione della casa coniugale, sull’affidamento dei figli minori e sul regime di visite e di contribuzione economica di ciascuna delle parti, sono soggetti a cambiamenti ed a ritorni a precedenti assetti che, oltre a fornire un oggettivo cattivo esempio di amministrazione della giustizia, acuiscono la tensione in controversie già per loro natura delicate e determinano nei minori traumi ancora maggiori di quelli che la separazione dei genitori già ha provocato. Di qui la necessità di interventi di carattere strutturale (e ben poco avrebbero potuto incidere quelli anticipati nella precedente legislatura, poi comunque abbandonati dalla nuova maggioranza, che ha allo studio interventi di tipo diverso sui quali allo stato non è possibile pronunciarsi non essendo disponibili informazioni adeguate) in grado di determinare un profondo cambiamento culturale ed un ripensamento profondo del ruolo della giurisdizione .
Gli intereventi necessari e più urgenti
Per esempio è necessario cambiare radicalmente tutto il sistema delle comunicazioni tra uffici giudiziari ed utenti del servizio, che dovrà essere improntato alla stessa speditezza ed efficienza con la quale si svolgono le comunicazioni in qualunque struttura civile moderna. Non si comprende la ragione per la quale importantissime comunicazioni tra governi, banche, società multinazionali possano giovarsi degli ordinari sistemi informatici, mentre solo la giustizia debba ancora servirsi di avvisi, notifiche e quant’altro possa ritardare, confondere ed aumentare il peso della carta nei nostri fascicoli. Sembra del tutto indifferibile affermare il principio che, una volta che un soggetto sia informato dell’inizio di un procedimento giudiziario che lo riguardi, debba assumersi l’onere di informare l’ufficio procedente di qualsiasi cambio di indirizzo, non solo geografico, ma anche telefonico o di posta telematica, in modo che qualunque comunicazione ne sia semplificata e resa rapida e sicura. Si tratta a ben vedere di un circolo vizioso perché tutto ciò non sarà possibile o non sarà accettabile fino a quando i processi dureranno anni se non proprio decenni perché sembra inaccettabile la previsione di questo obbligo di comunicazione a carico del privato se non temporalmente limitato ad un ragionevole periodo di tempo.
Al contrario la norma di cui all’art. 157 comma 8 bis codice di procedura penale che permetteva, nella sua formulazione originaria, di eseguire tutte le notificazioni successive alla prima presso il difensore di fiducia quale domiciliatario ex lege e che garantiva una semplificazione della procedura di notificazione degli atti prevenendo comportamenti volontariamente dilatori dell’imputato, in forza della modifica introdotta con la legge di conversione, consente al difensore la possibilità di dichiarare immediatamente all’autorità che procede di non accettare la notificazione e la frequenza con cui i difensori si sono avvalsi di tale facoltà ha di fatto reso nulla l’operatività della norma vanificandone le finalità.
Assai efficacemente scrive a riguardo il Presidente del Tribunale di Brindisi che “tanto i magistrati che gli avvocati, al di là dei buoni propositi esternati a parole, mostrano nel concreto di non assumere l’impegno di pervenire in tempi rapidi alla definizione dei processi e di essere per converso pervicacemente occupati nel trasformare lo svolgimento del processo in un’estenuante corsa ad ostacoli, caratterizzata da cavillosa dialettica fine a se stessa, produttrice non di rado di interminabili grado di giudizio: dialettica alimentata dall’attuale produzione legislativa a getto continuo, farraginosa e contraddittoria, se non addirittura incomprensibile, fattore a sua volta di litigiosità affatto estranea alla natura ed alla finalità della domanda di giustizia e spesso indotta da una vera e propria monomania garantistica che nella sostanza nulla aggiunge alla doverosa tutela dell’esercizio del diritto di difesa… (per cui è necessario in primis) che il legislatore si impegni, con forte volontà politica, nell’opera di semplificazione delle vigenti normative di diritto processuale, ridando ad esse coerenza di principi e stabilità di contenuto”.
“E solo se a tanto si accompagni un profondo senso di autocritica dei protagonisti tecnici del processo, in uno con la concorde volontà di procedere ad un deciso mutamento del loro modus operandi e di fare propria la cultura della conciliazione delle controversie, potrà essere smentito il diffuso convincimento che l’Italia è terra di litiganti e di ricorso smisurato al giudice e che la lentezza dei processi è alimentata ed aggravata dall’elevato tasso di litigiosità e potrà al fine essere conseguito il bene irrinunciabile del processo concluso in tempi ragionevoli solennemente consacrato dalla Costituzione.”
Significativa è a riguardo, secondo lo stesso presidente di tribunale, il limitatissimo numero dei provvedimenti adottati ai sensi degli articoli 185, 186 bis, 186 ter e 186 quater di soli otto verbali di conciliazione, in tutto il circondario comprese le sezioni distaccate; quattordici ordinanze di pagamento, altrettante ingiunzioni e ordinanze ai sensi dell’art. 186 quater. L’esiguità numerica dei provvedimenti in parola dimostrerebbe l’irrilevanza sul piano pratico degli istituti cui essi attengono e sulla loro effettiva capacità deflattiva del contenzioso ma al tempo stesso “la direbbe lunga sulla disponibilità delle parti a privilegiare il conseguimento dell’obiettivo della definizione in tempi rapidi delle controversie”.
In una prospettiva sia pure diversa, rileva a sua volta il Presidente del Tribunale di Taranto che “”le riforme strutturali o normative, se ritenute indispensabili, dovrebbero essere attuate dotando gli uffici delle strutture necessarie, contemporaneamente alla loro entrata in vigore e non successivamente, come di solito accade, se accade.
Va tenuto conto inoltre del disagio e della perdita di tempo che talora comportano, richiedendo la riorganizzazione dell’ufficio, di talché non sempre si risolvono in un beneficio.
Anche nel continuo mutamento delle norme di diritto sostanziale va ravvisata una delle cause della crisi della giustizia, comportando talora il rinnovo di buona parte degli atti dei processi in corso.
L’introduzione del nuovo rito societario, di cui non si sentiva affatto il bisogno, estremamente oneroso per la pletora degli scritti difensivi che consente, spesso da luogo a conflitti incidentali sull’ammissibilità delle istanze relative alla fissazione dell’udienza di comparizione delle parti. La soluzione dei relativi incidenti è stata devoluta inopportunamente al presidente del tribunale anziché al giudice che in caso di rigetto dell’eccezione conoscerebbe del merito, con conseguente antieconomico impegno di due magistrati diversi.
Auspicabile sarebbe il riordino della legislazione vigente, caratterizzata da eccessiva frammentarietà, attraverso la elaborazione del maggior numero possibile di testi unici, che, regolando organicamente le varie materie, renderebbero più agevole la ricerca della norma da applicare al caso concreto.
E’ noto infatti che la tecnica legislativa, non sempre adeguata, talora per l’omissione dei necessari raccordi con le altre norme vigenti, più spesso per il rinvio, a volte multiplo, ad altri testi normativi, rende difficile la ricerca e l’interpretazione, contribuendo non poco all’allungamento dei tempi della definizione dei processi””.
Alla quale efficace rimedio, secondo il Presidente del Tribunale di Lecce, potrebbero costituire: “”l’introduzione della così detta decisione semplificata, sperimentata favorevolmente nel processo amministrativo (art. 9 legge 21.7.2000 n. 205, almeno nella parte in cui riduce sensibilmente l’obbligo della motivazione); l’istituzione di camere arbitrali per alcune categorie di controversie che, rendendo obbligatorio il percorso di una preventiva fase di composizione già in uso in altri paesi, renderebbe soltanto eventuale il ricorso alla giurisdizione; la rimessione, secondo la competenza ex legge 16.12.1999 n. 479, di tutti i processi delle ex preture parte al giudice di pace e parte alle sezioni stralcio; il trasferimento alle sezioni stralcio di tutti i processi del vecchio rito di competenza collegiale; la riduzione del periodo di tirocinio degli uditori fino alla completa copertura degli organici; la soppressione del divieto di destinazione degli uditori giudiziari con funzioni, per i primi tre anni, alla trattazione del rito monocratico penale; l’attenuazione del rigore tabellare che, mediante l predisposizione di criteri predeterminati ed obbiettivi per la costituzione del giudice naturale e per l’assegnazione degli affari, toglie al dirigente la concreta possibilità di assumere provvedimenti conformi alle tabelle al fine della designazione del giudice nei casi in cui le stesse, pur correttamente ed esaustivamente predisposte, non possano soccorrere in considerazione del vario combinarsi di particolari circostanze riguardanti la situazione dell’organico dell’ufficio; una più severa disciplina in materia di ricusazione che, escludendo in tutti i casi, senza eccezione, l’effetto sospensivo dell’istanza sul processo in cui viene proposta, sia idonea ad evitare l’uso strumentale dell’istituto a fini dilatori, divenuto ormai sempre più frequente””:
Non va trascurato tuttavia che all’origine di un così appariscente aumento del contenzioso sia civile che penale vi sono vari fattori, legati alle condizioni dell’economia, all’incremento degli affari ed alla complessità e rapidità di svolgimento dei rapporti economico-sociali, che hanno determinato un ampliamento impensabile degli spazi della giurisdizione, poiché oggi si richiede al giudice di intervenire in ambiti che prima gli erano preclusi ed è davvero strana questa smisurata crescita della domanda di giustizia a fronte della gravissima crisi che colpisce l’organizzazione giudiziaria mentre non è possibile ridurre tutto ad un problema di giustizia perché l’organizzazione giudiziaria, specie nello stato in cui si trova, non può farvi fronte da sola.
La mancanza di mezzi e risorse
Alla crescita esponenziale del contenzioso corrisponde una gravissima carenza strutturale di mezzi e di risorse umane e materiali, che negli ultimi tempi ha raggiunto livelli davvero inimmaginabili, per cui l’effetto sinergico dell’aumento del contenzioso da una parte e della mancanza di mezzi dall’altra, ha prodotto o quanto meno rischia di produrre una vera e propria paralisi in un settore che è nevralgico per l’ordinato sviluppo della società.
Per descrivere questa situazione il Presidente della sezione distaccata di Taranto usa termini davvero accorati perché –dice- “le parole non bastano per descrivere lo stato di profonda prostrazione, sia morale che fisica, in cui versano i magistrati della sezione addetti al penale, costretti ad un immane superlavoro per far fronte al costante aumento degli affari, rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente in tutti i settori: dai processi sia dibattimentali che camerali, dalle pratiche di liquidazione per il gratuito patrocinio, agli incidenti di esecuzione”.
L’informatizzazione
Si consideri in particolare quanto si verifica in materia di informatizzazione dei servizi: nel settore, quaranta anni fa, l’amministrazione della giustizia italiana, con le iniziali esperienze del CED della Cassazione, era all’avanguardia in Europa; ma quel primato ben presto si è perduto poiché alla rapidissima evoluzione della tecnologia non ha corrisposto –a differenza di quanto è avvenuto presso altre amministrazioni anche dello Stato- un’evoluzione analoga dei sistemi informativi dell’organizzazione giudiziaria la quale, nonostante gli elevati traguardi raggiunti, grazie soprattutto all’impegno di pochi volenterosi, è tuttavia assai indietro nella realizzazione dei programmi già messi a punto (si pensi per es. al processo civile telematico), in quanto si richiede impegno di mezzi e di strutture che attualmente mancano.
Per quanto riguarda questo specifico settore dell’informatica, segnalo che alla Procura della Repubblica ed al Tribunale di Lecce è in fase di avanzata realizzazione un progetto finanziato dalla Regione coi fondi credo europei, di cui però ancora non si vedono i pratici risultati.
Per la Corte di appello ma solo di recente è stato approvato dal Ministero, nell’ambito del programma di diffusione delle cosi dette best practices, il progetto, già in via di sperimentazione –a suo tempo la corte di Lecce fu scelta come sede pilota-, di informatizzazione degli archivi con la concessione di un finanziamento di 350.000 euro, la cui gestione è però affidata alla Regione.
Maggiore affidamento dovremmo fare sul progetto deliberato dalla Regione e di cui il Presidente Vendola ci ha dato personalmente comunicazione, secondo cui la Regione dovrebbe farsi carico del rinnovamento tecnologico delle strutture informatiche presso gli uffici giudiziari. Abbiamo prontamente risposto per esprimere apprezzamento per tale iniziativa e ci siamo messi a disposizione e però neppure dopo un sollecito siamo riusciti a stabilire un qualsiasi contatto col dirigente amministrativo della Regione che ci era stato indicato e che avrebbe dovuto occuparsi dell’attuazione del progetto.
Per il momento non si vede quale seguito potrà avere il progetto SIGI (servizio integrato giustizia informatizzata) a suo tempo elaborato, per iniziativa del senatore Maritati, allora sottosegretario al ministero della giustizia, che puntava ad una soluzione complessiva dei problemi della informatizzazione e che, se attuato, avrebbe avuto una ricaduta fortemente positiva sulla stessa durata dei procedimenti . Conclusasi prematuramente la legislatura, il progetto è rimasto un sogno nel cassetto… Il senatore Maritati anche in questa legislatura ne ha fatto oggetto di un disegno di legge ma si sa che i disegni di legge di iniziativa parlamentare, se non sostenuti dal governo, non hanno molte prospettive.
Non sono stati adottati particolari sistemi informativi per portare a conoscenza dei giudici di merito le pronunce difformi da quelle impugnate, pronunciate dalla Corte di Cassazione né si provvede, nei casi di annullamento con rinvio, ad inoltrare copia della sentenza di annullamento al giudice che ha emesso la sentenza cassata. Un sistema di informazione generalizzato per tutte le pronunce di primo grado riformate non sembra giustificato, poiché nella maggior parte dei casi difetta un effettivo interesse a conoscere l’esito del giudizio di appello, che spesso interviene a distanza di anni e spesso dipende da fatti sopravvenuti (maturata prescrizione, modifiche legislative ecc) e nello stesso tempo ne deriverebbe un rilevante impegno lavorativo per le cancellerie. Lo scrivente comunque pensa per il prossimo anno di invitare i giudici di primo grado, nei casi in cui abbiano un effettivo interesse per la particolarità della vicenda a conoscere l’esito del giudizio di appello, a farne segnalazione di volta in volta con apposita annotazione sul fascicolo e solo in tal caso la cancelleria del giudice dell’impugnazione comunicherà copia della sentenza di appello. Mentre per quanto riguarda le sentenza della Cassazione si provvederà a segnalare ai giudici che, attraverso l’accesso al sito della Cassazione, è possibile conoscere lo stato e l’esito dei procedimento (e indirettamente anche l’esito del giudizio di appello) cui si abbia interesse e che è possibile altresì acquisire per via informatica copia integrale della sentenza subito dopo il suo deposito, alla sola condizione di richiederne una volta per tutte l’autorizzazione e l’attribuzione di password. Sicché può essere rimesso all’iniziativa del singolo giudice acquisire ogni notizia a riguardo senza appesantire la cancelleria di ulteriori adempimenti che molto spesso potrebbero risultare superflui.
L’inadeguatezza dell’organico
del personale giudiziario e del personale amministrativo
Ovvia poi la necessità di un sensibile incremento delle risorse a disposizione, discorso questo che è ormai ineludibile considerato il progressivo depauperamento nel tempo di tali risorse: a riguardo tutti gli uffici del distretto denunciano inadeguatezza degli organici e non potrebbe essere diversamente considerato che ormai da oltre otto anni non viene bandito alcun concorso per l’assunzione di personale amministrativo e di supporto ed anche i concorsi per l’accesso alla magistratura hanno subito un notevole rallentamento per effetto delle attuate riforme ordinamentali.
Scrive a riguardo il Procuratore Generale che fra gli interventi indispensabili e con carattere prioritario “vi è l’adeguamento degli organici della magistratura e del personale amministrativo, in relazione al carico di lavoro ed alle caratteristiche della criminalità” ed ha sottolineato a tal proposito “l’inadeguatezza dell’organico della procura distrettuale di Lecce ulteriormente evidenziatasi proprio a seguito della dilatazione della sua competenza distrettuale, in virtù della quale i pubblici ministeri leccesi dovranno occuparsi delle indagini e dei giudizi per un gran numero di delitti diversi da quelli della criminalità mafiosa già attribuiti alla competenza della direzione distrettuale antimafia, commessi anche nei circondari di Brindisi e di Taranto (in particolare di prostituzione e di pornografia minorile) nonché per effetto della recentissima modifica del sistema della prevenzione (introdotta con legge 24 luglio 2008 n. 125 di conversione del decreto legge 23 maggio 2008 n. 92) delle misure personali e patrimoniali nei confronti dei soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall’art. 51 comma 3 bis del codice di procedura penale che dimorino nell’ambito dell’intero distretto, quindi anche nelle province di Brindisi e di Taranto e ciò comporterà il sopravvenire di una rilevante mole di lavoro che verrà a gravare sulla procura di Lecce con conseguenti spostamenti fuori sede del P.M. leccese innanzi alle magistrature giudicanti di Brindisi e di Taranto con ulteriore dispendio di energie e di tempo da parte dell’intera procura.”
D’altra parte non v’è dubbio che, in presenza di una situazione ormai nota a tutti, la volontà politica di non ricostituire gli organici, di non aumentare le possibilità di lavoro straordinario per i dipendenti, di pretendere che si continui a fare sacrifici senza altri riconoscimenti che quelli critici sempre più offensivi, non incoraggerà verso maggiori sacrifici.
A questo proposito chi scrive ritiene doveroso denunciare con forza l’ingiustizia dell’accusa di “fannulloni ed improduttivi” rivolta in genere agli impiegati pubblici ed anche al personale giudiziario, risibilmente indicato come l’unico responsabile delle inefficienze dell’amministrazione pubblica.
Ancora più ingiusto è il trattamento riservato al personale giudiziario, il solo, nel settore pubblico, finora ed inspiegabilmente escluso dalla c.d. riqualificazione e dai modesti benefici che ne derivano anche in termini economici oltre che di collocazione professionale.
Occorre al contrario predisporre una serie di incentivi anche di natura economica per motivare il personale di cancelleria il cui impegno, finora per vero mai mancato, è indispensabile ad ogni prospettiva di riforma.
Le strutture logistiche
Le strutture nelle quali operano gli uffici giudiziari del capoluogo sono buone ed adeguate, specie ora che le sezioni civili e del lavoro della corte di appello sono state allocate in uno stabile di nuova costruzione di recente acquisito, sito in prossimità della sede del Tribunale civile e dell’ufficio del giudice di pace, e poco distante dall’attuale palazzo di giustizia di modo che la separazione degli uffici penali da quelli civili, attraverso la realizzazione di due distinti poli, non comporterà alcun disagio agli utenti né difficoltà di alcun genere.
Il Tribunale per i minorenni di Lecce ha trovato una più che decorosa sistemazione nel complesso monastico Missionari di San Vincenzo dei Paoli, comunemente noto come Villa Bobò, già destinato in passato a casa penale e di recente restaurato, in vista della nuova destinazione, con grande impegno finanziario dello Stato e con grande perizia ed ottimi risultati di cui va dato atto agli organi tecnici (la Sopraintendenza ed il Provveditorato alle opere pubbliche di Bari) che se ne sono occupati.
Anche la sezione distaccata della corte di appello in Taranto sta per trasferirsi nella sede di nuova realizzazione sicuramente adeguata e confacente mentre la Procura della Repubblica della stessa città ha sede ancora in due distinti stabili peraltro distanti fra loro, il che determina grande disagio e difficoltà operative. A breve il Procuratore generale ed io pensiamo di promuovere un incontro a Taranto con i rappresentanti dell’ente locale per avviare a soluzione anche questo problema.
Gli altri uffici del distretto hanno una buona sistemazione, salvo qualche sezione distaccata di Tribunale e qualche ufficio di giudice di pace (per esempio Nardò) che hanno bisogno di lavori di manutenzione di difficile attuazione a causa della stretta finanziaria.
Gli uffici del giudice di pace
Il numero degli uffici del giudice di pace in questo distretto non può dirsi esuberante rispetto alle necessità anche se la diffusione sul territorio degli uffici (ma il discorso vale ed a maggior ragione per le sezioni distaccate di tribunale) è tale comunque da assorbire notevoli risorse (sebbene i titolari degli uffici ne lamentino sempre l’insufficienza), a cui per vero sempre più spesso si attinge (non di rado scontrandosi con la resistenza del personale interessato) per sopperire alle necessità degli altri uffici giudiziari in cui invece si registrano vuoti insostenibili: non sempre però ciò è possibile specie ora che il nuovo accordo collettivo impedisce applicazioni per una durata superiore ai sei mesi. I tentativi di riforma delle circoscrizioni giudiziarie, che in questo distretto più che gli uffici dei giudici di pace dovrebbero riguardare le sezioni distaccate di tribunale, non hanno sortito finora alcun effetto per l’energica (ed a parere di chi scrive non sempre giustificata) opposizione delle popolazioni e del foro interessati nonché delle amministrazioni locali che se ne rendono interpreti. E non è un caso che in questa occasione solo il Presidente del Tribunale di Brindisi abbia segnalato, ai fini di un auspicabile accorpamento, due uffici compresi in quel circondario.
Non vi sono da segnalare, presso gli uffici di giudice di pace procedimenti seriali in numero significativo.
Dev’essere ancora una volta rilevato che dall’introduzione della competenza penale del giudice di pace è conseguito un maggior onere di lavoro per gli uffici di procura, gravati dall’onere di partecipazione ad udienze in località talvolta lontane dalla sede, con ulteriore perdita di tempo per i trasferimenti mentre la recente riforma che impedisce l’utilizzazione della polizia giudiziaria per queste udienze aggrava notevolmente la già precaria situazione e rende più gravoso il compito del personale né le alternative previste sembrano facilmente praticabili per l’obiettiva difficoltà di reperire le figure professionali ivi contemplate. La situazione complessiva degli uffici di procura d’altra parte si aggraverà ulteriormente poiché il vigente ordinamento giudiziario vieta di destinare alle funzioni requirenti i magistrati di nuova nomina per cui, in conseguenza dei vuoti di organico, che inevitabilmente si verificheranno per alcuni anni (tenuto conto anche dei tempi occorrenti per l’espletamento dei concorsi), sarà necessario fare un sempre più frequente ricorso ai vice procuratori onorari.
La magistratura onoraria
Chi scrive è ben consapevole dell’apporto dato al funzionamento della giustizia dalla magistratura onoraria, della quale è escluso ormai che possa farsi a meno, e però non può più tollerarsi che questioni civili e penali spesso di non semplice soluzione siano affidate e decise da giudici o vice procuratori onorari, per i quali il compenso è commisurato sulla base non della qualità ma della quantità del lavoro, solo teoricamente posti sotto la sorveglianza dei responsabili degli uffici e per i quali sostanzialmente non è previsto, se non in modo sporadico, alcun aggiornamento professionale né alcuna effettiva verifica periodica di efficienza e professionalità. Sicché dovrà al più presto essere definito un più chiaro e trasparente metodo di assunzione, una competenza specifica per materia, un sistema di impugnazioni ed una struttura dirigenziale, organizzativa e di supporto amministrativo diversi da quelli che regolano gli uffici che dovranno occuparsi degli affari più rilevanti, da affidare alla magistratura professionale.
Per quanto più in generale attiene alla magistratura onoraria, bisogna riconoscere che il tema è stato troppo a lungo colpevolmente ignorato e che invece è necessario puntare ad una meditata e generale riforma dell’istituto, rifiutando la logica delle proroghe che si susseguono ad altre proroghe che contribuiscono soltanto a creare una sorta di precarietà stabilizzata. Finora invece si è dovuto prendere atto di una sorta di schizofrenia legislativa manifestatasi in due successivi disegni di legge, il primo dei quali conteneva un progetto di riordino dei giudici di pace che completamente ignorava i magistrati onorari di tribunale, mentre il secondo unificava tutte le categorie di magistrati onorari eliminando il giudice di pace.
L’ormai indifferibile riforma dovrà rivisitare radicalmente il sistema di accesso alla magistratura onoraria, se del caso valorizzando i diplomati delle Scuole di Specializzazione per le Professioni legali, ed eliminare il sistema retributivo a cottimo etiologicamente connesso ad un preoccupante incremento dei procedimenti disciplinari, vulnerato dalla perdurante insufficienza dei controlli.
Per eliminare poi questa sorta di precariato, presente ormai anche nella magistratura, sarebbe auspicabile che il magistrato onorario più volte confermato nell’incarico potesse accedere alla magistratura professionale attraverso i normali concorsi ma utilizzando una riserva di posti. Solo questa prospettiva potrà indurre il magistrato onorario a trascurare, se non addirittura eliminare, durante l’esercizio della funzione onoraria, l’esercizio della attività professionale, rispetto alla quale e indipendentemente da questa prospettiva è necessario comunque prevedere liniti molto rigorosi, perché è sicuramente una grossa anomalia il contemporaneo esercizio dell’attività professionale di avvocato e della funzione onoraria, magari a distanza di trenta chilometri dalla sede giudiziaria ed è la ragione principale dello sfavore con cui gli avvocati guardano all’istituto, loro per primi contrari a questa commistione di compiti, al punto da ritardare oltre ogni limite ragionevole l’espressione dei pareri richiesti ai fini delle conferme o delle nuove nomine.
Il patrocinio a spese dello Stato
Il ricorso all’istituto del patrocinio a spese dello Stato, anche nei casi di imputati irreperibili o impossidenti assistiti da difensore di ufficio, è sempre più frequente: nell’anno 2007 gli uffici del distretto hanno complessivamente liquidato euro 4.821.821. Si tratta all’evidenza di somme notevoli, di gran lunga superiori a quelle assegnate agli uffici per il loro funzionamento e tale considerazione, in una alle modalità inaccettabili con cui spesso si utilizza l’istituto, ne impone un ripensamento se non lo si vuole trasformare in un vero e proprio istituto di sostegno economico a favore del ceto forense tanto più che l’istituto ha notevolmente incentivato la tendenza ad agire infondatamente in giudizio e ad infondatamente resistere, per cui chiunque, purché sprovvisto di un reddito superiore ad un limite non proprio insignificante e comunque di difficile accertamento, data l’invalsa irrefrenabile e non contrastata finora tendenza all’evasione fiscale, può affrontare un giudizio senza correre neppure il rischio di quella che un illustre esponente del foro in tempi lontani ebbe ad indicare come la vera sanzione cui va incontro l’autore di reati o la parte che agisce o resiste in giudizio temerariamente, e cioè l’onorario dell’avvocato.
D’altra parte non si possono negare gli abusi cui l’istituto si è nella prassi prestato. Il fatto di essere svincolata da ogni onere economico induce la parte ammessa al beneficio (ma anche il suo avvocato che vede la possibilità di cumulare onorari) a porre in essere iniziative processuali a volte anche stravaganti e s’è dato pure il caso che, in procedimenti in cui erano in gioco interessi insignificanti, sia l’imputato che la parte offesa sono stati ammessi al patrocinio erariale, senza dire della frequenza con cui si ricorre all’istituto nei procedimenti davanti al giudice di sorveglianza anche quando si tratta, nei casi di insolvibilità del condannato, di convertire una modesta pena pecuniaria in qualche giorno di libertà vigilata, misura di assai limitata afflittività. Le modifiche di recente apportate alla disciplina dell’istituto, che prevedono limitazioni all’ammissione al beneficio, sicuramente comporteranno una riduzione della spesa.
Venendo –dopo queste considerazioni di carattere generale- a temi più specifici del settore penale, va segnalato quanto segue:
Delitti politici
Nel periodo di riferimento non sono segnalati reati oggettivamente e soggettivamente politici, né delitti a carattere terroristico. Non risultano episodi di razzismo o di intolleranza religiosa, essendo la comunità musulmana ben inserita nel contesto socio-economico.
Associazioni di tipo mafioso
Scrive a riguardo il Procuratore Distrettuale antimafia: “Le capacità operative delle organizzazioni criminali storicamente inserite nell’associazione di tipo mafioso comunemente denominata Sacra Corona Unita o comunque gravitanti nell’ambito di essa, già fortemente ridimensionate, sono state ulteriormente contenute dagli interventi di contrasto giudiziario; infatti, come già negli ultimi anni, si è registrata una riduzione rispetto al passato di manifestazioni esteriori che per il loro clamore potessero richiamare l’attenzione sul fenomeno criminale, quali omicidi ed agguati, esplosione di ordigni, danneggiamenti, violenze, uso di armi.”
“Indicativa del perdurante ridimensionamento dei clan criminali è l’assenza nel periodo in questione di omicidi di mafia nel territorio leccese, dove l’ultimo omicidio mafioso risaliva al 6 marzo 2003 e chiudeva il periodo 2002-2003 nel quale vi erano stati nella sola provincia di Lecce, dieci agguati mafiosi con cinque omicidi (i cui autori peraltro sono stati tutti identificati e perseguiti). Da registrare però l’omicidio avvenuto il 6 settembre 2008 di un esponente storico e di primo piano della criminalità mafiosa salentina, Salvatore Padovano detto Nino Bomba, affiliato alla Sacra Corona Unita e responsabile del territorio di Gallipoli, condannato nel primo maxiprocesso a ventitré anni e sei mesi di reclusione per partecipazione -con compiti di direzione ed organizzazione- all’associazione mafiosa e finalizzata al traffico degli stupefacenti, tornato in libertà nel dicembre 2006; l’episodio del cui movente non è ancora possibile una sicura lettura, potrebbe rappresentare il segnale di una ripresa di conflittualità interna o di nuovi assetti criminali”.
“Da registrare, inoltre, alcuni omicidi ed agguati verificatisi nei territori di Brindisi e Taranto, certamente allarmanti benché non siano state ancora compiutamente accertate per tutti le motivazioni ed il contesto ambientale nel quale sono maturati” e che tuttavia, secondo il Procuratore distrettuale antimafia, “sembrano potersi ricondurre ad un contesto di criminalità organizzata di tipo mafioso: l’omicidio di Cosimo Semeraro, ucciso con più colpi di pistola l’8 novembre 2007, mentre percorreva alla guida di un’auto la strada Ostuni-Ceglie Messapica, episodio verosimilmente legato a contrasti nel traffico degli stupefacenti ed il ferimento il 7 gennaio 2008 di Cosimo Fina (detto Mimino il biondo) già contrabbandiere affiliato al clan mafioso Buccarella, poi passato al gruppo di Cosimo Palma e successivamente a quello dei Mesagnesi, gambizzato con più colpi di pistola a San Pietro Vernotico.” E l’uccisione a Taranto avvenuta il 2 aprile 2008 di Osvaldo Mappa, che, già autore dell’efferato omicidio di un agente della polizia penitenziaria, scelto a caso con metodo terroristico-mafioso tra quelli in servizio a Taranto, dopo un periodo di collaborazione con la giustizia, era tornato a delinquere, nel settore degli stupefacenti, venendo in contrasto con altro clan mafioso e tale contrasto dunque sarebbe all’origine del suo omicidio e non, come si era potuto inizialmente pensare, una vendetta legata alla sua precedente collaborazione con la giustizia.
Sempre a Taranto è in corso davanti al tribunale il processo sui collegamenti tra esponenti della criminalità organizzata ed ambienti del Comune della stessa città per il controllo di attività economiche oggetto di concessione: in tale processo è fra gli altri imputato di corruzione elettorale aggravata dalle finalità mafiose, tale Raffaele Di Campo, che secondo l’accusa, ovviamente da verificare nel dibattimento in corso, in occasione delle elezioni amministrative del 2005 per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale, avrebbe promesso favori al clan capeggiato da Michele Cicala in cambio dell’appoggio elettorale alla lista guidata dal sindaco uscente e quale commissario straordinario di un’azienda municipalizzata avrebbe assunto personale appartenente al medesimo clan.
A Brindisi invece è stato di recente disposto il rinvio a giudizio del tribunale sempre per corruzione elettorale di un personaggio locale che, in cambio di appoggio alla sua candidatura, avrebbe promesso somme di danaro, posti di lavoro e alloggi popolari ad esponenti del clan mafioso dei fratelli Brandi, proponendosi anche (donde l’imputazione di concorso in associazione mafiosa) quale politico di riferimento dello stesso gruppo mafioso all’interno del consiglio comunale, stringendo poi con i fratelli Brandi accordi economici per la gestione di attività commerciali.
“Significativa dell’attenzione della polizia giudiziaria e dell’efficacia del suo intervento è l’assenza di latitanti di rilievo, essendo stato arrestato, ad opera dei carabinieri del Comando Provinciale di Lecce, l’ultimo latitante di spicco della provincia di Lecce, Augustino Potenza, nell’ottobre 2006 (dopo la cattura, nel febbraio dello stesso anno e sempre ad opera dei carabinieri del Comando Provinciale di Lecce, di Tommaso Montedoro, già condannato, come il Potenza all’ergastolo) ed essendo stata assai breve la latitanza di Andrea e Vincenzo Bruno ed Emanuele e Daniele Melechì, esponenti del clan brindisino dei fratelli Bruno di Torre Santa Susanna, che si erano sottratti all’esecuzione di ordinanza di cattura emessa nel marzo 2008 e arrestati nel maggio 2008 i primi tre e nel giugno successivo il quarto”.
L’operazione di più ampio raggio dei carabinieri di Lecce, che ha portato alla cattura dei latitanti Potenza e Montedoro, si è conclusa poi con la individuazione di un gruppo malavitoso, attivo nel Basso Salento e dedito al traffico degli stupefacenti nonché al traffico delle autovetture rubate, i cui esponenti di spicco in numero di quattro sono stati tratti in arresto.
Proprio gli esiti di tale operazione confermano, a parere del comandante provinciale dei carabinieri di Lecce col. Calisti, che i settori di interesse criminale sono tuttora quelli tradizionali. In particolare “il traffico di sostanze stupefacenti rimane la fonte di maggior guadagno dei gruppi criminali che utilizzano, per l’approvvigionamento della droga, i rapporti con altri gruppi operanti in varie località d’Italia ed all’estero, specie quelli della vicina Albania per le sostanze stupefacenti del tipo cannabis ed eroina ed a quelli dei paesi sudamericani, quali Colombia e Venezuela per la cocaina per la quale stretti appaiono ancora i collegamenti con gruppi malavitosi della vicina Calabria.”
Ad avvalorare il convincimento che il principale canale di approvvigionamento è quello della criminalità albanese è il fatto che, durante il primo semestre dell’anno in corso, sono stati effettuati sequestri ad opera dei carabinieri di ingenti quantitativi di stupefacente che attraverso il canale di Otranto giungono sulle coste salentine.
Assai efficace è stata peraltro l’azione di contrasto all’illecito traffico posta in essere dalle forze dell’ordine.
Nel periodo di riferimento personale della Questura di Lecce ha tratto in arresto 49 persone implicate in attività di spaccio.
Il 31 gennaio 2008 in Casarano, a conclusione di una complessa ed articolata indagine, i carabinieri della Compagnia di Casarano, coadiuvati da personale delle Compagnie di Tricase, Maglie e Gallipoli e col supporto di un equipaggio del 6° nucleo elicotteri di Bari, in esecuzione di un’ordinanza emessa dal gip del Tribunale di Lecce, procedevano alla cattura di tredici persone, ritenute a vario titolo appartenenti ad un’associazione dedita al traffico degli stupefacenti.
Il 9 aprile 2008 i carabinieri della Compagnia di Maglie, coadiuvati dal reparto operativo del Comando Provinciale e dalle Compagnie di Fasano, Modugno e Bologna centro, in esecuzione di altra ordinanza emessa dal gip del Tribunale di Lecce procedevano alla cattura di 34 persone per analogo titolo di reato.
Nella provincia di Brindisi, a parte il traffico degli stupefacenti, tradizionale campo d’azione dei gruppi criminali organizzati (ed a riguardo deve segnalarsi l’operazione della Guardia di Finanza che, nel febbraio 08, portò alla cattura di 35 soggetti, fra cui alcuni elementi di spicco della criminalità locale) devono registrarsi tentativi da parte di uno dei clan più attivi in passato, quello dei fratelli Bruno di Torre Santa Susanna, di penetrazione nel tessuto connettivo amministrativo locale con la creazione di vincoli di sudditanza di alcuni amministratori locali.
Benché in tono minore rispetto al passato è sempre fiorente nella provincia di Brindisi l’attività, riconducibile a gruppi criminali organizzati, di contrabbando dei tabacchi lavorati. Anche in questo settore non sono mancati i successi delle forze dell’ordine: a conclusione di un’indagine iniziata nel 2005, nel febbraio 08 la Guardia di Finanza di Lecce traeva in arresto, in esecuzione di un’ordinanza cautelare emessa dal Gip, dieci persone e ne ha denunciato altre dieci, quali componenti di un’organizzazione contrabbandiera la cui attività si estendeva in varie regioni d’Italia ed anche all’estero; venivano altresì individuati i canali di approvvigionamento e le modalità di trasporto.
La situazione della criminalità organizzata nella città di Taranto appare invece fluida ed in fase di transizione, presumibilmente in attesa di nuovi equilibri. Davanti al Tribunale di Taranto è peraltro in corso il giudizio di primo grado del processo sui collegamenti tra esponenti della criminalità organizzata ed ambienti del Comune di Taranto e sulla influenza di essi sul rilascio di concessioni e sulla gestione delle relative attività.
Sono poi oggetto di indagine le attività connesse alla installazione nel territorio del Comune di Castellaneta di un parco eolico ed i relativi interessi di società (cui partecipano anche enti inseriti in centri finanziari offshore) il cui capitale risulta inadeguato ai gravosi impegni finanziari e patrimoniali necessari per la realizzazione del progetto imprenditoriale ed i cui rappresentanti dimostrano la disponibilità di ingenti liquidità, utilizzate per il pagamento ai proprietari delle aree destinate alla installazione delle turbine e delle centrali di somme, a titolo di acconto del tutto sproporzionate rispetto ai valori correnti delle aree a destinazione agricola..
Il lavoro in nero
Sicuramente presente nel territorio il fenomeno del lavoro in nero, data la consistente presenza di immigrati, ma al riguardo non si hanno notizie precise mentre pare doversi escludere che il settore possa essere controllato dalla criminalità organizzata e non sia piuttosto riconducibile al desiderio di evasione contributiva e tributaria che purtroppo affligge l’intero Paese in termini drammatici. Nessuna segnalazione risulta pervenuta ai Tribunali per i minorenni o direttamente acquisita attraverso i servizi sociali relativa a minori impiegati al lavoro, fenomeno che purtroppo non può dirsi inesistente.
Le misure di prevenzione di carattere patrimoniale
Riferisce il Procuratore distrettuale antimafia che nel corso del periodo di riferimento sono state avanzate numerose proposte di applicazione delle misure di prevenzione di carattere patrimoniale nei confronti delle persone pericolose indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o finalizzate al traffico degli stupefacenti, ovvero ritenute vivere con i proventi delle attività delittuose di estorsione, sequestro di persone a scopo di estorsione, usura, riciclaggio, contrabbando. Non è stato specificato il numero di tali proposte ma è nell’ambito di tale attività che la Divisione Polizia Anticrimine della Questura di Lecce nel gennaio 2008 ha proceduto al sequestro preventivo, ai danni di un imprenditore edile di Gallipoli, varie volte condannato e ritento in passato affiliato al clan Padovano, di numero sei fabbricati, cinque aziende riferibili ad imprese societarie fallite, sette appartamenti, cinque box, terreni, conti correnti bancari, autovetture ed altro per un valore complessivo di quattro milioni di euro.
Segnala il Comandante provinciale della Guardia di Finanza che “tra i settori più allettanti, per la criminalità organizzata, utilizzati per ripulire l’illecito capitale finanziario accumulato, rientrano senza ombra di dubbio, la gestione di supermercati e di distributori di carburanti, giochi pubblici, scommesse clandestine, aste giudiziarie”. In tale contesto il GICO della Guardia di Finanza di Lecce nel corso dell’anno 2007, a conclusione di complesse indagini ha proposto l’applicazione a pluripregiudicato in libertà di misura di prevenzione di carattere patrimoniale con la confisca di vari beni mobili e immobili e dell’intero compendio aziendale costituito da due supermercati.
La gestione dei beni sequestrai e poi confiscati presenta difficoltà stratificate nel tempo derivanti dalla frammentazione delle procedure e delle competenze. Si è tentato di rimediare con la istituzione di un’autorità centrale di coordinamento operativo di tutti i soggetti pubblici coinvolti nelle procedure amministrative al fine della corretta gestione, celere destinazione ed effettivo utilizzo dei beni confiscati ed è stato conferito l’incarico di Commissario straordinario, in considerazione della specifica competenza acquisita nel settore come magistrato antimafia e con altre esperienze professionali, ad un magistrato di questo distretto il dott. Antonio Maruccia a cui rivolgo auguri di buon lavoro.
Infortuni sul lavoro
Quella degli infortuni sul lavoro costituisce ormai una vera e propria emergenza nazionale rispetto alla quale il sistema giudiziario dimostra purtroppo ancora una volta la sua inadeguatezza. Costano ogni anno tre punti di PIL, 35 miliardi di euro. E sono sempre i più deboli a pagare e spesso con la vita, per lo più immigrati, i precari, gli atipici, quelli assunti in nero o, apparentemente, lo stesso giorno dell’infortunio. In Italia due aziende su tre non risultano in regola con le norme antinfortunistiche; migliorano le statistiche perché apparentemente diminuiscono gli infortuni ma aumentano i decessi. Ma non è solo nel settore del lavoro non garantito che le morti bianche colpiscono: anche nella grande industria, dove proliferano a dismisura le malattie professionali, si verificano neppure di tanto in tanto vere e proprie stragi.
Rileva in proposito l’Avvocato Generale di Taranto che, nel periodo in riferimento, vi è stata una costante ed allarmante crescita degli omicidi colposi in seguito alla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro a causa della presenza sul territorio di una grande azienda siderurgica, nel cui ambito si sono verificati gravissimi infortuni, che mettono in evidenza l’inesistenza di un programma di manutenzione serio.
Le reazioni del mondo sindacale, politico, sociale e gli interventi a livello ministeriale a tutt’oggi a nulla sono valse di fronte all’atteggiamento di chiusura dell’azienda in argomento, che si fa forte del ruolo economico svolto nella realtà di Taranto in relazione all’occupazione, per resistere ad ogni forma di pressione diretta ad indurla alla predisposizione di serie misure antinfortunistiche ed a un maggior rispetto dell’ambiente del cui gravissimo inquinamento è responsabile.
Analoghe le valutazioni del Presidente della sezione distaccata il quale specifica che “la frequenza dei giudizi per omicidio colposo commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni è tale da caratterizzare significativamente l’attività del giudice di secondo grado”.
La verità è che il sistema di prevenzione e protezione, sebbene normativamente assai articolato, non ha un sufficiente livello di effettività, come dire che in Italia, almeno in questo settore, si fanno le leggi ma poi non c’è chi le faccia rispettare. E’ necessario allora cercare di comprenderne le ragioni e per quanto riguarda gli uffici giudiziari comprendere la necessità di costituire all’interno degli stessi gruppi di lavoro specializzati, che riescano a stabilire un canale di coordinamento con ispettorati e con le ASL, del che si dovrà tener conto sia da parte degli uffici di procura che da parte degli uffici giudicanti nella predisposizione dei loro progetti organizzativi, in modo da garantire un migliore coordinamento nelle indagini e una sollecita definizione di processi tale da scongiurare prescrizioni che finirebbero col favorire condotte illecite per la prospettiva di sicura impunità.
Ma è l’ente territoriale regionale che deve innanzitutto farsi carico del problema, promuovendo una disciplina, come è avvenuto in altre regioni, quanto meno per i lavori pubblici di interesse regionale, che incoraggi a non risparmiare sui costi della prevenzione e che favorisca l’inclusione nei contratti di affidamento dei lavori delle cosi dette clausole sociali, che stabiliscano cioè per ogni violazione delle norme antinfortunistiche l’applicazione di penali o la sospensione dei pagamenti.
Occorre in definitiva come ha ammonito più volte il Presidente della Repubblica “un costante livello di attenzione e un forte impegno civile per diffondere la più ampia consapevolezza della gravità del fenomeno”.
Le rapine
In forte diminuzione di quasi un terzo il numero delle rapine nel circondario di Lecce (228, come lo scorso anno, a fronte delle 317 del 2005-06 e di queste soltanto 21 a danno di istituti bancari e 6 uffici postali), apparentemente fuori di uno stabile contesto di criminalità organizzata e neppure riferibili, secondo il Comando Provinciale di carabinieri di Lecce, a bande criminali armate e specializzate in tal tipo di delitto contrariamente a quanto è avvenuto negli anni precedenti ed a quanto tuttora si verifica nelle vicine province di Taranto e Brindisi.
Segnalano infatti un aumento di tale genere di reati i procuratori della repubblica di Taranto e Brindisi per i rispettivi circondari.
Elevato in proporzione resta il numero delle rapine ad opera di ignoti e si tratta quasi sempre dei fatti che suscitano maggior allarme sociale.
Estorsioni ed usura
Tutt’altro che scomparsi i reati di estorsione ed usura, reati che sono tipicamente riconducibili alla criminalità organizzata.
Quanto alle estorsioni non si registrano almeno apparentemente incrementi di rilievo ed al contrario deve prendersi atto con soddisfazione dell’alta percentuale di denunce valutata in termini di ritrovata fiducia dei cittadini nell’intervento repressivo delle forze dell’ordine (ed infatti è sensibilmente aumentato il numero dei procedimenti contro persone identificate rispetto a quelle contro ignoti); al tempo stesso però “non possono essere sottovalutati segnali di diffusione del fenomeno in forma sotterranea, legati anche alla maggior forza di intimidazione conseguita dall’organizzazione mafiosa che non ha più necessità di far ricorso a forme evidenti di intimidazione e violenza per commettere tale genere di reati”.
Energica è peraltro l’azione delle forze dell’ordine su questo versante
Nel gennaio 2008 la Squadra Mobile della Questura di Lecce identificava gli autori di una lunga attività estorsiva ai danni dell’amministratore della società Eurospin, dal quale avevano preteso la somma di 30.000,00 euro mensili con la minaccia di recar danno agli esercizi commerciali della stessa società siti nel territorio di Lecce e di Taranto e quindi, in esecuzione di ordinanza cautelare emessa dal gip del Tribunale di Lecce, procedeva alla loro cattura.
Nell’aprile dello stesso anno personale della Squadra Mobile di Lecce e di Brindisi identificava e traeva in arresto quattro persone dedite ad attività estorsive, furti e rapine nella zona nord di Lecce in collegamento con gruppi malavitosi della provincia di Brindisi.
Nel maggio 2008 personale della Sezione Volanti di Lecce sorprendeva in flagranza di reato ed arrestava due persone mentre ricettavano macchine operatrici per movimento terra trafugate da un cantiere della provincia; veniva così a cessare la serie di furti di escavatori e di macchine operatrici dai cantieri, che per la loro frequenza avevano destato grande allarme nell’ambiente degli operatori economici.
Notevole è sicuramente l’attività usuraria con riferimento alla quale però è molto modesto il numero di denunce, certamente non indicativo della reale entità di tale attività”.
Da segnalare che nel gennaio 2008 personale della Squadra Mobile di Lecce ha tratto in arresto una persona ritenuta responsabile di una sistematica attività usuraria ed estorsiva ai danni di vari imprenditori locali e che la Tenenza della Guardia di Finanza di Manduria, a conclusione nel giugno 2008 di una rilevante operazione di servizio per il contrasto dell’usura, ha denunziato sedici persone per sei delle quali è stata poi emessa ordinanza di custodia in carcere, col sequestro di cinque immobili ed una attività commerciale.
Reati commessi da ignoti
Resta molto alto il numero dei reati, particolarmente furti, commessi da ignoti.
Come si è più sopra rilevato, i procedimenti contro ignoti nei tre uffici Gip-Gup di Lecce, Brindisi e Taranto sono stati, nel periodo, rispettivamente di 5.164 a Lecce, 4.237 a Brindisi, 6.034 a Taranto con un incremento del 7,2 per cento sul dato complessivo di 15.435 procedimenti a fronte dei 14.399 del periodo precedente. Si ha ragione di ritenere peraltro che molti reati ad opera di ignoti non vengono neppure denunciati, specie se si tratta di reati di non particolare gravità, ma non si hanno elementi per determinare neppure con approssimazione l’entità del fenomeno.
Reati commessi da stranieri
Fisiologico il numero dei reati commessi da stranieri che è pari al quattro per cento del totale dei procedimenti iscritti nel registro modello 21, dato che di per se dovrebbe smentire certi luoghi comuni frutto di pregiudizio.
Come si è già rilevato, in questo distretto la comunità degli immigrati è ben inserita nel nuovo contesto sociale e solo una minoranza, per scelta o per evidente difficoltà di adattarsi al nuovo ambiente di vita, si dedica a traffici illeciti, per lo più lo smercio di droga, molto più spesso il commercio di merci con marchio contraffatto. Elevato è invece in percentuale il numero di cittadini stranieri, spesso di incerta provenienza e per i quali è quindi anche difficile adottare provvedimenti di espulsione, destinatari di misure cautelari, per cui molto elevata è la percentuale della popolazione carceraria costituita da stranieri.
Reati contro la pubblica amministrazione
Costante o addirittura in decremento il numero dei reati contro la pubblica amministrazione anche se, come si è da più parti rilevato, la nuova disciplina del reato di abuso di ufficio e le interpretazioni riduttive date dalla dottrina e anche dalla giurisprudenza sono d’ostacolo ad una seria attività di indagine intesa a reprimere attività che, indipendentemente dalla qualificazione giuridica, la coscienza sociale considera illecite. E’ impensabile d’altra parte che la corruzione sia improvvisamente sparita in Italia nonostante la comune percezione del contrario: più ovvio ritenere che tali fenomeni difficilmente emergono e che minore attenzione rispetto al passato è ad essi dedicata da parte degli inquirenti.
Nel corso dell’anno sono stati celebrati o sono in corso di celebrazione a Taranto ed a Brindisi vari procedimenti per gravi fatti di locupletazione ai danni delle amministrazioni comunali del luogo.
Rileva l’Avvocato Generale di Taranto che “lo stato di gravissimo dissesto del Comune ufficialmente certificato è risultato fortemente sostenuto da sottrazioni cospicue e continue negli anni da parte di numerosi funzionari (tratti in custodia cautelare) che lucravano stipendi assai consistenti; da sistemi di appalti agevolati, da incuria amministrativa e da veri e propri reiterati falsi in bilancio”. Questa gravissima situazione, una volta alla luce, ha determinato il proliferare di procedimenti a carico di amministratori locali con la emissione di numerose misure cautelari (in numero di 32) a carico di impiegati e funzionari della Direzione Risorse Finanziarie del Comune di Taranto.
I reati sessuali
In aumento e tutt’altro che irrilevante (malgrado le significative condanne delle magistrature salentine) il numero dei reati sessuali spesso commessi da e/o a danno di minorenni mentre preoccupa la proliferazione, agevolata dal progresso tecnologico, dei reati di pornografia minorile e di detenzione di materiale pornografico.
Su questo versante peraltro la polizia giudiziaria è molto impegnata.
Nel gennaio 2008 la Squadra Mobile di Lecce identificava e poi, coadiuvata dalla sezione volanti, traeva in arresto, in esecuzione di ordinanza cautelare emessa dal gip di Lecce, quattro persone ritenute responsabili di violenza sessuale di gruppo ai danni di cittadina somala di 18 anni.
I reati societari
Ridottissimo il numero dei reati societari di fatto, secondo alcuni, depenalizzati dalla nuova discipline ed in gran parte finiti con la prescrizione e comunque, secondo il Presidente del Tribunale di Brindisi, di difficile accertamento, richiedendosi complesse e costose perizie di ufficio per verificare di volta in volta il superamento o meno della soglia di punibilità.
Nel periodo di riferimento le notizie di reato relative a reati societari è stato di 11 a carico di 18 persone mentre quelle relative a reati di bancarotta è stato di 74 nei riguardi di 120 persone: in nessun caso peraltro si tratta di fatti di particolare rilevanza per il numero delle persone danneggiate.
Le violazioni in materia tributaria
Restano sostanzialmente irrilevanti sotto il profilo penale le violazioni in materia tributaria, nonostante la scandalosa diffusione dell’evasione tributaria, che esige un rinnovato impegno da parte degli organi preposti all’accertamento ma anche l’abbandono della pratica del condono (che ha contribuito al diffondersi di una sensazione di impunità e, stendendo un velo sulle precedenti illecite condotte, ne ha impedito l’accertamento) nonché una seria riforma dell’apparato sanzionatorio notevolmente mitigato di recente, sebbene la coscienza sociale esiga di fronte a tali condotte un atteggiamento di fermezza.
Di fatto i reati tributari, peraltro di difficile configurazione dopo l’ultima riforma, non vengono neppure menzionati nelle relazioni dei procuratori della repubblica.
Le frodi comunitarie
Le denunce relative a frodi comunitarie, iscritte nel registro notizie di reato, sono state a Brindisi 57, nulle a Taranto, a Lecce 42 per il reato di cui all’art. 60 bis c.p. ed a carico di 98 persone e 129 per il reato di cui all’art. 640 comma 2 c.p. ed a carico di 226 persone.
Si tratta per lo più di condotte fraudolente dirette al conseguimento dei benefici previsti dalla legge n. 488 del 1992, ottenuti da vari imprenditori della provincia, in assenza delle condizioni di legge e sulla base di false documentazioni.
Il pubblico ministero, allo scopo di assicurare all’amministrazione il recupero di quanto indebitamente erogato, ha fatto frequente ricorso al sequestro per equivalente previsto dall’art. 322 ter c.p.p. sia in danno della persona fisica dell’indagato che in danno della persona giuridica per conto della quale agiva, ai sensi della normativa introdotta col decreto legislativo n. 231 del 2001. Nell’anno sono stati sottoposti a sequestro beni per un valore di circa 5.000.000 di euro e recuperate somme di danaro per 1.690.000 euro. Infatti in molti casi gli stessi indagati hanno chiesto di restituire le somme indebitamente percepite ed hanno effettivamente messo a disposizione dell’amministrazione somme di importo corrispondente a quelle percepite ovvero, in altri casi, dopo l’avvio delle indagini hanno rinunciato all’erogazione dei contributi già riconosciuti in via provvisoria degli organi competenti.
Scrive il Procuratore della Repubblica di Lecce che “il rigore, la sistematicità e la qualità complessiva degli interventi repressivi hanno contribuito all’emersione di un fenomeno di particolare gravità e diffusione e, pur indirettamente, alla modifica adottata nel 2006 della normativa di cui alla citata legge n. 488 del 1992 con l’attribuzione alle banche concessionarie di più penetranti poteri di controllo, a seguito della quale il fenomeno delittuoso ha registrato notevole flessione”.
Pur condividendosi tali valutazioni va rilevato tuttavia che, in considerazione dell’incidenza che possono avere sull’economia e indirettamente anche sull’occupazione (sembrerebbe che molti imprenditori abbiano rinunciato ai contributi ed agli investimenti programmati per prevenire il pericolo di essere indagati, poiché ciò di per se ed a prescindere da effettive responsabilità, avrebbe potuto offuscare la loro immagine commerciale), tali indagini devono essere condotte con particolare rapidità, col massimo rispetto delle garanzie di legge e prevenendo la fuga di notizie ad evitare anticipazioni di giudizio prima che le indagini possano approdare alla fase del dibattimento.
Tutte le indagini in questo settore sono state eseguite con encomiabile scrupolo dalla Guardia di Finanza di Lecce il cui comando ha rivolto al personale operante guidato dal cap. Maniglio un encomio.
La tutela dell’ambiente
Nonostante l’impegno di alcuni uffici di procura (in particolare Taranto) assai poco soddisfacenti sono purtroppo i risultati conseguiti in materia di tutela dell’ambiente e del territorio.
Segnala l’Avvocato Generale di Taranto che “la presenza di siti industriali con caratteristiche altamente inquinanti contigui all’abitato ha indotto da oltre un decennio l’Organizzazione Mondiale della Sanità a qualificare il territorio di Taranto area ad elevato rischio ambientale” e però nonostante gli sforzi per dare avvio ad un processo di recupero con i rappresentanti degli enti territoriali e del mondo sindacale, nonostante le valutazioni dell’ARPA e gli impegni della proprietà dei siti inquinanti, il tasso di inquinamento rimane elevato ed è notevolissimo il crescendo di affezioni gravi o gravissime legato da indiscutibile nesso di causalità. Duole constatare che mentre le iniziative spontanee e l’associazionismo sollevano e sottolineano il problema, i poteri pubblici –quando addirittura non entrano in conflitto tra loro come è avvenuto di recente tra la Regione e lo Stato – tendono per lo più a sottovalutare il problema e le gravissime conseguenze che ne derivano sul piano della salute pubblica e d’altra parte non è neppure raro il caso di gestione di discariche, termovalorizzatori, scarichi a mare che spesso vengono realizzati con vistose violazioni normative.
“Rimane aperto il problema della gravità della situazione del mondo del lavoro di Taranto in cui le limitatissime opportunità gravitano esclusivamente sull’Ilva, nella quale dominano infortunistica a livello primario in Italia, inquinamento della città e di alcuni quartieri in particolare, violenza subdola e programmata nei confronti di chiunque crei fastidi sindacale e lavorativo”.
“Va aggiunto che l’altra azienda attualmente inquinante presente sul territorio (raffineria di petrolio) ha raddoppiato la sua capacità produttiva con le relative conseguenze e continua ad operare la raffinazione del grezzo abbandonata quasi dappertutto”.
Molto attenta è peraltro l’azione della polizia giudiziaria.
Nell’ottobre 2007 personale del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Taranto scopriva in territorio cittadino un sito adibito a “sversatoio” di rifiuti speciali con annesso impianto abusivo di triturazione inerti. L’area e i macchinari utilizzati per la illecita attività venivano sottoposti a sequestro. Si accertava inoltre che in località Torre Caprarica del comune di Grottaglie società autorizzata allo smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi operava senza il rispetto delle prescrizioni e dei vincoli imposti con l’autorizzazione, in particolare senza alcuna verifica o analisi chimica dei rifiuti conferiti
L’abusivismo edilizio
Ugualmente diffuso nelle tre province il fenomeno dell’abusivismo edilizio favorito ed incoraggiato dai frequenti condoni, che hanno reso possibile il mantenimento, con poca spesa, non di rado neppure entrata nelle casse dello Stato, come si sarebbe appurato con una recente indagine, di opere deturpanti spesso realizzate con il simulacro di atti amministrativi compiacenti, rilasciati da dipendenti comunali che, nel malcostume imperante, non si fanno scrupolo di regolarizzare situazioni che stanno mutando, forse hanno già irreversibilmente mutato, le caratteristiche paesaggistiche del nostro paese.
Secondo uno studio de Il Sole 24 ore la provincia di Lecce occupa assieme a Bari uno dei primi posti nella graduatoria dell’abusivismo:nella provincia salentina ci sarebbero 52454 particelle, ossia porzioni di terreno su sui sono stati identificati edifici fantasma, non registrati al catasto.
Il Comando Polizia Municipale di Brindisi, nel segnalare la diffusione dell’abusivismo, auspica l’introduzione di incentivi al cittadino che, denunciando l’abuso, permetta un tempestivo intervento della polizia ed un maggiore impegno nell’azione di contrasto, con la istituzione di forme di controllo elettronico delle aree a maggior rischio ambientale. La Polizia Municipale di Lecce segnala anch’essa le difficoltà degli accertamenti in questa materia, data l’ampiezza del territorio di competenza e considerato che gli abusi riguardano per lo più il litorale dove la vigilanza è per necessità discontinua.
Reati connessi competizioni sportive
Dalle procure del distretto non è stato segnalato alcun episodio di particolare violenza e allarme sociale in occasione di competizioni sportive. Unico episodio di un certo rilievo è stato quello verificatosi nel marzo 2008 quando un corteo organizzato dalla tifoseria ultras della squadra di calcio del Lecce, per festeggiare il centenario della costituzione della squadra, ha attraversato la città diretto allo stadio. Durante il percorso vi è stato ripetutamente da parte dei tifosi l’accensione di fumogeni e l’esplosione di petardi ed a un certo momento di una bomba carta di maggior potenziale. Ciò determinava l’intervento dei carabinieri al quale gli ultras reagivano con il lancio di un vero e proprio ordigno all’indirizzo di un autoveicolo dei carabinieri che ne restava fortemente danneggiato, con pericolo per la vita stessa dei carabinieri che vi erano a bordo. Le indagini relative a tale grave episodio sono ancora in corso.
Il Questore di Lecce ha adottato 23 provvedimenti di divieto di accesso agli stadi ed ai campi sportivi e zone circostanti, contenenti la prescrizione dell’obbligo di presentazione negli uffici di polizia in concomitanza con lo svolgimento delle partite di calcio.
Gli anzidetti provvedimenti sono stati tutti convalidati dal gip.
Reati di fabbricazione di monete false
Nel maggio 2008 nella zona industriale di Melissano, carabinieri del Nucleo antisofisticazione monetaria, coadiuvati da personale della Compagnia di Casarano, col supporto di un velivolo del 6° nucleo elicotteri di Bari e del RIS di Roma, traevano in arresto cinque persone sorprese all’interno di un fabbricato adibito a stamperia clandestina di banconote false con taglio da 50 euro. Nel contesto venivano sequestrate banconote false per un valore nominale di dieci milioni di euro e sofisticate apparecchiature per la produzione delle stesse.
Un’analoga ed altrettanto brillante operazione è stata portata a termine dalla Guardia di Finanza nel Comune di Leverano dove pazienti e diligenti indagini permettevano di individuare un soggetto, poi tratto in arresto, che, al riparo di una apparentemente lecita attività artigianale, aveva in realtà impiantato una piccola fabbrica di banconote false di vario taglio.
Le intercettazioni telefoniche
Tutti i procuratori della repubblica segnalano “l’importanza determinante delle intercettazioni telefoniche (aumentate nel periodo di riferimento di oltre il 20%) specialmente in alcuni procedimenti per reati di criminalità organizzata, dal momento che la giurisprudenza tende sempre più a diminuire l’importanza delle prove testimoniali e delle dichiarazioni dei coimputati mentre in molti casi è stato accertato in dibattimento che l’unica prova di accusa che resisteva alle pressioni psicologiche esercitate su testimoni e coimputati era quella ricavabile dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali”.
I ricorsi al tribunale del riesame
La percentuale, nel periodo di riferimento, di pronunzie di accoglimento in tema di ricorsi al tribunale del riesame contro provvedimenti privativi della libertà è da anni attestata –per quanto riguarda il Tribunale di Lecce che ha competenza distrettuale- intorno al 28% che certamente non è poco sebbene, nelle loro relazioni, i procuratori della repubblica del distretto parlino di percentuale bassissima, spiegando che la proposizione del ricorso al tribunale del riesame in molti casi ha la sola funzione di consentire alla difesa di prendere cognizione degli atti dell’indagine.
Più puntualmente riferisce il Presidente del Tribunale di Lecce che “”nel periodo indicato sono sopravvenute 921 impugnazioni attinenti a misure cautelari personali (1061 nell’anno precedente, 851 nel periodo luglio 2005-giugno 2006; 1069 nel periodo luglio 2004-giugno 2005), con una flessione quindi di circa l’11% rispetto all’anno precedente ed una sostanziale omogeneità di dati rispetto all’anno ancora precedente.
Le pronunzie di riforma, nel concetto comprendendo quelle in cui si è operata una modifica del regime cautelare in virtù di valutazioni compiute solo sulle esigenze cautelari, sono state nel periodo indicato 166 pari al 18% circa (erano pari all’11,45 nell’anno precedente; e pari all’11,9% e al 15,7% nei due anni ancora precedenti. Può quindi rilevarsi una sostanziale omogeneità del dato statistico nel tempo, pur in presenza di un aumento delle percentuali di riforma.
Quanto alle pronunzie di annullamento, nel concetto comprendendo sia quelle sostenute dal rilievo della ricorrenza dei vizi di nullità del provvedimento, sia quelle fondate sull’assenza di gravi indizi di reità, sono state 87 pari al 9% circa del totale (erano state pari al 10,24% del totale nell’anno precedente, e 89, pari al 10,4% e pari al 2,4% nei due periodi di riferimento ancora precedenti. Può quindi rilevarsi che circa il 27% dei procedimenti di riesame si è concluso, nel periodo in esame (con un aumento del 5% rispetto ai due anni precedenti) con pronunzia favorevole all’impugnante, così tornandosi a valori prossimi a quelli registrati per lo stesso periodo dell’anno 2004-2005 in cui dette pronunzie ammontavano al 28% circa.””
Per il Tribunale di Taranto che ha competenza per l’ambito territoriale della sezione distaccata, di fatto coincidente col circondario, vi è stato un andamento presso che analogo: i ricorsi sono stati 336 a fronte dei 348 del periodo precedente e ne sono stati accolti 76 (il 22,61%) a fronte dei 55 del periodo precedente (il 18,96%).
I riti alternativi: il giudizio abbreviato e il patteggiamento
Mancano pure rilevazioni statistiche complete ed affidabili che permettano di stabilire l’incidenza del ricorso ai riti alternativi stimato, si ritiene con approssimazione, dai procuratori della repubblica non superiore al trenta per cento del complessivo numero dei procedimenti.
Neppure si dispone di dati precisi per poter stabilire in che misura abbia contribuito la recente riforma che ha introdotto la possibilità di richiedere approfondimenti istruttori con la richiesta di abbreviato condizionato e con quelle più innovativa dell’integrazione probatoria disposta dal giudice d’ufficio, mentre è evidente che ne ha ampliato l’ambito di operatività la sentenza della Corte Costituzionale n. 169 del 2003 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli articoli 438 comma 6, 458 comma 2 e 464 comma 1 secondo periodo codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono che, in caso di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria, l’imputato possa rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento ed il giudice del dibattimento possa disporre il giudizio abbreviato.
Sebbene manchino precise rilevazioni statistiche a riguardo, l’impressione che deriva dall’esperienza è che l’imputato fa ricorso al patteggiamento della pena solo quando può trarre benefici ulteriori rispetto a quelli che l’istituto dovrebbe consentire, quando per esempio è possibile contenere la pena nei limiti del presofferto ed ottenere quindi da subito la rimessione in libertà oppure quando si può fare affidamento sulla sospensione della pena, poiché negli altri casi il vantaggio che indirettamente l’imputato spera di trarre dalle lungaggini del processo, non esclusa la prospettiva di prescrizione del reato, superano nella sua ottica il vantaggio di una riduzione della pena. Queste stesse ragioni spiegano la maggior fortuna che pare abbia avuto il c.d. patteggiamento allargato introdotto con la legge n. 134 del 2003, che, con riferimento ai reati più gravi, per i quali prima non vi era la prospettiva di evitare l’esecuzione della pena in caso di condanna, permette ora di concordare una pena che consente l’accesso, in virtù della diminuzione applicata per la scelta del rito, alle misure alternative alla detenzione in carcere.
Ridottissimo è invece il numero dei procedimenti definiti in appello con pena concordata ai sensi dell’art. 599 c.p.p.: le considerazioni sviluppate all’inizio sulle lungaggini del processo e la possibilità di confidare in una lontana definizione dello stesso sconsigliano con ogni evidenza l’utilizzazione di ogni mezzo di definizione semplificata del processo che in un certo senso anticiperebbe gli effetti della condanna e quindi vi si fa ricorso solo in situazioni eccezionali (quando per esempio l’imputato è in stato di custodia cautelare e, in previsione di una condanna, non ha interesse a ritardare la conclusione del processo). Senza dire che l’indulto di recente concesso ha fatto venir meno l’interesse ad una riduzione della pena (in ogni caso condonata) per cui vi è una ragione ulteriore a differire nel tempo gli effetti della condanna suscettibile di essere travolta da eventi imprevedibili (la prescrizione del reato o innovazioni legislative più favorevoli al condannato).
La magistratura di sorveglianza
Il presidente del tribunale di sorveglianza riferisce che l’attribuzione, per effetto della legge c.d Simeone, della competenza al magistrato di sorveglianza della relativa competenza consente di provvedere con procedimento de plano all’accoglimento delle istanze di liberazione anticipata che non richiede accertamenti di particolare complessità e si risolve in un abbuono di pena subordinato alla circostanza che l’interessato abbia dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione e tanto ha sicuramente deflazionato in maniera rilevante il carico delle pendenze dei tribunali accelerandone i tempi di decisione. Riguardo al beneficio si sottolineano le ambiguità di fondo, sul rilievo che la valutazione parcellizzata della condotta del detenuto, semestre per semestre, mina un complessivo giudizio di recupero più o meno rieducativo dello stesso mentre è difficilmente comprensibile la concessione della liberazione anticipata anche a soggetti sottoposti al regime del 41 bis con riferimento ai quali non è prevista attività trattamentale. D’altra parte l’evanescenza –e talora l’inesistenza- di offerte rieducative per i soggetti detenuti, all’interno degli istituti di pena, non consente di norma un puntuale giudizio di osservazione della personalità, sicché la concessione del beneficio finisce per essere unicamente condizionata dall’esistenza o meno di rapporti disciplinari promossi dal personale di custodia.
In entrambi gli uffici di sorveglianza di Taranto e di Lecce è cresciuto in modo rilevante il numero delle istanze di liberazione anticipata, che peraltro vengono definite in tempi ragionevolmente brevi in considerazione del fatto che gli interessati intendono conseguire, attraverso l’auspicata riduzione della pena, l’ulteriore concessione di misure alternative alla detenzione in carcere.
Molto numerosi sono i casi di rinvio dell’esecuzione della pena nei riguardi di persone affette da HIV o AIDS e tossicodipendenti, settore nel quale la legge Simeone dilata senza confini la detenzione domiciliare, atteso che i rinvii della pena prescindono dall’entità della stessa pur in presenza di incertezze diagnostiche, di terapie inefficaci, di programma riabilitativi generici e mal individualizzati.
Riferisce il presidente del Tribunale di sorveglianza di Lecce che “è da registrare un sensibile incremento delle istanze presentate da soggetti tossicodipendenti, soprattutto da cocaina, in ordine alle quali la legge n. 46/2006 ha attribuito al magistrato di sorveglianza la facoltà di ammettere l’istante in via provvisoria alla misura dell’affidamento terapeutico; che in continuo aumento sono altresì le istanze di detenzione domiciliare e di differimento della esecuzione della pena per gravi motivi di salute, in dipendenza da patologie di natura sia fisica che psichica o psichiatrica, le quali interessano in particolar modo soggetti con problemi attuali o pregressi di tossicodipendenza”.
Nei casi di domande proposte da condannati in condizioni di grave infermità fisica o psichica o da persona affette da infezioni HIV o da AIDS, il Tribunale applica preferibilmente –in luogo del rinvio o della sospensione della pena- la norma di cui all’art. 47 ter comma 1 ter ordinamento penitenziario che consente l’applicazione surrogatoria della detenzione domiciliare a termine, ma non senza valutare l’eventuale sussistenza di un concreto pericolo della commissione di delitti.
Quanto ai permessi non si segnalano particolari inconvenienti anche se resta comunque alto il rischio operativo che grava sul magistrato di sorveglianza date le difficoltà di una valida prognosi sulla pericolosità esterna del detenuto e la cogenza di circostanze familiari e personali che spesso impongono la concessione del permesso.
La concessione della sospensione della parte finale della pena, prevista dalla legge n. 207 del 2003, c.d. indultino, non sembra abbia comportato una significativa riduzione dei detenuti all’interno degli istituti di pena perché quasi sempre il beneficio, concesso a causa della sua automatica applicazione in assenza di ogni verifica di meritevolezza ed opportunità, quasi sempre è stato revocato, data la incapacità del soggetto che ne aveva beneficiato di affrancarsi con i propri mezzi, in assenza di un progetto rieducativo e lavorativo, da quelle dinamiche devianti che precedentemente lo avevano portato a delinquere sicché, non appena rimesso in libertà, è portato a violare le prescrizioni connesse alla concessione della sospensione.
Sono sostanzialmente queste le ragioni per le quali il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Lecce giudica “provvidenziale” l’intervento della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 255 del 2006, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 comma primo della legge n. 207 del 2003 nella parte in cui non prevede che il giudice di sorveglianza possa negare la sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva al condannato quando ritiene che il beneficio non sia adeguato alle finalità previste dall’art. 27 comma terzo della Costituzione.
Gli istituti penitenziari
I presidenti di entrambi i tribunali di sorveglianza del distretto segnalano la condizione di sovraffollamento degli istituti di custodia.
La casa circondariale di Lecce, una delle più grandi ed importanti nel panorama nazionale, è tornata a presentare nell’ultimo anno, dopo il periodo di forte calo dovuto all’applicazione dell’indulto (agosto 1996) il problema di sempre: il sovraffollamento: ad oggi le presenze raggiungono punte di 1200 detenuti, a fronte di una capienza ottimale di 550 e tollerabile di 850 -900 posti.
Ciononostante l’ordine e la sicurezza interna sono sempre stati assicurati da una valida azione direttiva che ha potuto contare sulla professionalità e lo spirito di servizio della Polizia penitenziaria e del personale civile..
Molto apprezzabile anche è l’azione svolta dalla Direzione finalizzata al recupero sociale dei detenuti.
Fra le tante iniziative sono da segnalare il protocollo con l’Università del Salento e l’Amministrazione provinciale per garantire il diritto allo studio di un consistente numero di detenuti, le attività teatrali, i corsi di abilitazione informatica.
Speciale menzione, infine, merita l’iniziativa imprenditoriale realizzata nella Sezione femminile in collaborazione con la Cooperativa Officina Creativa che ha consentito l’avviamento al lavoro di dodici detenute la cui produzione di abbigliamento e accessori , destinata al mercato nazionale, è stata oggetto di una “sfilata di moda” all’interno dell’Istituto che ha avuto vasta eco e successo nella società, riflettendo l’immagine e la sostanza di un mondo , quello carcerario, nel quale è ancora viva la speranza del riscatto.
Nel periodo di riferimento rarissimi sono stati i casi di richiesta di mandato di arresto in ambito europeo; parimenti sporadiche le richieste di estradizione sia attiva che passiva.
Questioni specifiche della giustizia civile
Non risulta che nel periodo in considerazione siano state sollevate questioni pregiudiziali in ordine all’interpretazione della disciplina comunitaria ai sensi dell’art. 234 del Trattato C.E.E. o che vi siano state occasioni di diretta applicazione da parte del giudice nazionale della disciplina comunitaria.
Non sono state pronunziate decisioni di particolare importanza in applicazione della convenzione europea dei diritti dell’uomo mentre sono in progressivo aumento a causa delle rilevate disfunzioni della giustizia italiana i procedimenti per l’indennizzo del danno da ritardata definizione dei processi (c.d. legge Pinto): si è già detto della crescita esponenziale di tali procedimenti e degli esborsi sostenuti dall’erario.
I presidenti di tutti i tribunali del distretto indicano come considerevole e crescente il flusso dei procedimenti di separazione personale dei coniugi e di conseguenza di quelli di divorzio.
Non risultano essere stati instaurati giudizi di responsabilità civile nei riguardi di magistrati mentre sono numerosi i giudizi in cui è parte convenuta una pubblica amministrazione, per lo più per danni derivati dalla trascurata manutenzione di beni di proprietà pubblica (in particolare strade) ovvero per danni da occupazione di terreni, originariamente finalizzata all’espropriazione per pubblico interesse ma poi divenuta illegittima per il mancato compimento della procedura espropriativa nonostante la già avvenuta realizzazione dell’opera pubblica, con l’effetto quindi di rendere irreversibile l’occupazione.
Da nessuno dei tribunale del distretto è stata segnalata la pendenza di cause aventi ad oggetto la tutela del consumatore, ai sensi del vigente codice di consumo, instaurata su impulso delle associazioni dei consumatori o del singolo consumatore o utente che sia. Numerosi sono stati invece al Tribunale di Brindisi i procedimenti disciplinati dal decreto legislativo n. 5 del 2003, instaurati di norma dai diretti interessati nei confronti degli istituti bancari, venditori e gestori, a seguito di contratti stipulati direttamente o a mezzo di propri promotori, di prodotti finanziari di vario tipo, di cui era stata magnificata la convenienza ma che nel tempo avevano perduto quasi completamente ogni valore. Nel periodo di riferimento sono stati iscritti al Tribunale di Brindisi numero trenta procedimenti e ne sono stati definiti cinquanta, quasi sempre con la dichiarazione di nullità dei contratti e molto spesso con la condanna dell’istituto bancario oltre che alle restituzioni anche al risarcimento del danno. Numerose sono state le conciliazioni sempre in termini favorevoli al consumatore.
Le esecuzioni immobiliari
Notevole, in tutti i tribunali del distretto, il numero delle procedure di esecuzione immobiliare. Nel Tribunale di Lecce il numero “spaventosamente elevato” delle procedure pendenti alla data del 2002 è in via di progressiva e sensibile riduzione e può dirsi contenuto ormai in limiti fisiologici e ciò soprattutto grazie alle disposizioni della legge n. 302/98 che ha consentito al creditore di depositare il certificato notarile in luogo della documentazione ipocatastale. Superate le difficoltà derivanti dal mancato rilascio dalla Conservatoria dei Registri Immobiliari della documentazione necessaria perché potesse disporsi la vendita, negli ultimi tre anni tutte le procedure iniziate negli anni 90 sono prossime ad essere definite.
Da nessuno dei tribunali del distretto vengono segnalate problematiche particolari per le procedure di rilascio riguardanti immobili destinati ad abitazione non essendovi nel distretto situazioni di particolare tensione abitativa.
I fallimenti
Notevolmente diminuito il numero dei fallimenti dichiarati.
Nel periodo di riferimento sono pervenute al Tribunale di Lecce 246 istanze di dichiarazione di fallimento a fronte delle 465 pervenute nel periodo precedente; le istanze accolte sono state il 25% a fronte del 36% del periodo precedente. Si nota quindi, secondo il Presidente del Tribunale, “un self-restraint del ceto creditorio nella proposizione dei ricorsi, che costituisce un positivo effetto della riforma”.
Con un provvedimento di carattere generale emesso il 22.5.07 il Tribunale di Lecce ha disposto il deposito da parte di tutti i curtori di una relazione periodica di aggiornamento al fine di consentire al giudice delegato di controllare efficacemente il loro operato e di rilevare eventuali sacche di inefficienza. Pur essendo stato detto provvedimento ampiamente diffuso, solo pochi professionisti vi hanno ottemperato: ritiene il Presidente del Tribunale che, per evitare responsabilità da violazione del principio di ragionevole durata del processo sarà necessario adottare specifici provvedimenti.
Anche per il Presidente del Tribunale di Taranto quella dei rapporti con i curatori fallimentari è “questione seria” poiché spesso si rende necessario richiamare i curatori ad una maggiore diligenza nell’espletamento del loro delicato incarico, laddove “la frammentazione degli incarichi e l’elevato numero delle procedure pendenti di fatto non consente ai giudici delegati (in numero di due a Taranto, dove al 30.6.2008 erano pendenti 1293 procedure fallimentari) di esercitare un effettivo controllo sull’andamento delle procedure, la cui durata appare talvolta priva di giustificazioni.” Assicura tuttavia lo stesso Presidente che “negli ultimi anni si è avviato un processo di maggiore selezione nelle nomine dei curatori e di maggior controllo sull’operato degli stessi e che con l’entrata in vigore della riforma, che assegna al curatore un ruolo ancora più centrale nella gestione della procedura, i criteri di nomina hanno privilegiato ancor più i requisiti i professionalità e serietà degli aspiranti agli incarichi fallimentari”.
Comunica invece il Presidente del Tribunale di Brindisi che in quel tribunale la gestione delle procedure concorsuali non ha posto alcun particolare problema né ha manifestato alcuna anomalia.
La giustizia minorile
La giustizia minorile si caratterizza sempre più per la frequenza di episodi di bullismo e più in generale di violenta devianza e ciò non può non preoccupare poiché appare evidente che all’origine di tali comportamenti vi è un generalizzato rifiuto di valori, trasmesso molto probabilmente e comunque non contrastato dall’esempio degli adulti, che caratterizza la condotta di una sempre più elevata percentuale di minori, appartenenti anche ad ambienti culturalmente e socialmente in apparenza evoluti.
Nel periodo di riferimento, secondo il Presidente del Tribunale minorile di Taranto, la tipologia ed il numero dei reati non hanno subito aggravamenti sensibili rispetto agli anni precedenti ma resta preoccupante il fenomeno dello spaccio di sostanze stupefacenti ancora prevalentemente circoscritto alle droghe leggere ed alla vendita al minuto di quantità modeste ma con allarmante progressiva estensione a quelle pesanti (cocaina in particolare) ed alla partecipazione attiva a traffici di più vasta estensione organizzati dagli adulti. Altrettanto allarmante, anche se non frequente, è la spregiudicatezza quasi adulta con la quale vengono consumate o tentate rapine all’interno di esercizi commerciali. Fortunatamente ancora irrilevante il fenomeno della criminalità di gruppo, tanto quella organizzata che quella improvvisata ed impulsiva, e ciò nonostante l’aggravamento del fenomeno nelle città anche a non dimensioni metropolitane o ad alto rischio di degrado socio-ambientale. Non poco preoccupante è poi la frattura spesso insanabile tra il minore e la scuola, con fenomeni di totale disinteresse per lo studio cui seguono forme di bullismo scolastico, ribellione alle regole e continui episodi di disturbo delle attività didattiche, fenomeno che non solo non ha subito attenuazioni ma che è in costante aumento quantitativo e soprattutto qualitativo.
Secondo il procuratore minorile di Lecce, il lieve aumento del numero dei procedimenti iscritti così come del numero dei minori denunciati essenzialmente dipende dalla reintroduzione del reato di guida senza patente. Dal punto di vista qualitativo in proporzione è maggiore l’aumento dei delitti di lesioni personali e ciò (considerato anche il coinvolgimento di due minori rispettivamente in un omicidio e in un tentato omicidio) è indicativo di una preoccupante propensione alla violenza da parte di ragazzi e ragazze, favorita dall’allentamento dei freni inibitori, collegato all’abuso di alcol e stupefacenti, dall’abitudine molto diffusa di portare con se coltelli, dalla suggestione dei gruppi in cui si è inseriti.
Parte di tali reati si riferiscono poi ad episodi di bullismo, che continuano a diffondersi nelle scuole e in tutti gli altri ambienti di aggregazione tra adolescenti di ogni ceto sociale, comportamenti tenuti da parte di adolescenti e di giovani dell’uno e dell’altro sesso in condizioni di disagio e con forti carenze educative, i quali “violando ogni regola pretendono di imporre agli altri la legge del più forte e lo fanno spesso per noi o per gioco, per il mero gusto di ledere, di intimorire e comunque di far soffrire persone più deboli ed indifese”. All’origine di tali condotte vi è, secondo il procuratore minorile di Taranto, una “vera emergenza educativa che chiama in causa la famiglia, la scuola ma anche la società civile nel suo complesso: la famiglia, in forte difficoltà in questa società piena di contraddizioni, sottoposta com’è, secondo modelli dominanti continuamente proposti dai mass media, a tante lusinghe consumistiche ed a tante spinte disgregatrici che poi si risolvono ai danni di bambini ed adolescenti; molti genitori non avvertono il senso e la responsabilità del loro essere educatori, comunicatori di sicurezze e di valori; la scuola non sembra in grado di adempiere efficacemente al suo ruolo formativo , anche perché la classe insegnante stanca e frustrata, va perdendo prestigio ed autorevolezza a causa di indisciplina e di permissivismo troppo a lungo tollerati; anche la società nel suo complesso ha le sue responsabilità… vengono continuamente offerti ai ragazzi modelli negativi di deplorevoli comportamenti pubblici e privati che poi sono assorbiti ed emulati, diventando costume di vita”.
A ragion veduta rileva il procuratore minorile di Lecce che “il bullismo deve essere doverosamente contrastato con adeguate sanzioni sul piano penale e sotto il profilo disciplinare scolastico e tuttavia non può trascurarsi che è sintomo di un disagio che deve essere affrontato soprattutto con azioni educative e, se necessario, di trattamento psicologico non solo nei confronti dei singoli, ma anche dell’intero piccolo gruppo in cui spesso si manifesta.
“”Ben venga allora il rilievo dato al comportamento scolastico attraverso l’influenza nuovamente riconosciuta al voto in condotta, giacché il dilagare degli atti di danneggiamento degli edifici, del bullismo, del consumo di stupefacenti anche all’interno delle scuole esige una risposta decisa e ferma. Tuttavia è evidente che la disposizione normativa dev’essere accompagnata da una rinnovata presa di coscienza del proprio ruolo formativo e della propria autorevolezza da parte dei dirigenti scolastici e dei docenti, talvolta dimostratisi fin troppo permissivi e sfiduciati nel recente passato. Il comportamento scolastico degli alunni di ogni età dev’essere inoltre occasione di un rinnovato dialogo tra docenti e famiglie, perché a parte altre considerazioni, è di per sé uno dei sintomi più significativi del disagio e di disturbi profondi di bambini, adolescenti e giovani.””
Non vi sono state denunce per reati associativi. Negli ultimi tempi però vi sono stati delitti allarmanti che possono far pensare ad una riorganizzazione delle associazioni delinquenziali in più o meno diretta continuità con i gruppi storici della sacra corona unita. Appare perciò possibile che giovani e giovanissimi figli o congiunti di appartenenti alla sacra corona unita possano costituire i primi destinatari di coloro che potrebbero voler promuovere la ristrutturazione delle locali organizzazioni criminali.
Segnala invece il procuratore minorile di Taranto il preoccupante aumento dei reati violenza sessuale (16 iscrizioni a fronte dei 9 dell’anno precedente) e i reati di pedopornografia minorile (7 iscrizioni a fronte dei 2 dell’anno precedente), che sono, a suo avviso, “prova del diffondersi a largo raggio di una mentalità libertaria ed edonistica e di una forte caduta di valori etici anche fra giovanissimi dell’uno e dell’altro sesso”.
Altrettanto preoccupante per il procuratore di Taranto “il fenomeno della diffusione della pedofilia informatica di cui i bambini e i ragazzi possono essere, anche casualmente, potenziali consumatori, collegandosi ad internet, se non addirittura irretiti nel traffico immondo dei pedofili. Purtroppo il fenomeno è in espansione anche per la diffusione di telefoni cellulari dotati di videocamera: fra i casi di pornografia minorile denunziati vi sono quelli di ragazzine che si prestano a farsi ritrarre in immagini e filmati di parti del proprio corpo a contenuto pornografico, immagini poi diffuse anche contro la loro volontà.”
Molto frequenti e gravi i danneggiamenti di edifici scolastici, specialmente nella fase iniziale dell’anno scolastico, sia nelle città capoluogo che nei centri minori del distretto, anche ad opera di vere e proprie bande composte da alunni e giovani adulti, con finalità di assurdo vandalismo ed insieme di profitto, concretizzate nella sottrazione di computer ed altri oggetti.
Le denunce a carico di minori stranieri restano pari a circa il 10 per cento del totale.
Gli interventi di sostegno e recupero, previsti nei piani di zona dalle amministrazioni locali e dai servizi territoriali, d’intesa con l’autorità giudiziaria minorile, iniziano ad avere concreta attuazione con positivi risultati, per ora però quasi esclusivamente nei confronti di minori per i quali è stata disposta la sospensione del procedimento con la messa alla prova. Il Presidente del Tribunale minorile di Lecce segnala tuttavia l’inadeguatezza dei servizi sociali istituiti presso i comuni, specie i più piccoli, nella maggior parte dei quali manca nell’organico la figura dello psicologo, quando non è assente addirittura l’assistente sociale o è assente per lunghi periodi senza sostituzione. Altamente positivo è invece il giudizio relativo ai Servizi Minorili dell’Amministrazione della giustizia, quasi esclusivamente impegnati però nella elaborazione dei progetti per i minori ammessi all’istituto della messa alla prova ed al controllo poi della loro applicazione.
Nella prospettiva di favorire una giustizia riparativa e tendente alla conciliazione delle parti, si sono conclusi recentemente, su impulso della Regione, accordi di programma con le province di Lecce e Brindisi per la istituzione di uffici di mediazione, che dovranno operare nel campo civile e penale con professionisti specializzati.
Segnala il Presidente dl Tribunale di Lecce che l’attività dell’istituto penale per i minorenni è attualmente sospesa per lavori di ristrutturazione dello stabile e che è urgente ripristinare la destinazione dell’istituto non solo ai minori in stato di custodia cautelare ma anche ai minori in espiazione di pena. La possibilità infatti di consentire ai minori condannati un contatto frequente con i familiari e il loro coinvolgimento nel piano di trattamento e di recupero è una esigenza che non può e non deve essere sottovalutata.
I presidenti di entrambi i tribunali minorili del distretto segnalano l’urgenza, nonostante i ripetuti interventi “riparatori” della Corte Costituzionale, dell’emanazione di un ordinamento penitenziario minorile che è in ritardo di oltre un trentennio posto che l’art. 79 della legge 354 del 1975, nell’estendere ai minori degli anni diciotto sottoposti a misure penali la normativa in essa contenuta, espressamente prospettava la necessità di un’apposita disciplina per i minori. Giova ricordare che nel preambolo della raccomandazione n. 20 del 1987 del Consiglio d’Europa è previsto che il sistema penale per i minorenni deve caratterizzarsi in primo luogo per gli obiettivi della rieducazione e del reinserimento sociale del giovane e che deve, nei limiti del possibile, sopprimere la carcerazione per i minorenni.
Informa a sua volta il procuratore minorile di Taranto che il Centro di Prima Accoglienza di Taranto opera in una struttura che avrebbe necessità di un serio intervento di manutenzione che il Comune di Taranto, proprietario dell’edificio, a causa delle condizioni di dissesto in cui versa, non è in grado di operare. Peraltro detto Centro non può operare regolarmente a causa dell’organico ridotto della polizia penitenziaria, che non può assicurare il tempo pieno per tutti i giorni della settimana, con la conseguenza che i minori che vengono arrestati nei giorni festivi vengono tradotti nei centri di Lecce e di Bari, con grave disagio per le famiglie dei minori ma anche per l’organo di polizia che ha proceduto all’arresto.
Comuni a quelle degli altri tribunali minorili le problematiche giuridiche affrontate dal tribunale di Lecce; in particolare e come anche in altre sedi permane tuttora aperto il contrasto con il tribunale ordinario in tema di competenza a provvedere sull’affidamento dei figli in pendenza di una causa di separazione personale dei coniugi, ritenendo il tribunale per i minorenni che la competenza attribuita dalla legge al giudice della separazione non impedisce l’adozione da parte del giudice minorile di provvedimenti urgenti quando l’interesse del minore lo richiede. Sono perciò notevolmente aumentati i ricorsi mirati, in modo più o meno strumentale, ad ottenere dal Tribunale per i minorenni decisioni che anticipino oppure ribaltino quelle del giudice della separazione o del divorzio.
La recente modifica introdotta dalle legge 8 febbraio 2006 n. 54 in materia di affidamento dei figli minori nei casi di separazione aveva determinato, nel primo periodo di applicazione, una diffusa incertezza interpretativa in ordine alla competenza funzionale con riguardo ai provvedimenti ex art. 317 bis codice civile circa il regime di affidamento dei figli minori nati da unioni naturali. L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 8362 del 2007 ha risolto il conflitto affermando la competenza del Tribunale per i Minorenni estesa anche alle situazioni di natura economica. Siffatto indirizzo giurisprudenziale, condiviso dalla maggioranza dei giudici minorili, fa emergere, secondo il Presidente del Tribunale minorile di Lecce, con più evidenza la grande difficoltà derivante dalla mancanza di una organica normativa del processo civile minorile, che, realizzando i principi di cui agli artt. 24 e 111 della Costituzione tenga conto della specificità delle controversie in cui è comunque implicato un soggetto minorenne.
La necessità del resto di una valutazione unitaria dei problemi della famiglia, da cui nascono o in cui comunque si inseriscono le situazioni di disagio dei minori, per individuare le soluzioni più rispondenti alle esigenze ed all’interesse di questi ultimi, considerandoli non isolatamente ma come parte di una realtà familiare fatta di difficoltà ma anche di risorse, consiglia la concentrazione in un unico organo giudiziario della competenza a decidere su tutte le questioni riguardanti la famiglia e costituisce dunque una ragione più che valida a favore di chi considera ormai indifferibile la costituzione di un tribunale della famiglia in cui siano concentrate le competenze oggi frammentate tra tribunali ordinari e tribunali minorili.
I presidenti di entrambi i tribunali minorili del distretto informano che l’istituto dell’affidamento etero-familiare, nonostante la fiducia in esso riposta dal legislatore, non ha trovato finora rilevante applicazione per via della quasi totale inesistenza di famiglie o di persone singole disponibili e idonee a prestare cure materiali ed affettive in via solo transitoria. Ciò dipende principalmente da un impegno insufficiente dei servizi degli enti locali territoriali che, al di là dei buoni propositi e dell’emanazione di normative anche dettagliate, non hanno un vero progetto di diffusione della cultura dell’affido e dell’organizzazione di gruppi ad esso predisposti e debitamente assistiti. E d’altra parte le famiglie di origine ritengono più conveniente per i propri figli –nei periodi di disagio e di difficoltà del nucleo familiare- il ricovero in una struttura piuttosto che l’affidamento ad una famiglia.
E qui la mia relazione si conclude; mi pare giusto che si concluda con questa particolare attenzione dedicata ai giovani nei confronti dei quali nessun permissivismo si giustifica (sarebbe deleterio per il loro avvenire) mentre ragione vuole che, per quanto essi possano apparire insolenti ed insopportabili, si deve evitare di criminalizzare i loro comportamenti e di illudersi che la via penale possa costituire una scorciatoia percorribile per risolvere i problemi legati alla loro condizione di disagio.
Vi ringrazio per avermi ascoltato.
Le riforme della precedente legislatura
La temporaneità degli uffici direttivi
La presenza degli avvocati nei consigli giudiziari
L’andamento della giustizia nel distretto di Lecce
La situazione della giustizia penale, della giustizia civile,
della giustizia del lavoro
I tempi di definizione dei processi
La prescrizione dei reati
Gli indennizzi pagati dallo Stato per i ritardi
Le cause della crisi
Gli interventi necessari ed urgenti
La mancanza di mezzi e risorse: l’informatizzazione
L’inadeguatezza dell’organico del personale giudiziario
e del personale amministrativo
Le strutture logistiche
Gli uffici del giudice di pace e la magistratura onoraria
Il patrocinio a spese dello Stato
Tipologia dei reati: l’impegno della polizia giudiziaria
Le misure di prevenzione di carattere patrimoniale
Gli infortuni sul lavoro e il lavoro in nero
La tutela dell’ambiente e l’abusivismo edilizio
I ricorsi al tribunale del riesame ed i riti alternativi
La magistratura di sorveglianza e gli istituti penitenziari
Questioni specifiche della giustizia civile
La giustizia minorile
Introduzione
Autorità, signore e signori,
anche a nome di tutti i magistrati del distretto, che ho il privilegio di rappresentare, vi porgo il più cordiale saluto ed un vivo ringraziamento per la vostra partecipazione a questa cerimonia.
Noi magistrati siamo consapevoli dell’importanza del nostro ruolo all’interno della società e del nostro dovere di fare quanto da noi dipende per esserne all’altezza e tuttavia siamo altrettanto consapevoli che la nostra credibilità va sempre più diminuendo.
Molti dicono per alcuni censurabili comportamenti di alcuni di noi -ai quali peraltro l’istituzione non sempre sa reagire tempestivamente ed efficacemente- e ciò, almeno in parte, è sicuramente vero e non mi riferisco a quelle vicende che tengono banco sulla stampa nazionale ma a quei comportamenti minuti di tutti i giorni che riescono proprio per la loro quotidianità ad offuscare la nostra immagine.
Altri dicono invece per la nostra incapacità di comunicare con la società civile, per far comprendere le vere ragioni di questo sfascio e di questi continui attacchi alla magistratura ad ogni livello: le accuse di partigianeria prima riguardavano i pubblici ministeri, poi i giudici nel loro complesso, ora non risparmiano la Corte di Cassazione (alla quale -la responsabilità è anche vostra signori giornalisti- si attribuisce ogni tanto qualche grossolana sciocchezza per poterla più facilmente deridere…) e di recente anche la Corte Costituzionale;
…incapacità di far comprendere che questi attacchi potrebbero trovare spiegazione per esempio nel rifiuto di qualsiasi controllo di legalità sul modo in cui si gestisce il potere, obiettivo che è più facile raggiungere, naturalmente, discreditando chi quei controlli pretende di esercitare;
… incapacità di far capire di chi è la vera responsabilità delle incredibili inefficienze dell’apparato giudiziario a cui in definitiva è legata la nostra perdita di credibilità.
Sta di fatto che se anche i sondaggi dicono il contrario e ci danno in vantaggio di fronte ad altre istituzioni (ma vacci a credere ai sondaggi…) e ci collocano dopo solo il Presidente della Repubblica, le forze dell’ordine (che sono quasi sempre al primo posto, e ciò ci dovrebbe far riflettere), la Chiesa… la nostra credibilità è oggi ai minimi termini e anzi siamo ormai circondati da sentimenti di vera e propria insofferenza, quando pretendiamo di indicare responsabilità altrui sminuendo invece le nostre.
Ed è triste dover constatare che noi giudici oggi siamo più temuti dai cittadini che non rispettati ed anche per questo ci dobbiamo sforzare di cambiare e “possiamo cambiare –come si legge in un recente documento della nostra associazione- solo se siamo capaci di rinnovarci al nostro interno perché è dovere e responsabilità dell’associazione magistrati e degli organi di autogoverno assicurare ai cittadini una magistratura capace, motivata e professionalmente adeguata”.
Noi vogliamo che i cittadini tornino a credere in noi e noi vogliamo tornare a credere nel nostro lavoro.
E’ allora una fortuna davvero che tanti di voi siate qui oggi per ascoltare che abbiamo ancora da dire; abbiamo anche la presunzione di credere che voi siete qui oggi non solo per adempiere distrattamente un obbligo legato al vostro ruolo istituzionale ma per un effettivo bisogno di essere informati ed anche per farci conoscere nell’immediatezza in che direzione chiedete a noi di impegnarci per migliorare la situazione di grave inefficienza, alla quale stiamo facendo abitudine, come a qualcosa di ineluttabile, che è sempre stato e sempre sarà.
Sennonché mi rendo conto a questo punto che tutto quello che c’era da dire è stato già detto e mi chiedo fino a che punto può essere utile ripeterlo: ma tacere e rinunciare alla discussione significherebbe certificare definitivamente la nostra sconfitta e la sconfitta della magistratura, credetemi, è una sconfitta per la democrazia e per il nostro futuro di uomini liberi.
E’ la terza volta che io svolgo questo compito, di relazionare cioè sull’andamento della giustizia nell’anno decorso e sulle prospettive che si pongono per il futuro; due volte ad Ancona, in un contesto socio-economico del tutto diverso, dove ho potuto maturare un’interessante esperienza; e oggi per la terza volta qui a Lecce dove sono tornato, come mi auguravo ed anche prima del tempo, per qualche fortunata –per me- coincidenza.
E assolvo questo compito oggi con grande emozione, che mi deriva dal fatto di parlare davanti a persone tanto qualificate, davanti ad avvocati di eccezionale levatura di cui sono abituato ad ascoltare le argomentate arringhe, che oggi mi ascoltano nel mio dire disadorno e da quel che io dico mi giudicano e con me giudicano la magistratura di questo distretto nel suo complesso.
La situazione attuale
Due anni fa ad Ancona, nella stessa occasione, il contesto politico generale suscitava in tutti la condivisa speranza che sarebbero state finalmente messe da parte le polemiche e le contrapposizioni e che in unità di intenti, come tante volte aveva raccomandato il Presidente della Repubblica –al quale oggi, sicuro di interpretare i sentimenti anche di tutti voi, invio un rispettoso e riconoscente saluto, riconoscente per l’attenzione che egli riserva ai problemi della giustizia e per la guida morale che riesce ad essere per tutti noi quale rappresentante dell’unità nazionale e geloso custode della Costituzione che il popolo si è data-… sembrava, dicevo, che in unità di intenti si sarebbe messo mano finalmente ad una complessiva riforma della giustizia della cui necessità si era preso apertamente atto. Ed in effetti furono varate una serie di iniziative legislative che per la verità servirono soltanto a far riaccendere le polemiche tra chi, da un lato, le giudicava inutili e addirittura pericolose, chi dall’altro le riteneva ancora timide. insufficienti ed inadeguate.
Forse se la legislatura non si fosse traumaticamente conclusa (col contributo anche di qualche giudice, mi auguro inconsapevole ma non per questo meno colpevole…) a qualche risultato forse si sarebbe arrivati ma poi tutto tacque e di quel fervore (si fa per dire) rimase ben poco anche se alla lunga quel poco potrà produrre qualche effetto ed è ciò di cui fra poco penso di occuparmi.
Oggi (dopo i fatti di Catanzaro) si riparla dell’urgenza di una riforma complessiva della giustizia, “dell’urgenza di affrontare e risolvere problemi di equilibrio istituzionale, nei rapporti tra politica e magistratura che si trascinano da tempo; dell’urgenza di riforme, volte a scongiurare eccessi di discrezionalità, rischi di arbitrio e conflitti interni alla magistratura nell’esercizio della funzione giudiziaria, a cominciare dalla funzione inquirente e requirente; dell’urgenza di una riforma che riguardi anche la migliore individuazione e il più corretto assolvimento dei compiti assegnati al Consiglio Superiore della Magistratura dalla Carta costituzionale e al tempo stesso di fermo richiamo a criteri di comportamento come quelli relativi al riconoscimento effettivo dei poteri spettanti ai capi degli uffici”.
Ed è ancora un volta l’alto monito del Presidente della Repubblica, di cui ho riportato le parole, a richiamare tutti alle proprie responsabilità, invitando tutti ad “ascoltare –sono ancora parole sue- ciascuno in ragione delle proprie responsabilità pubbliche, non l’appello del Capo dello Stato, ma quel che si attende il paese perché sa di averne bisogno”.
A noi magistrati il Presidente della Repubblica raccomanda in particolare un “costume di serenità, riservatezza ed equilibrio, nel rigoroso rispetto delle regole, che non può essere sacrificato all’assunzione di missioni improprie e a smanie di protagonismo personale”.
Ed è quello che io vado dicendo –molto più modestamente- da tempo: perché a parte le smanie di protagonismo personale, che vanno confinate nel patologico vero e proprio, nessuno può credere che tutto possa ridursi a problema di giustizia nel senso che ogni problema nazionale, nella più totale assenza o indifferenza delle altre istituzioni, possa giungere a soluzione attraverso la via giudiziaria e l’intervento del giudice; nessuno può illudersi che il giudice possa essere l’onnipresente custode della vita sociale, economica e politica supplendo alla mancanza ed all’inerzia delle altre istituzioni: io non credo e non ho mai creduto, a differenza di chi se ne fa ora il più accanito dei critici, nel cosiddetto ruolo di supplenza dei giudici; credo invece che il giudice debba essere in grado di interpretare pienamente il ruolo che la Costituzione e la coscienza moderna gli assegna, di farsi cioè tutore della legalità ad ogni livello e dei diritti, specie dei più deboli e dei meno garantiti, per contribuire al raggiungimento dell’obiettivo di uguaglianza sostanziale tra i cittadini che l’art. 3 della Costituzione assegna alla Repubblica nel suo complesso.
Un ruolo, credetemi, che non comporta nessuna assunzione di missione impropria, come ci avverte il Presidente della Repubblica, ma che, se correttamente praticato, non è davvero di poco conto, che offre mille possibilità di intervento, che dev’essere svolto però nel pieno rispetto non solo formale ma anche sostanziale della legge, come a maggior ragione dai magistrati si deve pretendere.
E d’altra parte sono proprie le associazioni dei magistrati a proclamare che “prima esigenza assolutamente indefettibile è la costante rigorosa applicazione della legge ed il rispetto del sistema procedurale, in ogni azione giudiziaria, specialmente in quelle che, anche a prescindere dalla volontà dei singoli magistrati, coinvolgono valori ed interessi di rilevanza pubblica ed istituzionale. Soprattutto in tali contesti nessuno scostamento dalle regole, consapevole o superficiale che sia, può essere mai giustificato, perché determina comunque la perdita di autorevolezza ed inquina il valore ed il senso costituzionale dell’indipendenza, non privilegio di potere, quale che sia, per i singoli ma strumento finalizzato ad una giurisdizione uguale per tutti, efficace, secondo le regole ed in tempi ragionevoli… senza immunità ed esenzioni per alcuno”.
Non è più accettabile allora che si avviino indagini giudiziarie ad ampio raggio, che non giungono mai a termine, lasciando un alone di sospetto sugli indagati e rinviando nel tempo la eventuale verifica dibattimentale, come se un termine di durata delle indagini non fosse già nella legge, dato che quasi sempre viene prorogato dai gip a semplice richiesta, non alla ricerca delle prove di un reato già denunciato ma alla ricerca di reati in genere (vedi le intercettazioni a strascico di cui si parla in questi giorni).
Noi giudici dobbiamo essere consapevoli allora di questa diffidenza che c’è nei nostri riguardi e trarne le conseguenze. Un impegno che qui ed ora abbiamo il dovere di assumerci.
Le riforme della precedente legislatura
Che cosa è rimasto allora delle riforme di due anni fa? Due sono i punti di arrivo a mio avviso importanti, le due riforme ordinamentali che riguardano la temporaneità degli uffici direttivi e la partecipazione degli avvocati, attraverso la loro presenza nei Consigli Giudiziari, alla gestione degli uffici.
Sono a ben vedere due riforme di enorme rilevanza se pure per il momento hanno creato solo problemi e anche di una certa gravità ma che pongono le premesse, se ognuno naturalmente saprà interpretare il suo ruolo, di un effettivo processo di rinnovamento.
Poi, è naturale, occorrerà, se si vuol far funzionare veramente la macchina giudiziaria, dotarla di mezzi adeguati, attuare altre riforme legislative per semplificare le procedure, provvedere ad una distribuzione più razionale degli uffici sul territorio, eliminare sacche incredibili di inefficienza, ristabilire un costume giudiziario rispettoso della dignità della funzione e dei ruoli rispettivi, ispirato a correttezza nei rapporti interpersonali, al rifiuto di ogni scorciatoia e di ogni furbizia, ad una maggiore lealtà cui possa corrispondere un maggiore affidamento verso l’altro…. Ma intanto si sono create le premesse perché sia pure lentamente qualcosa cambi.
La temporaneità degli uffici direttivi
Fino allo scorso anno il magistrato, che riusciva ad ottenere per meriti propri o, come poteva anche accadere e purtroppo accadrà ancora, per una serie di fortunate coincidenze, un ufficio direttivo, sapeva che l’avrebbe potuto mantenere fino al pensionamento, salvo a conquistare nel frattempo un ufficio di grado più elevato.
Non mi soffermo sugli inconvenienti che questo sistema aveva prodotto: tutti abbiamo conosciuto capi di uffici giudiziari anche importanti poco impegnati, sempre più demotivati specie mano che mano che andavano avanti negli anni, del tutto disimpegnati in prossimità del pensionamento, tanto più nel periodo in cui, caduto in crisi il principio gerarchico, i capi per primi si erano convinti (ma era una posizione di comodo) che non avevano alcun potere né i mezzi necessari per governare gli uffici.
Noi magistrati per primi avevamo denunciato questa situazione, proponendo che l’incarico direttivo divenisse temporaneo in modo da rendere possibile, ad ogni scadenza, una verifica della piena attitudine del magistrato all’incarico ricoperto e se del caso la sua sostituzione.
Nessuno perciò vi fece caso quando la regola della temporaneità venne inserita nel nuovo ordinamento giudiziario con effetto retroattivo (contestatissimo poi dai tanti interessati) e, ai tempi del ministro Castelli, tutti impegnati nella discussione sui massimi sistemi, nessuno si accorse che il 4 gennaio del 2008 quasi 400 tra magistrati direttivi e semidirettivi di altrettanti uffici di colpo sarebbero cessati dalle loro funzioni: col tempo ci abitueremo, dopo aver fatto il presidente di tribunale o di corte di appello, a tornare a fare il giudice e vedere il nostro posto occupato da un collega molto più giovane ma per ora tutto ciò contrasta con una mentalità acquisita nel tempo e il vero e proprio sconquasso che si è verificato sul piano psicologico per i tanti magistrati interessati dalla riforma si è aggiunto al problema molto più serio che 400 uffici da un giorno all’altro sarebbero stati privati della loro direzione. All’ultimo momento come si usa in Italia si è rimediato con decreto legge che ha previsto una proroga di sei mesi per dar tempo al CSM di provvedere e di fatto nei sei mesi successivi e tuttora il CSM ha fatto salti mortali per rimediare ad una situazione che si profilava di estrema gravità. Ve ne parlerà credo il rappresentante del CSM quando prenderà la parola.
In concreto abbiamo trascorso quest’anno in attesa che la gran parte degli uffici trovassero un assestamento organizzativo: una cosa da niente come potete immaginare per uffici che già prima arrancavano per conto loro. Ancora oggi sono interessati al problema due dei tre tribunali del distretto, Lecce e Brindisi, mentre nel terzo –Taranto- solo da un mese si è insediato il nuovo presidente, il dr Morelli al quale colgo l’occasione per rivolgere un augurio di buon lavoro… che ce n’è tanto bisogno, non di auguri ma di buon lavoro…. Sono stati designati ma non hanno ancora preso servizio i presidenti dei tribunali per i minorenni di Lecce e Taranto e il procuratore per i minorenni di Taranto; non sono stati neppure designati il presidente del tribunale di sorveglianza di Taranto e il Procuratore della Repubblica di Brindisi, solo da pochissimo hanno preso servizio i procuratori della repubblica di Lecce, di Taranto e del tribunale per i minorenni di Lecce.
Ma ora, superata in parte la bufera (non elenco neppure i posti semidirettivi di procuratore aggiunto o di presidente di sezione ancora scoperti) siamo in condizioni di ripartire e dobbiamo, cari colleghi, rimboccarci le maniche senza stare in attesa di qualche evento messianico, rendendoci conto che qui ed ora, con i mezzi di cui disponiamo e nelle difficoltà in cui ci troviamo, dovremo dar prova di sapere fare fronte alla situazione, perché –vedete- quella di assumere la direzione di un ufficio è sicuramente una giusta aspirazione per tutti noi ma non è certamente un obbligo di legge e, se abbiamo chiesto ed ottenuto la direzione di un ufficio, dobbiamo sapere che ci siamo assunta la responsabilità di esserne all’altezza, dando l’esempio, lavorando più degli altri, rendendoci conto infine che non sarà più possibile continuare a chiedere senza dare.
Questo è l’impegno che oggi ci viene richiesto e questo è l’impegno che in un’occasione come questa dobbiamo pubblicamente assumerci, consapevoli anzi auspicando che non sarà più possibile sottrarci alle responsabilità che ce ne derivano: non è un caso che, con riferimento ad una grave recente vicenda, in cui si è registrato un aspro conflitto tra due uffici di procura e in relazione alla quale perfino il Presidente della Repubblica ha dovuto spiegare il suo preoccupato intervento, la più grave misura è stata adottata nei riguardi di un capo di ufficio per omessa vigilanza sulle condotte dei magistrati a lui sott’ordinati rispetto a quelle adottate nei riguardi dei magistrati che di tali condotte si sarebbero resi responsabili.
La presenza degli avvocati nei consigli giudiziari
Solo alcuni di noi magistrati hanno visto con favore questa parte della riforma e molti considerano l’ingresso degli avvocati nei consigli giudiziari una vera e propria intrusione, tanto più che loro sono estremamente gelosi della indipendenza del loro ordine.
Le ragioni per cui molti di noi sono contrari derivano dalla preoccupazione che gli avvocati, potendo in qualche modo interferire sullo status dei magistrati, possano disporre nei loro confronti di una potente arma di pressione che potrebbero usare nel loro personale interesse.
E però, una volta previsto che la componente avvocati non partecipa alle deliberazioni riguardanti lo status e le valutazioni di professionalità dei magistrati, questo pericolo non esiste o è estremamente ridotto ed è ampiamente compensato dai possibili vantaggi.
E dunque, attraverso la loro presenza nei consigli giudiziari, gli avvocati partecipano a pieno titolo alla gestione degli uffici, possono prendere iniziative e comunque interloquiscono su tutto ciò che riguarda il loro efficiente funzionamento.
Non è davvero cosa da poco se pensate che, intervenendo per esempio sul progetto organizzativo di un ufficio, gli avvocati possono indirettamente fare emergere insufficienze nella direzione dell’ufficio, inadeguatezze ed incapacità dei giudici addetti ai settori di servizio giudicati inefficienti e così via.
Per ora, ma siamo agli inizi e per tutto agli inizi c’è bisogno di un periodo di rodaggio, la partecipazione degli avvocati ai lavori del Consiglio giudiziario è stata piuttosto timida; in un certo senso hanno preferito stare a guardare per rendersi conto della situazione, un atteggiamento in definitiva di apprezzabile prudenza che fuga quella preoccupazione di intrusione; finora però non ci siamo occupati di cose importanti, vedremo cosa avverrà quando a breve dovremo occuparci di tabelle di organizzazione degli uffici.
Ma l’importante è che si sia realizzata questa nostra apertura all’esterno, che si siano create le premesse di un dialogo che non potrà non essere foriero di utili risultati.
E’ su questo terreno, signori avvocati, che preferiamo confrontarci con voi e per questo non comprendiamo le ragioni del vostro ultimo sciopero, che a parte gli obiettivi che abbiamo in comune con voi (contrastare il fenomeno dei magistrati fuori ruolo, assicurare effettività al principio di obbligatorietà dell’azione penale, puntare ad una seria riforma dei codici, contrastare la legislazione di emergenza nella mala interpretata esigenza di sicurezza dei cittadini e che finora non ha prodotto nulla di positivo), per il resto serve solo a creare divisioni e ad aggravare una situazione giudiziaria di per se difficile.
Per quanto ci riguarda e credo di poter parlare anche a nome del Procuratore generale, confermiamo l’impegno, come stiamo già facendo da tempo, ad un’azione comune per cercare assieme a voi i rimedi possibili ad ogni situazione di inefficienza, reprimendo anche, quando occorre, condotte censurabili da chiunque tenute che nuocciono alla serenità ed al rispetto dei rapporti reciproci.
Anche la nostra associazione si pone come obiettivo prioritario quello di “garantire una elevata professionalità dei magistrati italiani e il rigoroso rispetto delle regole del processo e deontologiche in uno con la tutela della credibilità della magistratura sul piano dell’etica e della responsabilità”
I magistrati italiani considerano infatti l’autonomia e l’indipendenza della magistratura come valori posti a presidio dei diritti fondamentali dei cittadini e non come privilegi corporativi e per questo sono i primi a chiedere interventi rigorosi e tempestivi nelle ipotesi di forte caduta di professionalità, ma anche e soprattutto nelle situazioni che denotano neghittosità, collusioni, opacità.”
Ma altrettanto è chiaro chiediamo anche a voi.
L’andamento della giustizia nel distretto di Lecce
Dopo questa lunga premessa è venuto il momento di parlare della situazione degli uffici giudiziari del distretto, dell’andamento in generale della giustizia, di quali siano le prospettive nel prossimo anno… ma i limiti di tempo che mi tocca rispettare, come poi chiederò anche a voi nel dibattito che seguirà, mi impongono una estrema sintesi.
La mia relazione scritta che vi è stata distribuita è invece fin troppo analitica e ricca di numeri e dati statistici, un vero supplizio per voi se ve la dovessi leggere per intero. E lascio a voi quindi la scelta se e quando leggerla: se la leggerete, se anche vi soffermerete sulle tavole di statistica elaborate dalla nostra validissima funzionaria preposta a questo servizio, qualche informazione interessante forse la troverete. Ed è solo per sollecitare la vostra curiosità che ne farò una rapidissima sintesi anche per non far torto a chi, le forze dell’ordine in primis -carabinieri, polizia e guardia di finanza- ma anche il personale di cancelleria (e non parlo dei giudici) merita che del suo eccezionale impegno, profuso in una situazione di difficoltà, sia fatta quanto meno una rapida menzione.
La situazione della giustizia penale
Tanto nella corte di appello (sede centrale e sede distaccata di Taranto) che nei tre tribunali del distretto si registra un costante e sensibile incremento del numero dei procedimenti penali pervenuti nel periodo di riferimento ed al tempo stesso, come conseguenza di una apprezzabile maggiore produttività in assoluto dei singoli uffici, derivante dagli accorgimenti organizzativi adottati, un discreto aumento del numero dei procedimenti definiti.
Per la corte di appello il saldo finale è stato comunque negativo poiché il numero dei procedimenti definiti è stato in ogni caso inferiore a quello dei procedimenti pervenuti e ciò ha determinato un ulteriore incremento delle pendenze finali.
Anche presso gli uffici dei giudici di pace, cui solo da qualche anno è stata attribuita competenza in materia penale, si deve registrare la formazione di una pendenza in progressivo aumento che, se ancora allo stato non può definirsi patologica, ben presto lo diverrà: anche in questo caso il consistente numero dei procedimenti definiti risulta quasi sempre inferiore a quello dei procedimenti pervenuti.
Il dato statistico è in proposito illuminante:
nella corte di appello (compresa la sezione distaccata di Taranto) nel periodo di riferimento sono pervenuti 3.554 procedimenti a fronte dei 3.127 pervenuti nel periodo precedente con un incremento quindi del 13,6 per cento mentre nel 2007 (un dato sulle cui cause bisognerà approfondire la riflessione) si era verificato un sensibile decremento ed una riduzione del 15,8 per cento. Sempre nel periodo di riferimento sono stati definiti 3.090 procedimenti a fronte dei 3.074 definiti nel corrispondente periodo dell’anno precedente con un modesto incremento quindi dello 0,5 per cento. Il saldo, come dicevasi, è però negativo perché a fronte dei 5.174 procedimenti pendenti al 30.6.07 la pendenza è ora di 5.636 procedimenti con un aumento dell’8,9 per cento.
Presso la corte di assise di appello si registra un aumento da 13 a 16 dei procedimenti pendenti essendone stati definiti 9 a fronte dei 12 pervenuti.
Sostanzialmente stabile o anche migliorata è la situazione dei tribunali.
Al Tribunale di Lecce (comprese le sezioni distaccate), nel periodo in riferimento, sono stati definiti a giudizio 3.869 procedimenti a fronte dei 3.868 definiti nel corrispondente periodo dell’anno precedente; ne sono pervenuti 3.980 a fronte dei 4.174 dell’anno precedente; la pendenza alla fine del periodo è di 6.648 procedimenti a fronte dei 6.625 della fine del periodo precedente.
Al Tribunale di Brindisi (comprese le sezioni distaccate), nel periodo in riferimento, sono stati definiti 2.629 procedimenti a fronte dei 2.363 del periodo precedente; ne sono pervenuti 2.377 a fronte dei 2.396 del periodo precedente; alla fine del periodo i procedimenti pendenti erano 2.661 a fronte dei 2.919 della fine del periodo precedente: in questo caso si è verificata una sensibile riduzione della pendenza dovuta alla maggiore produzione nel periodo.
Al Tribunale di Taranto (comprese le sezioni distaccate), nel periodo in riferimento, sono stati definiti 4.990 procedimenti a fronte dei 4.047 del periodo precedente; ne sono pervenuti 4.029 a fronte dei 3.220 del periodo precedente; ne risultano pendenti 7.755 a fronte degli 8.736 del periodo precedente con una sensibile riduzione in questo caso della pendenza finale dovuta alla maggiore produzione che ha anche compensato il maggior numero delle sopravvenienze.
Presso i Tribunali per i minorenni di Lecce e di Taranto si registra un modesto incremento delle pendenze penali; i procuratori della repubblica minorili attribuiscono questa crescita essenzialmente alla reintroduzione del reato di guida senza patente e ritengono invece che la devianza minorile sia nel distretto sostanzialmente stabile, a parte il sommerso di illeciti non scoperti o più spesso non denunciati, che certamente esiste ma non è per sua natura quantificabile.
Diversa è la situazione degli uffici del GIP-GUP.
All’ufficio Gip-Gup del Tribunale di Lecce: nel periodo di riferimento sono pervenuti 7.765 procedimenti contro noti (a fronte dei 9416 del periodo precedente); ne sono stati definiti 10.455 (a fronte degli 8.901 del periodo precedente); alla fine del periodo vi erano pendenti n. 8.404 procedimenti a fronte degli 11.328 del periodo precedente; in questo caso la sensibile diminuzione della pendenza è dipesa principalmente dalla riduzione del numero dei procedimenti sopravvenuti.
All’ufficio Gip-Gup del Tribunale di Brindisi: nel periodo di riferimento sono pervenuti n. 7.949 procedimenti contro noti a fronte degli 8.168 del periodo precedente); ne sono stati definiti 7.411 (a fronte dei 9.481 del periodo precedente); la pendenza a fine periodo è stata di 2.972 procedimenti (a fronte dei 2.825 della fine del periodo precedente).
All’ufficio del Gip-Gup del Tribunale di Taranto: nel periodo di riferimento sono sopravvenuti 8.206 procedimenti contro noti a fronte dei 7.475 del periodo precedente; ne sono stati definiti 6.646 (a fronte dei 5.579 del periodo precedente); a fine periodo erano pendenti n. 13.751 procedimenti a fronte dei 13.934 del periodo precedente.
In controtendenza, dunque, sul dato complessivo relativo ai procedimenti contro noti, davanti ai gip-gup si è registrata una sensibile riduzione che è del 4,5 per cento, quanto ai procedimenti sopravvenuti nel periodo (23.920), e del 10,5 per cento quanto ai procedimenti pendenti (25.127).
I procedimenti contro ignoti nei tre uffici Gip-Gup sono stati, nel periodo, rispettivamente di 5.164 a Lecce, 4.237 a Brindisi, 6.034 a Taranto con un incremento del 7,2 per cento sul dato complessivo di 15.435 procedimenti a fronte dei 14.399 del periodo precedente.
Ai giudici di pace del distretto nel periodo di riferimento sono pervenuti a dibattimento (si omette il dato dei procedimenti definiti senza rinvio a giudizio o contro ignoti) 3.462 procedimenti mentre ne sono stati definiti 3.039; a fine periodo il numero dei procedimenti pendenti era di 4.127 (a fronte dei 3.728 della fine del periodo precedente).
La situazione della giustizia civile
Analogo e addirittura più appariscente è l’andamento dei procedimenti in materia civile.
Nel periodo di riferimento sono pervenute alla corte (il dato si riferisce ai soli procedimenti di cognizione ordinaria) n. 2.156 cause con un incremento rispetto al periodo precedente dell’8,4 per cento; ne sono state definite 1.953, l’1,4 per cento in più rispetto al periodo precedente ma sempre meno delle cause sopravvenute; inevitabile di conseguenza l’aumento delle cause pendenti che erano a fine periodo 5.396 a fronte delle 5.200 pendenti alla fine del periodo precedente con un incremento del 3,8 per cento.
Nello stesso periodo al Tribunale di Lecce sono pervenute 3.708 cause a cognizione ordinaria; ne sono state definite 2.733 (di cui 1.086 con sentenza); a fine periodo il numero delle cause pendenti era pervenuto a 25.603.
Al Tribunale di Brindisi sono pervenute 2.738 cause a cognizione ordinaria mentre ne sono state definite 2.618 di cui 1.221 con sentenza; la pendenza a fine periodo è stata di 8.987 cause.
Al Tribunale di Taranto sono pervenute 3.688 cause mentre ne sono state definite 3.637 di cui 1.980 con sentenza; a fine periodo sono pendenti n. 17.106 cause a cognizione ordinaria.
Per tutti gli uffici dal dato statistico trova conferma il rilievo che il numero delle cause definite è sempre inferiore a quello delle cause sopravvenute con l’ineluttabile conseguenza dell’incremento delle pendenze. Significativo è anche il fatto che meno del 50 per cento delle cause definite si sono concluse con sentenza, mentre la maggior parte si è conclusa con modalità diverse, che per lo più presuppongono un accordo tra le parti.
Il che per certi aspetti potrebbe essere un dato positivo, nel senso che le parti in causa, raggiungendo un accordo transattivo, avrebbero comunque dimostrato di essere in grado di porre un limite alla loro litigiosità; molto più spesso però all’accordo transattivo si perviene perché non si ripone fiducia nel servizio giustizia per le lungaggini delle cause.
Anche per la c.d. giustizia minore, quella affidata ai giudici di pace, che in realtà non è più tale, sol che si consideri l’aumentato limite della competenza per valore, si è verificata una progressiva crescita dei procedimenti sopravvenuti, un significativo aumento, rispetto al precedente periodo dei procedimenti definiti, maggiore in termini percentuali ma inferiore in termini assoluti rispetto ai procedimenti pervenuti nello stesso periodo; quindi un sensibile aumento a fine periodo dei procedimenti pendenti.
Complessivamente, nel periodo di riferimento, sono pervenuti ai giudici di pace del distretto 66.885 procedimenti (11.494 a Brindisi, 34.227 a Lecce, 21.164 a Taranto) con un incremento rispetto al periodo precedente del 5,2 per cento; mentre ne sono stati definiti 58.883 (10.849 a Brindisi, 27.758 a Lecce, 20.276 a Taranto), il 6,9 per cento in più rispetto al periodo precedente molto meno però di quelli sopravvenuti; il numero di procedimenti pendenti a fine periodo era di 70.381 con un incremento rispetto al precedente periodo (che registrava una pendenza di 62.376) del 12,8 per cento.
La giustizia del lavoro
Assai allarmanti –avuto riguardo alla specificità della materia- sono i dati relativi alla giustizia del lavoro. Particolarmente allarmante –ai fini della responsabilità dello Stato per il ritardo- è il fatto che quasi di regola, nei giudizi di primo grado, la prima udienza di comparizione venga fissata ben al di là del termine stabilito dalla legge (che praticamente è impossibile rispettare) ma spesso a distanza di anni, in coda ai processi già pendenti. In conseguenza di tale prassi avviene purtroppo che il giudizio di fatto inizia a distanza di anni dall’atto introduttivo.
Nel periodo di riferimento sono pervenute alla Corte di appello 3.360 cause ( di cui 2655 in materia previdenziale, 151 in materia di pubblico impiego, 554 di lavoro privato), il 13,1 per cento in meno rispetto al periodo precedente (va rilevato che la riduzione riguarda prevalentemente –il 39,6 per cento- le cause in materia di lavoro privato e molto meno –il 5 per cento- la materia previdenziale); ne sono state definite 2.622, il 12,9 per cento in meno rispetto al periodo precedente; a fine periodo i procedimenti pendenti erano di 5.576 a fronte dei 4.838 della fine del periodo precedente, con un incremento del 15,2 per cento.
Nello stesso periodo alla sezione distaccata di Taranto sono pervenuti 637 procedimenti (di cui 418 in materia previdenziale); ne sono stati definiti 331, il 23,5 per cento in più rispetto al periodo precedente ma meno di quelli sopravvenuti; sicché alla fine del periodo il numero dei procedimenti pendenti è cresciuto a 1.324 (a fronte dei 1.022 del periodo precedente) con un incremento del 29,5 per cento.
Quanto a tribunali del distretto risultano pervenuti nel periodo di riferimento 5008 procedimenti (di cui 4.238 in materia previdenziale) a Brindisi; 3.238 (di cui 2.867 in materia previdenziale) a Lecce (ma si tratta di un dato parziale e del tutto inaffidabile), 15.922 (di cui 13.316 in materia previdenziale) a Taranto. Ne sono stati definiti: 2.822 a Brindisi, 1.380 a Lecce, 14.454 a Taranto. A fine periodo i procedimenti pendenti erano: 10.577 a Brindisi, 30.588 a Lecce, 43.842 a Taranto, per definire i quali, tenuto conto della produttività media degli uffici e senza tener conto del presumibile incremento dei procedimenti nuovi, occorrono dai cinque ai sei anni: un periodo di tempo decisamente superiore a quella che si ritiene essere la ragionevole durata di un processo.
Per quanto riguarda questa specifica materia, rileva il Presidente del Tribunale di Lecce che “”oltre ad un costante aumento del contenzioso sia in materia di lavoro ordinario sia di previdenza ed assistenza, va rimarcato l’impatto crescente delle norme in tema di organizzazione dei rapporti di lavoro nelle pubbliche amministrazioni ai sensi del decreto legislativo 31.3.1998 n. 80 (il riferimento è oggi al T.U. approvato con decreto legislativo 30.3.2001 n. 165 contenente “norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”) con un progressivo aumento delle controversie in questo settore. Inizialmente tale contenzioso si è manifestato prevalentemente con richieste di provvedimenti cautelari; a distanza di otto anni dalla devoluzione al giudice ordinario delle controversie in questione, alle richieste in via di urgenza, che pure permangono e sono in aumento, si è aggiunto un contenzioso in sede di merito via via crescente, sia in termini numerici, sia in termini di peso percentuale sull’intero volume delle controversie di competenza della sezione. Questa tendenza all’aumento delle controversie appare costante e destinata a protrarsi nel tempo.””
“”Il crescente aumento della quota percentuale delle controversie in materia di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, appare il dato statisticamente più significativo; si tratta infatti di un contenzioso interamente aggiuntivo rispetto al passato, senza che vi abbia fatto riscontro un adeguato aumento delle risorse umane, pur risultando il nuovo contenzioso particolarmente impegnativo per quantità e qualità, venendo per lo più all’attenzione dei magistrati questioni giuridiche nuove e complesse, in conseguenza della profonda riforma della disciplina sostanziale e processuale intervenuta nel settore””
E ciononostante, nel Tribunale di Lecce, se pure i magistrati che sono addetti al settore sono numericamente inadeguati, malgrado il costante aumento delle pendenze, i tempi del processo del lavoro sono abbastanza contenuti. Non vi sono molti processi pendenti da oltre un triennio, e, rispetto agli stessi, secondo quanto riferisce il Presidente del Tribunale, ciascun magistrato si è impegnato, in conformità agli accordi presi nelle apposite riunioni di sezione, alla definizione prioritaria mediante fissazione anticipata ed anche con udienze ravvicinate e straordinarie.
I tempi di definizione dei processi
Dai dati su riferiti emerge con ogni evidenza che il progressivo incremento del numero degli affari sopravvenuti, anche a fronte di una maggiore ma più contenuta produttività degli uffici, determina, specie presso la corte di appello, un allungamento dei tempi di definizione dei procedimenti che già in passato aveva raggiunto livelli impensabili ed è perciò assai preoccupante sia perché si risolve in una denegata giustizia sia per le conseguenze patrimoniali che ne derivano all’erario, sia infine per le conseguenze negative e finora non sufficientemente indagate che possono derivarne sul sistema economico nazionale.
Limitando l’esame ai giudizi di appello, va rilevato che, per i giudizi penali, la durata media è stata di giorni 438 nel 2005, 463 nel 2006, 551 nel 2007 e 521 nel 2008 (questa riduzione per l’anno in corso è un fatto assolutamente eccezionale che si spiega col recente indulto poiché, una volta che la pena era stata dichiarata estinta, il processo non è proseguito nei gradi ulteriori come invece sarebbe avvenuto se non si fosse potuto fare affidamento sulla concessione del beneficio). Per i giudizi civili invece –e sempre con riferimento al grado di appello- la durata media è stata sempre crescente, di 818 giorni nel 2005, di 903 giorni nel 2006, di 937 giorni nel 2007, di 868 giorni nel 2008 mentre in materia di lavoro e di previdenza la durata media è stata di giorni 398 nel 2005, 401 nel 2006, 468 nel 2007, di 635 nel 2008. Insiste particolarmente sul punto il Presidente della sezione distaccata di Taranto il quale rileva che “la durata dei processi civili in grado di appello, lungi dal subire l’auspicata contrazione, si è fisiologicamente allungata sia per il numero e la complessità degli affari sopravvenuti sia per la endemica inadeguatezza dell’organico dei magistrati ed ancor più del personale di cancelleria le cui scoperture di organico incidono in maniera sempre più pesante sull’andamento e la speditezza dei servizi, soprattutto se rapportato a quello dell’ufficio giudiziario sott’ordinato”.
Se si considera che in primo grado i processi hanno una durata media di gran lunga superiore e che poi bisogna aggiungere il tempo di durata dell’eventuale giudizio di legittimità, non è difficile pervenire alla conclusione che la durata media dei processi sia penali che civili o di lavoro è assai superiore a quella che si ritiene la durata ragionevole di un processo.
Le conseguenze: la prescrizione dei reati
E di fatti da un lato –e per quanto riguarda i processi penali- sempre rilevante è il numero delle prescrizioni, dei reati cioè per i quali, nonostante l’enorme dispendio di energie processuali, la decisione non giunge in tempo ad evitarne l’estinzione; per altro verso sempre crescente è l’ammontare degli esborsi che lo Stato corrisponde a titolo di indennizzo alle parti per la violazione del termine ragionevole di durata di processi.
Quanto alle prescrizioni (che non di rado hanno riguardato non solo reati c.d. bagatellari ma anche reati di una certa gravità) e, senza tenere conto delle prescrizioni (che non entrano nella relativa statistica) che maturano nella fase delle indagini preliminari e che si concludono con un provvedimento di archiviazione, i reati prescritti sono stati 418 in corte di appello (a fronte dei 528 del periodo precedente); 1.214 nei tribunali (a fronte dei 1.014 del periodo precedente), 2.133 davanti ai gip (a fronte dei 3.021 dell’anno precedente).
Gli indennizzi pagati dallo Stato per il ritardo
Quanto agli indennizzi erogati alle parti per l’eccessiva durata dei processi, essi ammontano per quanto riguarda questo distretto –che si occupa dei ritardi verificatisi nel distretto di Bari- ad euro 330.000 nel 2006 (di cui 298.835,70 alle parti e 31.164,30 ai difensori); ad euro 359.178,43 (di cui 297.846,48 alle parti e 61.331,95 ai difensori) nell’anno 2007; ad euro 580.322,07 (di cui 520.668,02 alle parti e 59.654,05 ai difensori) nell’anno in corso fino alla data odierna. Vi è però un debito dell’Amministrazione per indennizzi, già liquidati e non pagati per mancanza di disponibilità, di euro 1.600.000,00, una cifra enorme che, se diversamente utilizzata, basterebbe a risolvere molti problemi operativi dell’amministrazione giudiziaria.
Per i nostri ritardi invece –quelli cioè riguardanti uffici giudiziari del nostro distretto- la competente corte di appello di Potenza ha liquidato per l’anno 2006 euro 217.730,77, per l’anno 2007 euro 450.400,89, per l’anno 2008 euro 463.858,92; vi sono liquidazioni in sospeso –per cui mancano i fondi- per complessivi euro 979.337,46.
Le cause della crisi
Ben note –tanto che può essere superfluo ritornare sull’argomento- sono le cause di tale fenomeno, riconducibili innanzitutto dai maggiori ambiti della giurisdizione e alla farraginosità dei procedimenti caratterizzati da garanzie solo formali che, senza assicurare sul piano sostanziale, alcuna effettiva esigenza di tutela, si prestano a strumentalizzazioni di vario tipo sempre finalizzate a ritardare la definizione dei procedimenti, a tutto beneficio di chi non vi ha interesse cioè in definitiva di chi ha torto ovvero di chi pretende di mettere sempre e ripetutamente in discussione una decisione a se sfavorevole. E’ quanto avviene per esempio (e prescindendo dalle ben più gravi incongruenze della procedura penale) nella materia relativa al contenzioso familiare, dove la recente innovazione che ha previsto il reclamo alla corte di appello delle decisioni temporanee assunte dai presidenti tribunale all’udienza di comparizione dei coniugi, consente un procedimento parallelo a quello principale in quanto da un lato induce alcuni presidenti di tribunale a compiere indagini istruttorie finalizzate ad un più motivato provvedimento (che al contrario, per essere destinato a soddisfare interessi che esigono una immediata tutela e data la sua natura di provvedimento provvisorio ed urgente, non dovrebbe tollerare ritardo), da altro lato ritarda l’inizio della vera e propria fase istruttoria di competenza del giudice con il risultato che provvedimenti delicatissimi, come quelli sull’assegnazione della casa coniugale, sull’affidamento dei figli minori e sul regime di visite e di contribuzione economica di ciascuna delle parti, sono soggetti a cambiamenti ed a ritorni a precedenti assetti che, oltre a fornire un oggettivo cattivo esempio di amministrazione della giustizia, acuiscono la tensione in controversie già per loro natura delicate e determinano nei minori traumi ancora maggiori di quelli che la separazione dei genitori già ha provocato. Di qui la necessità di interventi di carattere strutturale (e ben poco avrebbero potuto incidere quelli anticipati nella precedente legislatura, poi comunque abbandonati dalla nuova maggioranza, che ha allo studio interventi di tipo diverso sui quali allo stato non è possibile pronunciarsi non essendo disponibili informazioni adeguate) in grado di determinare un profondo cambiamento culturale ed un ripensamento profondo del ruolo della giurisdizione .
Gli intereventi necessari e più urgenti
Per esempio è necessario cambiare radicalmente tutto il sistema delle comunicazioni tra uffici giudiziari ed utenti del servizio, che dovrà essere improntato alla stessa speditezza ed efficienza con la quale si svolgono le comunicazioni in qualunque struttura civile moderna. Non si comprende la ragione per la quale importantissime comunicazioni tra governi, banche, società multinazionali possano giovarsi degli ordinari sistemi informatici, mentre solo la giustizia debba ancora servirsi di avvisi, notifiche e quant’altro possa ritardare, confondere ed aumentare il peso della carta nei nostri fascicoli. Sembra del tutto indifferibile affermare il principio che, una volta che un soggetto sia informato dell’inizio di un procedimento giudiziario che lo riguardi, debba assumersi l’onere di informare l’ufficio procedente di qualsiasi cambio di indirizzo, non solo geografico, ma anche telefonico o di posta telematica, in modo che qualunque comunicazione ne sia semplificata e resa rapida e sicura. Si tratta a ben vedere di un circolo vizioso perché tutto ciò non sarà possibile o non sarà accettabile fino a quando i processi dureranno anni se non proprio decenni perché sembra inaccettabile la previsione di questo obbligo di comunicazione a carico del privato se non temporalmente limitato ad un ragionevole periodo di tempo.
Al contrario la norma di cui all’art. 157 comma 8 bis codice di procedura penale che permetteva, nella sua formulazione originaria, di eseguire tutte le notificazioni successive alla prima presso il difensore di fiducia quale domiciliatario ex lege e che garantiva una semplificazione della procedura di notificazione degli atti prevenendo comportamenti volontariamente dilatori dell’imputato, in forza della modifica introdotta con la legge di conversione, consente al difensore la possibilità di dichiarare immediatamente all’autorità che procede di non accettare la notificazione e la frequenza con cui i difensori si sono avvalsi di tale facoltà ha di fatto reso nulla l’operatività della norma vanificandone le finalità.
Assai efficacemente scrive a riguardo il Presidente del Tribunale di Brindisi che “tanto i magistrati che gli avvocati, al di là dei buoni propositi esternati a parole, mostrano nel concreto di non assumere l’impegno di pervenire in tempi rapidi alla definizione dei processi e di essere per converso pervicacemente occupati nel trasformare lo svolgimento del processo in un’estenuante corsa ad ostacoli, caratterizzata da cavillosa dialettica fine a se stessa, produttrice non di rado di interminabili grado di giudizio: dialettica alimentata dall’attuale produzione legislativa a getto continuo, farraginosa e contraddittoria, se non addirittura incomprensibile, fattore a sua volta di litigiosità affatto estranea alla natura ed alla finalità della domanda di giustizia e spesso indotta da una vera e propria monomania garantistica che nella sostanza nulla aggiunge alla doverosa tutela dell’esercizio del diritto di difesa… (per cui è necessario in primis) che il legislatore si impegni, con forte volontà politica, nell’opera di semplificazione delle vigenti normative di diritto processuale, ridando ad esse coerenza di principi e stabilità di contenuto”.
“E solo se a tanto si accompagni un profondo senso di autocritica dei protagonisti tecnici del processo, in uno con la concorde volontà di procedere ad un deciso mutamento del loro modus operandi e di fare propria la cultura della conciliazione delle controversie, potrà essere smentito il diffuso convincimento che l’Italia è terra di litiganti e di ricorso smisurato al giudice e che la lentezza dei processi è alimentata ed aggravata dall’elevato tasso di litigiosità e potrà al fine essere conseguito il bene irrinunciabile del processo concluso in tempi ragionevoli solennemente consacrato dalla Costituzione.”
Significativa è a riguardo, secondo lo stesso presidente di tribunale, il limitatissimo numero dei provvedimenti adottati ai sensi degli articoli 185, 186 bis, 186 ter e 186 quater di soli otto verbali di conciliazione, in tutto il circondario comprese le sezioni distaccate; quattordici ordinanze di pagamento, altrettante ingiunzioni e ordinanze ai sensi dell’art. 186 quater. L’esiguità numerica dei provvedimenti in parola dimostrerebbe l’irrilevanza sul piano pratico degli istituti cui essi attengono e sulla loro effettiva capacità deflattiva del contenzioso ma al tempo stesso “la direbbe lunga sulla disponibilità delle parti a privilegiare il conseguimento dell’obiettivo della definizione in tempi rapidi delle controversie”.
In una prospettiva sia pure diversa, rileva a sua volta il Presidente del Tribunale di Taranto che “”le riforme strutturali o normative, se ritenute indispensabili, dovrebbero essere attuate dotando gli uffici delle strutture necessarie, contemporaneamente alla loro entrata in vigore e non successivamente, come di solito accade, se accade.
Va tenuto conto inoltre del disagio e della perdita di tempo che talora comportano, richiedendo la riorganizzazione dell’ufficio, di talché non sempre si risolvono in un beneficio.
Anche nel continuo mutamento delle norme di diritto sostanziale va ravvisata una delle cause della crisi della giustizia, comportando talora il rinnovo di buona parte degli atti dei processi in corso.
L’introduzione del nuovo rito societario, di cui non si sentiva affatto il bisogno, estremamente oneroso per la pletora degli scritti difensivi che consente, spesso da luogo a conflitti incidentali sull’ammissibilità delle istanze relative alla fissazione dell’udienza di comparizione delle parti. La soluzione dei relativi incidenti è stata devoluta inopportunamente al presidente del tribunale anziché al giudice che in caso di rigetto dell’eccezione conoscerebbe del merito, con conseguente antieconomico impegno di due magistrati diversi.
Auspicabile sarebbe il riordino della legislazione vigente, caratterizzata da eccessiva frammentarietà, attraverso la elaborazione del maggior numero possibile di testi unici, che, regolando organicamente le varie materie, renderebbero più agevole la ricerca della norma da applicare al caso concreto.
E’ noto infatti che la tecnica legislativa, non sempre adeguata, talora per l’omissione dei necessari raccordi con le altre norme vigenti, più spesso per il rinvio, a volte multiplo, ad altri testi normativi, rende difficile la ricerca e l’interpretazione, contribuendo non poco all’allungamento dei tempi della definizione dei processi””.
Alla quale efficace rimedio, secondo il Presidente del Tribunale di Lecce, potrebbero costituire: “”l’introduzione della così detta decisione semplificata, sperimentata favorevolmente nel processo amministrativo (art. 9 legge 21.7.2000 n. 205, almeno nella parte in cui riduce sensibilmente l’obbligo della motivazione); l’istituzione di camere arbitrali per alcune categorie di controversie che, rendendo obbligatorio il percorso di una preventiva fase di composizione già in uso in altri paesi, renderebbe soltanto eventuale il ricorso alla giurisdizione; la rimessione, secondo la competenza ex legge 16.12.1999 n. 479, di tutti i processi delle ex preture parte al giudice di pace e parte alle sezioni stralcio; il trasferimento alle sezioni stralcio di tutti i processi del vecchio rito di competenza collegiale; la riduzione del periodo di tirocinio degli uditori fino alla completa copertura degli organici; la soppressione del divieto di destinazione degli uditori giudiziari con funzioni, per i primi tre anni, alla trattazione del rito monocratico penale; l’attenuazione del rigore tabellare che, mediante l predisposizione di criteri predeterminati ed obbiettivi per la costituzione del giudice naturale e per l’assegnazione degli affari, toglie al dirigente la concreta possibilità di assumere provvedimenti conformi alle tabelle al fine della designazione del giudice nei casi in cui le stesse, pur correttamente ed esaustivamente predisposte, non possano soccorrere in considerazione del vario combinarsi di particolari circostanze riguardanti la situazione dell’organico dell’ufficio; una più severa disciplina in materia di ricusazione che, escludendo in tutti i casi, senza eccezione, l’effetto sospensivo dell’istanza sul processo in cui viene proposta, sia idonea ad evitare l’uso strumentale dell’istituto a fini dilatori, divenuto ormai sempre più frequente””:
Non va trascurato tuttavia che all’origine di un così appariscente aumento del contenzioso sia civile che penale vi sono vari fattori, legati alle condizioni dell’economia, all’incremento degli affari ed alla complessità e rapidità di svolgimento dei rapporti economico-sociali, che hanno determinato un ampliamento impensabile degli spazi della giurisdizione, poiché oggi si richiede al giudice di intervenire in ambiti che prima gli erano preclusi ed è davvero strana questa smisurata crescita della domanda di giustizia a fronte della gravissima crisi che colpisce l’organizzazione giudiziaria mentre non è possibile ridurre tutto ad un problema di giustizia perché l’organizzazione giudiziaria, specie nello stato in cui si trova, non può farvi fronte da sola.
La mancanza di mezzi e risorse
Alla crescita esponenziale del contenzioso corrisponde una gravissima carenza strutturale di mezzi e di risorse umane e materiali, che negli ultimi tempi ha raggiunto livelli davvero inimmaginabili, per cui l’effetto sinergico dell’aumento del contenzioso da una parte e della mancanza di mezzi dall’altra, ha prodotto o quanto meno rischia di produrre una vera e propria paralisi in un settore che è nevralgico per l’ordinato sviluppo della società.
Per descrivere questa situazione il Presidente della sezione distaccata di Taranto usa termini davvero accorati perché –dice- “le parole non bastano per descrivere lo stato di profonda prostrazione, sia morale che fisica, in cui versano i magistrati della sezione addetti al penale, costretti ad un immane superlavoro per far fronte al costante aumento degli affari, rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente in tutti i settori: dai processi sia dibattimentali che camerali, dalle pratiche di liquidazione per il gratuito patrocinio, agli incidenti di esecuzione”.
L’informatizzazione
Si consideri in particolare quanto si verifica in materia di informatizzazione dei servizi: nel settore, quaranta anni fa, l’amministrazione della giustizia italiana, con le iniziali esperienze del CED della Cassazione, era all’avanguardia in Europa; ma quel primato ben presto si è perduto poiché alla rapidissima evoluzione della tecnologia non ha corrisposto –a differenza di quanto è avvenuto presso altre amministrazioni anche dello Stato- un’evoluzione analoga dei sistemi informativi dell’organizzazione giudiziaria la quale, nonostante gli elevati traguardi raggiunti, grazie soprattutto all’impegno di pochi volenterosi, è tuttavia assai indietro nella realizzazione dei programmi già messi a punto (si pensi per es. al processo civile telematico), in quanto si richiede impegno di mezzi e di strutture che attualmente mancano.
Per quanto riguarda questo specifico settore dell’informatica, segnalo che alla Procura della Repubblica ed al Tribunale di Lecce è in fase di avanzata realizzazione un progetto finanziato dalla Regione coi fondi credo europei, di cui però ancora non si vedono i pratici risultati.
Per la Corte di appello ma solo di recente è stato approvato dal Ministero, nell’ambito del programma di diffusione delle cosi dette best practices, il progetto, già in via di sperimentazione –a suo tempo la corte di Lecce fu scelta come sede pilota-, di informatizzazione degli archivi con la concessione di un finanziamento di 350.000 euro, la cui gestione è però affidata alla Regione.
Maggiore affidamento dovremmo fare sul progetto deliberato dalla Regione e di cui il Presidente Vendola ci ha dato personalmente comunicazione, secondo cui la Regione dovrebbe farsi carico del rinnovamento tecnologico delle strutture informatiche presso gli uffici giudiziari. Abbiamo prontamente risposto per esprimere apprezzamento per tale iniziativa e ci siamo messi a disposizione e però neppure dopo un sollecito siamo riusciti a stabilire un qualsiasi contatto col dirigente amministrativo della Regione che ci era stato indicato e che avrebbe dovuto occuparsi dell’attuazione del progetto.
Per il momento non si vede quale seguito potrà avere il progetto SIGI (servizio integrato giustizia informatizzata) a suo tempo elaborato, per iniziativa del senatore Maritati, allora sottosegretario al ministero della giustizia, che puntava ad una soluzione complessiva dei problemi della informatizzazione e che, se attuato, avrebbe avuto una ricaduta fortemente positiva sulla stessa durata dei procedimenti . Conclusasi prematuramente la legislatura, il progetto è rimasto un sogno nel cassetto… Il senatore Maritati anche in questa legislatura ne ha fatto oggetto di un disegno di legge ma si sa che i disegni di legge di iniziativa parlamentare, se non sostenuti dal governo, non hanno molte prospettive.
Non sono stati adottati particolari sistemi informativi per portare a conoscenza dei giudici di merito le pronunce difformi da quelle impugnate, pronunciate dalla Corte di Cassazione né si provvede, nei casi di annullamento con rinvio, ad inoltrare copia della sentenza di annullamento al giudice che ha emesso la sentenza cassata. Un sistema di informazione generalizzato per tutte le pronunce di primo grado riformate non sembra giustificato, poiché nella maggior parte dei casi difetta un effettivo interesse a conoscere l’esito del giudizio di appello, che spesso interviene a distanza di anni e spesso dipende da fatti sopravvenuti (maturata prescrizione, modifiche legislative ecc) e nello stesso tempo ne deriverebbe un rilevante impegno lavorativo per le cancellerie. Lo scrivente comunque pensa per il prossimo anno di invitare i giudici di primo grado, nei casi in cui abbiano un effettivo interesse per la particolarità della vicenda a conoscere l’esito del giudizio di appello, a farne segnalazione di volta in volta con apposita annotazione sul fascicolo e solo in tal caso la cancelleria del giudice dell’impugnazione comunicherà copia della sentenza di appello. Mentre per quanto riguarda le sentenza della Cassazione si provvederà a segnalare ai giudici che, attraverso l’accesso al sito della Cassazione, è possibile conoscere lo stato e l’esito dei procedimento (e indirettamente anche l’esito del giudizio di appello) cui si abbia interesse e che è possibile altresì acquisire per via informatica copia integrale della sentenza subito dopo il suo deposito, alla sola condizione di richiederne una volta per tutte l’autorizzazione e l’attribuzione di password. Sicché può essere rimesso all’iniziativa del singolo giudice acquisire ogni notizia a riguardo senza appesantire la cancelleria di ulteriori adempimenti che molto spesso potrebbero risultare superflui.
L’inadeguatezza dell’organico
del personale giudiziario e del personale amministrativo
Ovvia poi la necessità di un sensibile incremento delle risorse a disposizione, discorso questo che è ormai ineludibile considerato il progressivo depauperamento nel tempo di tali risorse: a riguardo tutti gli uffici del distretto denunciano inadeguatezza degli organici e non potrebbe essere diversamente considerato che ormai da oltre otto anni non viene bandito alcun concorso per l’assunzione di personale amministrativo e di supporto ed anche i concorsi per l’accesso alla magistratura hanno subito un notevole rallentamento per effetto delle attuate riforme ordinamentali.
Scrive a riguardo il Procuratore Generale che fra gli interventi indispensabili e con carattere prioritario “vi è l’adeguamento degli organici della magistratura e del personale amministrativo, in relazione al carico di lavoro ed alle caratteristiche della criminalità” ed ha sottolineato a tal proposito “l’inadeguatezza dell’organico della procura distrettuale di Lecce ulteriormente evidenziatasi proprio a seguito della dilatazione della sua competenza distrettuale, in virtù della quale i pubblici ministeri leccesi dovranno occuparsi delle indagini e dei giudizi per un gran numero di delitti diversi da quelli della criminalità mafiosa già attribuiti alla competenza della direzione distrettuale antimafia, commessi anche nei circondari di Brindisi e di Taranto (in particolare di prostituzione e di pornografia minorile) nonché per effetto della recentissima modifica del sistema della prevenzione (introdotta con legge 24 luglio 2008 n. 125 di conversione del decreto legge 23 maggio 2008 n. 92) delle misure personali e patrimoniali nei confronti dei soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall’art. 51 comma 3 bis del codice di procedura penale che dimorino nell’ambito dell’intero distretto, quindi anche nelle province di Brindisi e di Taranto e ciò comporterà il sopravvenire di una rilevante mole di lavoro che verrà a gravare sulla procura di Lecce con conseguenti spostamenti fuori sede del P.M. leccese innanzi alle magistrature giudicanti di Brindisi e di Taranto con ulteriore dispendio di energie e di tempo da parte dell’intera procura.”
D’altra parte non v’è dubbio che, in presenza di una situazione ormai nota a tutti, la volontà politica di non ricostituire gli organici, di non aumentare le possibilità di lavoro straordinario per i dipendenti, di pretendere che si continui a fare sacrifici senza altri riconoscimenti che quelli critici sempre più offensivi, non incoraggerà verso maggiori sacrifici.
A questo proposito chi scrive ritiene doveroso denunciare con forza l’ingiustizia dell’accusa di “fannulloni ed improduttivi” rivolta in genere agli impiegati pubblici ed anche al personale giudiziario, risibilmente indicato come l’unico responsabile delle inefficienze dell’amministrazione pubblica.
Ancora più ingiusto è il trattamento riservato al personale giudiziario, il solo, nel settore pubblico, finora ed inspiegabilmente escluso dalla c.d. riqualificazione e dai modesti benefici che ne derivano anche in termini economici oltre che di collocazione professionale.
Occorre al contrario predisporre una serie di incentivi anche di natura economica per motivare il personale di cancelleria il cui impegno, finora per vero mai mancato, è indispensabile ad ogni prospettiva di riforma.
Le strutture logistiche
Le strutture nelle quali operano gli uffici giudiziari del capoluogo sono buone ed adeguate, specie ora che le sezioni civili e del lavoro della corte di appello sono state allocate in uno stabile di nuova costruzione di recente acquisito, sito in prossimità della sede del Tribunale civile e dell’ufficio del giudice di pace, e poco distante dall’attuale palazzo di giustizia di modo che la separazione degli uffici penali da quelli civili, attraverso la realizzazione di due distinti poli, non comporterà alcun disagio agli utenti né difficoltà di alcun genere.
Il Tribunale per i minorenni di Lecce ha trovato una più che decorosa sistemazione nel complesso monastico Missionari di San Vincenzo dei Paoli, comunemente noto come Villa Bobò, già destinato in passato a casa penale e di recente restaurato, in vista della nuova destinazione, con grande impegno finanziario dello Stato e con grande perizia ed ottimi risultati di cui va dato atto agli organi tecnici (la Sopraintendenza ed il Provveditorato alle opere pubbliche di Bari) che se ne sono occupati.
Anche la sezione distaccata della corte di appello in Taranto sta per trasferirsi nella sede di nuova realizzazione sicuramente adeguata e confacente mentre la Procura della Repubblica della stessa città ha sede ancora in due distinti stabili peraltro distanti fra loro, il che determina grande disagio e difficoltà operative. A breve il Procuratore generale ed io pensiamo di promuovere un incontro a Taranto con i rappresentanti dell’ente locale per avviare a soluzione anche questo problema.
Gli altri uffici del distretto hanno una buona sistemazione, salvo qualche sezione distaccata di Tribunale e qualche ufficio di giudice di pace (per esempio Nardò) che hanno bisogno di lavori di manutenzione di difficile attuazione a causa della stretta finanziaria.
Gli uffici del giudice di pace
Il numero degli uffici del giudice di pace in questo distretto non può dirsi esuberante rispetto alle necessità anche se la diffusione sul territorio degli uffici (ma il discorso vale ed a maggior ragione per le sezioni distaccate di tribunale) è tale comunque da assorbire notevoli risorse (sebbene i titolari degli uffici ne lamentino sempre l’insufficienza), a cui per vero sempre più spesso si attinge (non di rado scontrandosi con la resistenza del personale interessato) per sopperire alle necessità degli altri uffici giudiziari in cui invece si registrano vuoti insostenibili: non sempre però ciò è possibile specie ora che il nuovo accordo collettivo impedisce applicazioni per una durata superiore ai sei mesi. I tentativi di riforma delle circoscrizioni giudiziarie, che in questo distretto più che gli uffici dei giudici di pace dovrebbero riguardare le sezioni distaccate di tribunale, non hanno sortito finora alcun effetto per l’energica (ed a parere di chi scrive non sempre giustificata) opposizione delle popolazioni e del foro interessati nonché delle amministrazioni locali che se ne rendono interpreti. E non è un caso che in questa occasione solo il Presidente del Tribunale di Brindisi abbia segnalato, ai fini di un auspicabile accorpamento, due uffici compresi in quel circondario.
Non vi sono da segnalare, presso gli uffici di giudice di pace procedimenti seriali in numero significativo.
Dev’essere ancora una volta rilevato che dall’introduzione della competenza penale del giudice di pace è conseguito un maggior onere di lavoro per gli uffici di procura, gravati dall’onere di partecipazione ad udienze in località talvolta lontane dalla sede, con ulteriore perdita di tempo per i trasferimenti mentre la recente riforma che impedisce l’utilizzazione della polizia giudiziaria per queste udienze aggrava notevolmente la già precaria situazione e rende più gravoso il compito del personale né le alternative previste sembrano facilmente praticabili per l’obiettiva difficoltà di reperire le figure professionali ivi contemplate. La situazione complessiva degli uffici di procura d’altra parte si aggraverà ulteriormente poiché il vigente ordinamento giudiziario vieta di destinare alle funzioni requirenti i magistrati di nuova nomina per cui, in conseguenza dei vuoti di organico, che inevitabilmente si verificheranno per alcuni anni (tenuto conto anche dei tempi occorrenti per l’espletamento dei concorsi), sarà necessario fare un sempre più frequente ricorso ai vice procuratori onorari.
La magistratura onoraria
Chi scrive è ben consapevole dell’apporto dato al funzionamento della giustizia dalla magistratura onoraria, della quale è escluso ormai che possa farsi a meno, e però non può più tollerarsi che questioni civili e penali spesso di non semplice soluzione siano affidate e decise da giudici o vice procuratori onorari, per i quali il compenso è commisurato sulla base non della qualità ma della quantità del lavoro, solo teoricamente posti sotto la sorveglianza dei responsabili degli uffici e per i quali sostanzialmente non è previsto, se non in modo sporadico, alcun aggiornamento professionale né alcuna effettiva verifica periodica di efficienza e professionalità. Sicché dovrà al più presto essere definito un più chiaro e trasparente metodo di assunzione, una competenza specifica per materia, un sistema di impugnazioni ed una struttura dirigenziale, organizzativa e di supporto amministrativo diversi da quelli che regolano gli uffici che dovranno occuparsi degli affari più rilevanti, da affidare alla magistratura professionale.
Per quanto più in generale attiene alla magistratura onoraria, bisogna riconoscere che il tema è stato troppo a lungo colpevolmente ignorato e che invece è necessario puntare ad una meditata e generale riforma dell’istituto, rifiutando la logica delle proroghe che si susseguono ad altre proroghe che contribuiscono soltanto a creare una sorta di precarietà stabilizzata. Finora invece si è dovuto prendere atto di una sorta di schizofrenia legislativa manifestatasi in due successivi disegni di legge, il primo dei quali conteneva un progetto di riordino dei giudici di pace che completamente ignorava i magistrati onorari di tribunale, mentre il secondo unificava tutte le categorie di magistrati onorari eliminando il giudice di pace.
L’ormai indifferibile riforma dovrà rivisitare radicalmente il sistema di accesso alla magistratura onoraria, se del caso valorizzando i diplomati delle Scuole di Specializzazione per le Professioni legali, ed eliminare il sistema retributivo a cottimo etiologicamente connesso ad un preoccupante incremento dei procedimenti disciplinari, vulnerato dalla perdurante insufficienza dei controlli.
Per eliminare poi questa sorta di precariato, presente ormai anche nella magistratura, sarebbe auspicabile che il magistrato onorario più volte confermato nell’incarico potesse accedere alla magistratura professionale attraverso i normali concorsi ma utilizzando una riserva di posti. Solo questa prospettiva potrà indurre il magistrato onorario a trascurare, se non addirittura eliminare, durante l’esercizio della funzione onoraria, l’esercizio della attività professionale, rispetto alla quale e indipendentemente da questa prospettiva è necessario comunque prevedere liniti molto rigorosi, perché è sicuramente una grossa anomalia il contemporaneo esercizio dell’attività professionale di avvocato e della funzione onoraria, magari a distanza di trenta chilometri dalla sede giudiziaria ed è la ragione principale dello sfavore con cui gli avvocati guardano all’istituto, loro per primi contrari a questa commistione di compiti, al punto da ritardare oltre ogni limite ragionevole l’espressione dei pareri richiesti ai fini delle conferme o delle nuove nomine.
Il patrocinio a spese dello Stato
Il ricorso all’istituto del patrocinio a spese dello Stato, anche nei casi di imputati irreperibili o impossidenti assistiti da difensore di ufficio, è sempre più frequente: nell’anno 2007 gli uffici del distretto hanno complessivamente liquidato euro 4.821.821. Si tratta all’evidenza di somme notevoli, di gran lunga superiori a quelle assegnate agli uffici per il loro funzionamento e tale considerazione, in una alle modalità inaccettabili con cui spesso si utilizza l’istituto, ne impone un ripensamento se non lo si vuole trasformare in un vero e proprio istituto di sostegno economico a favore del ceto forense tanto più che l’istituto ha notevolmente incentivato la tendenza ad agire infondatamente in giudizio e ad infondatamente resistere, per cui chiunque, purché sprovvisto di un reddito superiore ad un limite non proprio insignificante e comunque di difficile accertamento, data l’invalsa irrefrenabile e non contrastata finora tendenza all’evasione fiscale, può affrontare un giudizio senza correre neppure il rischio di quella che un illustre esponente del foro in tempi lontani ebbe ad indicare come la vera sanzione cui va incontro l’autore di reati o la parte che agisce o resiste in giudizio temerariamente, e cioè l’onorario dell’avvocato.
D’altra parte non si possono negare gli abusi cui l’istituto si è nella prassi prestato. Il fatto di essere svincolata da ogni onere economico induce la parte ammessa al beneficio (ma anche il suo avvocato che vede la possibilità di cumulare onorari) a porre in essere iniziative processuali a volte anche stravaganti e s’è dato pure il caso che, in procedimenti in cui erano in gioco interessi insignificanti, sia l’imputato che la parte offesa sono stati ammessi al patrocinio erariale, senza dire della frequenza con cui si ricorre all’istituto nei procedimenti davanti al giudice di sorveglianza anche quando si tratta, nei casi di insolvibilità del condannato, di convertire una modesta pena pecuniaria in qualche giorno di libertà vigilata, misura di assai limitata afflittività. Le modifiche di recente apportate alla disciplina dell’istituto, che prevedono limitazioni all’ammissione al beneficio, sicuramente comporteranno una riduzione della spesa.
Venendo –dopo queste considerazioni di carattere generale- a temi più specifici del settore penale, va segnalato quanto segue:
Delitti politici
Nel periodo di riferimento non sono segnalati reati oggettivamente e soggettivamente politici, né delitti a carattere terroristico. Non risultano episodi di razzismo o di intolleranza religiosa, essendo la comunità musulmana ben inserita nel contesto socio-economico.
Associazioni di tipo mafioso
Scrive a riguardo il Procuratore Distrettuale antimafia: “Le capacità operative delle organizzazioni criminali storicamente inserite nell’associazione di tipo mafioso comunemente denominata Sacra Corona Unita o comunque gravitanti nell’ambito di essa, già fortemente ridimensionate, sono state ulteriormente contenute dagli interventi di contrasto giudiziario; infatti, come già negli ultimi anni, si è registrata una riduzione rispetto al passato di manifestazioni esteriori che per il loro clamore potessero richiamare l’attenzione sul fenomeno criminale, quali omicidi ed agguati, esplosione di ordigni, danneggiamenti, violenze, uso di armi.”
“Indicativa del perdurante ridimensionamento dei clan criminali è l’assenza nel periodo in questione di omicidi di mafia nel territorio leccese, dove l’ultimo omicidio mafioso risaliva al 6 marzo 2003 e chiudeva il periodo 2002-2003 nel quale vi erano stati nella sola provincia di Lecce, dieci agguati mafiosi con cinque omicidi (i cui autori peraltro sono stati tutti identificati e perseguiti). Da registrare però l’omicidio avvenuto il 6 settembre 2008 di un esponente storico e di primo piano della criminalità mafiosa salentina, Salvatore Padovano detto Nino Bomba, affiliato alla Sacra Corona Unita e responsabile del territorio di Gallipoli, condannato nel primo maxiprocesso a ventitré anni e sei mesi di reclusione per partecipazione -con compiti di direzione ed organizzazione- all’associazione mafiosa e finalizzata al traffico degli stupefacenti, tornato in libertà nel dicembre 2006; l’episodio del cui movente non è ancora possibile una sicura lettura, potrebbe rappresentare il segnale di una ripresa di conflittualità interna o di nuovi assetti criminali”.
“Da registrare, inoltre, alcuni omicidi ed agguati verificatisi nei territori di Brindisi e Taranto, certamente allarmanti benché non siano state ancora compiutamente accertate per tutti le motivazioni ed il contesto ambientale nel quale sono maturati” e che tuttavia, secondo il Procuratore distrettuale antimafia, “sembrano potersi ricondurre ad un contesto di criminalità organizzata di tipo mafioso: l’omicidio di Cosimo Semeraro, ucciso con più colpi di pistola l’8 novembre 2007, mentre percorreva alla guida di un’auto la strada Ostuni-Ceglie Messapica, episodio verosimilmente legato a contrasti nel traffico degli stupefacenti ed il ferimento il 7 gennaio 2008 di Cosimo Fina (detto Mimino il biondo) già contrabbandiere affiliato al clan mafioso Buccarella, poi passato al gruppo di Cosimo Palma e successivamente a quello dei Mesagnesi, gambizzato con più colpi di pistola a San Pietro Vernotico.” E l’uccisione a Taranto avvenuta il 2 aprile 2008 di Osvaldo Mappa, che, già autore dell’efferato omicidio di un agente della polizia penitenziaria, scelto a caso con metodo terroristico-mafioso tra quelli in servizio a Taranto, dopo un periodo di collaborazione con la giustizia, era tornato a delinquere, nel settore degli stupefacenti, venendo in contrasto con altro clan mafioso e tale contrasto dunque sarebbe all’origine del suo omicidio e non, come si era potuto inizialmente pensare, una vendetta legata alla sua precedente collaborazione con la giustizia.
Sempre a Taranto è in corso davanti al tribunale il processo sui collegamenti tra esponenti della criminalità organizzata ed ambienti del Comune della stessa città per il controllo di attività economiche oggetto di concessione: in tale processo è fra gli altri imputato di corruzione elettorale aggravata dalle finalità mafiose, tale Raffaele Di Campo, che secondo l’accusa, ovviamente da verificare nel dibattimento in corso, in occasione delle elezioni amministrative del 2005 per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale, avrebbe promesso favori al clan capeggiato da Michele Cicala in cambio dell’appoggio elettorale alla lista guidata dal sindaco uscente e quale commissario straordinario di un’azienda municipalizzata avrebbe assunto personale appartenente al medesimo clan.
A Brindisi invece è stato di recente disposto il rinvio a giudizio del tribunale sempre per corruzione elettorale di un personaggio locale che, in cambio di appoggio alla sua candidatura, avrebbe promesso somme di danaro, posti di lavoro e alloggi popolari ad esponenti del clan mafioso dei fratelli Brandi, proponendosi anche (donde l’imputazione di concorso in associazione mafiosa) quale politico di riferimento dello stesso gruppo mafioso all’interno del consiglio comunale, stringendo poi con i fratelli Brandi accordi economici per la gestione di attività commerciali.
“Significativa dell’attenzione della polizia giudiziaria e dell’efficacia del suo intervento è l’assenza di latitanti di rilievo, essendo stato arrestato, ad opera dei carabinieri del Comando Provinciale di Lecce, l’ultimo latitante di spicco della provincia di Lecce, Augustino Potenza, nell’ottobre 2006 (dopo la cattura, nel febbraio dello stesso anno e sempre ad opera dei carabinieri del Comando Provinciale di Lecce, di Tommaso Montedoro, già condannato, come il Potenza all’ergastolo) ed essendo stata assai breve la latitanza di Andrea e Vincenzo Bruno ed Emanuele e Daniele Melechì, esponenti del clan brindisino dei fratelli Bruno di Torre Santa Susanna, che si erano sottratti all’esecuzione di ordinanza di cattura emessa nel marzo 2008 e arrestati nel maggio 2008 i primi tre e nel giugno successivo il quarto”.
L’operazione di più ampio raggio dei carabinieri di Lecce, che ha portato alla cattura dei latitanti Potenza e Montedoro, si è conclusa poi con la individuazione di un gruppo malavitoso, attivo nel Basso Salento e dedito al traffico degli stupefacenti nonché al traffico delle autovetture rubate, i cui esponenti di spicco in numero di quattro sono stati tratti in arresto.
Proprio gli esiti di tale operazione confermano, a parere del comandante provinciale dei carabinieri di Lecce col. Calisti, che i settori di interesse criminale sono tuttora quelli tradizionali. In particolare “il traffico di sostanze stupefacenti rimane la fonte di maggior guadagno dei gruppi criminali che utilizzano, per l’approvvigionamento della droga, i rapporti con altri gruppi operanti in varie località d’Italia ed all’estero, specie quelli della vicina Albania per le sostanze stupefacenti del tipo cannabis ed eroina ed a quelli dei paesi sudamericani, quali Colombia e Venezuela per la cocaina per la quale stretti appaiono ancora i collegamenti con gruppi malavitosi della vicina Calabria.”
Ad avvalorare il convincimento che il principale canale di approvvigionamento è quello della criminalità albanese è il fatto che, durante il primo semestre dell’anno in corso, sono stati effettuati sequestri ad opera dei carabinieri di ingenti quantitativi di stupefacente che attraverso il canale di Otranto giungono sulle coste salentine.
Assai efficace è stata peraltro l’azione di contrasto all’illecito traffico posta in essere dalle forze dell’ordine.
Nel periodo di riferimento personale della Questura di Lecce ha tratto in arresto 49 persone implicate in attività di spaccio.
Il 31 gennaio 2008 in Casarano, a conclusione di una complessa ed articolata indagine, i carabinieri della Compagnia di Casarano, coadiuvati da personale delle Compagnie di Tricase, Maglie e Gallipoli e col supporto di un equipaggio del 6° nucleo elicotteri di Bari, in esecuzione di un’ordinanza emessa dal gip del Tribunale di Lecce, procedevano alla cattura di tredici persone, ritenute a vario titolo appartenenti ad un’associazione dedita al traffico degli stupefacenti.
Il 9 aprile 2008 i carabinieri della Compagnia di Maglie, coadiuvati dal reparto operativo del Comando Provinciale e dalle Compagnie di Fasano, Modugno e Bologna centro, in esecuzione di altra ordinanza emessa dal gip del Tribunale di Lecce procedevano alla cattura di 34 persone per analogo titolo di reato.
Nella provincia di Brindisi, a parte il traffico degli stupefacenti, tradizionale campo d’azione dei gruppi criminali organizzati (ed a riguardo deve segnalarsi l’operazione della Guardia di Finanza che, nel febbraio 08, portò alla cattura di 35 soggetti, fra cui alcuni elementi di spicco della criminalità locale) devono registrarsi tentativi da parte di uno dei clan più attivi in passato, quello dei fratelli Bruno di Torre Santa Susanna, di penetrazione nel tessuto connettivo amministrativo locale con la creazione di vincoli di sudditanza di alcuni amministratori locali.
Benché in tono minore rispetto al passato è sempre fiorente nella provincia di Brindisi l’attività, riconducibile a gruppi criminali organizzati, di contrabbando dei tabacchi lavorati. Anche in questo settore non sono mancati i successi delle forze dell’ordine: a conclusione di un’indagine iniziata nel 2005, nel febbraio 08 la Guardia di Finanza di Lecce traeva in arresto, in esecuzione di un’ordinanza cautelare emessa dal Gip, dieci persone e ne ha denunciato altre dieci, quali componenti di un’organizzazione contrabbandiera la cui attività si estendeva in varie regioni d’Italia ed anche all’estero; venivano altresì individuati i canali di approvvigionamento e le modalità di trasporto.
La situazione della criminalità organizzata nella città di Taranto appare invece fluida ed in fase di transizione, presumibilmente in attesa di nuovi equilibri. Davanti al Tribunale di Taranto è peraltro in corso il giudizio di primo grado del processo sui collegamenti tra esponenti della criminalità organizzata ed ambienti del Comune di Taranto e sulla influenza di essi sul rilascio di concessioni e sulla gestione delle relative attività.
Sono poi oggetto di indagine le attività connesse alla installazione nel territorio del Comune di Castellaneta di un parco eolico ed i relativi interessi di società (cui partecipano anche enti inseriti in centri finanziari offshore) il cui capitale risulta inadeguato ai gravosi impegni finanziari e patrimoniali necessari per la realizzazione del progetto imprenditoriale ed i cui rappresentanti dimostrano la disponibilità di ingenti liquidità, utilizzate per il pagamento ai proprietari delle aree destinate alla installazione delle turbine e delle centrali di somme, a titolo di acconto del tutto sproporzionate rispetto ai valori correnti delle aree a destinazione agricola..
Il lavoro in nero
Sicuramente presente nel territorio il fenomeno del lavoro in nero, data la consistente presenza di immigrati, ma al riguardo non si hanno notizie precise mentre pare doversi escludere che il settore possa essere controllato dalla criminalità organizzata e non sia piuttosto riconducibile al desiderio di evasione contributiva e tributaria che purtroppo affligge l’intero Paese in termini drammatici. Nessuna segnalazione risulta pervenuta ai Tribunali per i minorenni o direttamente acquisita attraverso i servizi sociali relativa a minori impiegati al lavoro, fenomeno che purtroppo non può dirsi inesistente.
Le misure di prevenzione di carattere patrimoniale
Riferisce il Procuratore distrettuale antimafia che nel corso del periodo di riferimento sono state avanzate numerose proposte di applicazione delle misure di prevenzione di carattere patrimoniale nei confronti delle persone pericolose indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o finalizzate al traffico degli stupefacenti, ovvero ritenute vivere con i proventi delle attività delittuose di estorsione, sequestro di persone a scopo di estorsione, usura, riciclaggio, contrabbando. Non è stato specificato il numero di tali proposte ma è nell’ambito di tale attività che la Divisione Polizia Anticrimine della Questura di Lecce nel gennaio 2008 ha proceduto al sequestro preventivo, ai danni di un imprenditore edile di Gallipoli, varie volte condannato e ritento in passato affiliato al clan Padovano, di numero sei fabbricati, cinque aziende riferibili ad imprese societarie fallite, sette appartamenti, cinque box, terreni, conti correnti bancari, autovetture ed altro per un valore complessivo di quattro milioni di euro.
Segnala il Comandante provinciale della Guardia di Finanza che “tra i settori più allettanti, per la criminalità organizzata, utilizzati per ripulire l’illecito capitale finanziario accumulato, rientrano senza ombra di dubbio, la gestione di supermercati e di distributori di carburanti, giochi pubblici, scommesse clandestine, aste giudiziarie”. In tale contesto il GICO della Guardia di Finanza di Lecce nel corso dell’anno 2007, a conclusione di complesse indagini ha proposto l’applicazione a pluripregiudicato in libertà di misura di prevenzione di carattere patrimoniale con la confisca di vari beni mobili e immobili e dell’intero compendio aziendale costituito da due supermercati.
La gestione dei beni sequestrai e poi confiscati presenta difficoltà stratificate nel tempo derivanti dalla frammentazione delle procedure e delle competenze. Si è tentato di rimediare con la istituzione di un’autorità centrale di coordinamento operativo di tutti i soggetti pubblici coinvolti nelle procedure amministrative al fine della corretta gestione, celere destinazione ed effettivo utilizzo dei beni confiscati ed è stato conferito l’incarico di Commissario straordinario, in considerazione della specifica competenza acquisita nel settore come magistrato antimafia e con altre esperienze professionali, ad un magistrato di questo distretto il dott. Antonio Maruccia a cui rivolgo auguri di buon lavoro.
Infortuni sul lavoro
Quella degli infortuni sul lavoro costituisce ormai una vera e propria emergenza nazionale rispetto alla quale il sistema giudiziario dimostra purtroppo ancora una volta la sua inadeguatezza. Costano ogni anno tre punti di PIL, 35 miliardi di euro. E sono sempre i più deboli a pagare e spesso con la vita, per lo più immigrati, i precari, gli atipici, quelli assunti in nero o, apparentemente, lo stesso giorno dell’infortunio. In Italia due aziende su tre non risultano in regola con le norme antinfortunistiche; migliorano le statistiche perché apparentemente diminuiscono gli infortuni ma aumentano i decessi. Ma non è solo nel settore del lavoro non garantito che le morti bianche colpiscono: anche nella grande industria, dove proliferano a dismisura le malattie professionali, si verificano neppure di tanto in tanto vere e proprie stragi.
Rileva in proposito l’Avvocato Generale di Taranto che, nel periodo in riferimento, vi è stata una costante ed allarmante crescita degli omicidi colposi in seguito alla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro a causa della presenza sul territorio di una grande azienda siderurgica, nel cui ambito si sono verificati gravissimi infortuni, che mettono in evidenza l’inesistenza di un programma di manutenzione serio.
Le reazioni del mondo sindacale, politico, sociale e gli interventi a livello ministeriale a tutt’oggi a nulla sono valse di fronte all’atteggiamento di chiusura dell’azienda in argomento, che si fa forte del ruolo economico svolto nella realtà di Taranto in relazione all’occupazione, per resistere ad ogni forma di pressione diretta ad indurla alla predisposizione di serie misure antinfortunistiche ed a un maggior rispetto dell’ambiente del cui gravissimo inquinamento è responsabile.
Analoghe le valutazioni del Presidente della sezione distaccata il quale specifica che “la frequenza dei giudizi per omicidio colposo commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni è tale da caratterizzare significativamente l’attività del giudice di secondo grado”.
La verità è che il sistema di prevenzione e protezione, sebbene normativamente assai articolato, non ha un sufficiente livello di effettività, come dire che in Italia, almeno in questo settore, si fanno le leggi ma poi non c’è chi le faccia rispettare. E’ necessario allora cercare di comprenderne le ragioni e per quanto riguarda gli uffici giudiziari comprendere la necessità di costituire all’interno degli stessi gruppi di lavoro specializzati, che riescano a stabilire un canale di coordinamento con ispettorati e con le ASL, del che si dovrà tener conto sia da parte degli uffici di procura che da parte degli uffici giudicanti nella predisposizione dei loro progetti organizzativi, in modo da garantire un migliore coordinamento nelle indagini e una sollecita definizione di processi tale da scongiurare prescrizioni che finirebbero col favorire condotte illecite per la prospettiva di sicura impunità.
Ma è l’ente territoriale regionale che deve innanzitutto farsi carico del problema, promuovendo una disciplina, come è avvenuto in altre regioni, quanto meno per i lavori pubblici di interesse regionale, che incoraggi a non risparmiare sui costi della prevenzione e che favorisca l’inclusione nei contratti di affidamento dei lavori delle cosi dette clausole sociali, che stabiliscano cioè per ogni violazione delle norme antinfortunistiche l’applicazione di penali o la sospensione dei pagamenti.
Occorre in definitiva come ha ammonito più volte il Presidente della Repubblica “un costante livello di attenzione e un forte impegno civile per diffondere la più ampia consapevolezza della gravità del fenomeno”.
Le rapine
In forte diminuzione di quasi un terzo il numero delle rapine nel circondario di Lecce (228, come lo scorso anno, a fronte delle 317 del 2005-06 e di queste soltanto 21 a danno di istituti bancari e 6 uffici postali), apparentemente fuori di uno stabile contesto di criminalità organizzata e neppure riferibili, secondo il Comando Provinciale di carabinieri di Lecce, a bande criminali armate e specializzate in tal tipo di delitto contrariamente a quanto è avvenuto negli anni precedenti ed a quanto tuttora si verifica nelle vicine province di Taranto e Brindisi.
Segnalano infatti un aumento di tale genere di reati i procuratori della repubblica di Taranto e Brindisi per i rispettivi circondari.
Elevato in proporzione resta il numero delle rapine ad opera di ignoti e si tratta quasi sempre dei fatti che suscitano maggior allarme sociale.
Estorsioni ed usura
Tutt’altro che scomparsi i reati di estorsione ed usura, reati che sono tipicamente riconducibili alla criminalità organizzata.
Quanto alle estorsioni non si registrano almeno apparentemente incrementi di rilievo ed al contrario deve prendersi atto con soddisfazione dell’alta percentuale di denunce valutata in termini di ritrovata fiducia dei cittadini nell’intervento repressivo delle forze dell’ordine (ed infatti è sensibilmente aumentato il numero dei procedimenti contro persone identificate rispetto a quelle contro ignoti); al tempo stesso però “non possono essere sottovalutati segnali di diffusione del fenomeno in forma sotterranea, legati anche alla maggior forza di intimidazione conseguita dall’organizzazione mafiosa che non ha più necessità di far ricorso a forme evidenti di intimidazione e violenza per commettere tale genere di reati”.
Energica è peraltro l’azione delle forze dell’ordine su questo versante
Nel gennaio 2008 la Squadra Mobile della Questura di Lecce identificava gli autori di una lunga attività estorsiva ai danni dell’amministratore della società Eurospin, dal quale avevano preteso la somma di 30.000,00 euro mensili con la minaccia di recar danno agli esercizi commerciali della stessa società siti nel territorio di Lecce e di Taranto e quindi, in esecuzione di ordinanza cautelare emessa dal gip del Tribunale di Lecce, procedeva alla loro cattura.
Nell’aprile dello stesso anno personale della Squadra Mobile di Lecce e di Brindisi identificava e traeva in arresto quattro persone dedite ad attività estorsive, furti e rapine nella zona nord di Lecce in collegamento con gruppi malavitosi della provincia di Brindisi.
Nel maggio 2008 personale della Sezione Volanti di Lecce sorprendeva in flagranza di reato ed arrestava due persone mentre ricettavano macchine operatrici per movimento terra trafugate da un cantiere della provincia; veniva così a cessare la serie di furti di escavatori e di macchine operatrici dai cantieri, che per la loro frequenza avevano destato grande allarme nell’ambiente degli operatori economici.
Notevole è sicuramente l’attività usuraria con riferimento alla quale però è molto modesto il numero di denunce, certamente non indicativo della reale entità di tale attività”.
Da segnalare che nel gennaio 2008 personale della Squadra Mobile di Lecce ha tratto in arresto una persona ritenuta responsabile di una sistematica attività usuraria ed estorsiva ai danni di vari imprenditori locali e che la Tenenza della Guardia di Finanza di Manduria, a conclusione nel giugno 2008 di una rilevante operazione di servizio per il contrasto dell’usura, ha denunziato sedici persone per sei delle quali è stata poi emessa ordinanza di custodia in carcere, col sequestro di cinque immobili ed una attività commerciale.
Reati commessi da ignoti
Resta molto alto il numero dei reati, particolarmente furti, commessi da ignoti.
Come si è più sopra rilevato, i procedimenti contro ignoti nei tre uffici Gip-Gup di Lecce, Brindisi e Taranto sono stati, nel periodo, rispettivamente di 5.164 a Lecce, 4.237 a Brindisi, 6.034 a Taranto con un incremento del 7,2 per cento sul dato complessivo di 15.435 procedimenti a fronte dei 14.399 del periodo precedente. Si ha ragione di ritenere peraltro che molti reati ad opera di ignoti non vengono neppure denunciati, specie se si tratta di reati di non particolare gravità, ma non si hanno elementi per determinare neppure con approssimazione l’entità del fenomeno.
Reati commessi da stranieri
Fisiologico il numero dei reati commessi da stranieri che è pari al quattro per cento del totale dei procedimenti iscritti nel registro modello 21, dato che di per se dovrebbe smentire certi luoghi comuni frutto di pregiudizio.
Come si è già rilevato, in questo distretto la comunità degli immigrati è ben inserita nel nuovo contesto sociale e solo una minoranza, per scelta o per evidente difficoltà di adattarsi al nuovo ambiente di vita, si dedica a traffici illeciti, per lo più lo smercio di droga, molto più spesso il commercio di merci con marchio contraffatto. Elevato è invece in percentuale il numero di cittadini stranieri, spesso di incerta provenienza e per i quali è quindi anche difficile adottare provvedimenti di espulsione, destinatari di misure cautelari, per cui molto elevata è la percentuale della popolazione carceraria costituita da stranieri.
Reati contro la pubblica amministrazione
Costante o addirittura in decremento il numero dei reati contro la pubblica amministrazione anche se, come si è da più parti rilevato, la nuova disciplina del reato di abuso di ufficio e le interpretazioni riduttive date dalla dottrina e anche dalla giurisprudenza sono d’ostacolo ad una seria attività di indagine intesa a reprimere attività che, indipendentemente dalla qualificazione giuridica, la coscienza sociale considera illecite. E’ impensabile d’altra parte che la corruzione sia improvvisamente sparita in Italia nonostante la comune percezione del contrario: più ovvio ritenere che tali fenomeni difficilmente emergono e che minore attenzione rispetto al passato è ad essi dedicata da parte degli inquirenti.
Nel corso dell’anno sono stati celebrati o sono in corso di celebrazione a Taranto ed a Brindisi vari procedimenti per gravi fatti di locupletazione ai danni delle amministrazioni comunali del luogo.
Rileva l’Avvocato Generale di Taranto che “lo stato di gravissimo dissesto del Comune ufficialmente certificato è risultato fortemente sostenuto da sottrazioni cospicue e continue negli anni da parte di numerosi funzionari (tratti in custodia cautelare) che lucravano stipendi assai consistenti; da sistemi di appalti agevolati, da incuria amministrativa e da veri e propri reiterati falsi in bilancio”. Questa gravissima situazione, una volta alla luce, ha determinato il proliferare di procedimenti a carico di amministratori locali con la emissione di numerose misure cautelari (in numero di 32) a carico di impiegati e funzionari della Direzione Risorse Finanziarie del Comune di Taranto.
I reati sessuali
In aumento e tutt’altro che irrilevante (malgrado le significative condanne delle magistrature salentine) il numero dei reati sessuali spesso commessi da e/o a danno di minorenni mentre preoccupa la proliferazione, agevolata dal progresso tecnologico, dei reati di pornografia minorile e di detenzione di materiale pornografico.
Su questo versante peraltro la polizia giudiziaria è molto impegnata.
Nel gennaio 2008 la Squadra Mobile di Lecce identificava e poi, coadiuvata dalla sezione volanti, traeva in arresto, in esecuzione di ordinanza cautelare emessa dal gip di Lecce, quattro persone ritenute responsabili di violenza sessuale di gruppo ai danni di cittadina somala di 18 anni.
I reati societari
Ridottissimo il numero dei reati societari di fatto, secondo alcuni, depenalizzati dalla nuova discipline ed in gran parte finiti con la prescrizione e comunque, secondo il Presidente del Tribunale di Brindisi, di difficile accertamento, richiedendosi complesse e costose perizie di ufficio per verificare di volta in volta il superamento o meno della soglia di punibilità.
Nel periodo di riferimento le notizie di reato relative a reati societari è stato di 11 a carico di 18 persone mentre quelle relative a reati di bancarotta è stato di 74 nei riguardi di 120 persone: in nessun caso peraltro si tratta di fatti di particolare rilevanza per il numero delle persone danneggiate.
Le violazioni in materia tributaria
Restano sostanzialmente irrilevanti sotto il profilo penale le violazioni in materia tributaria, nonostante la scandalosa diffusione dell’evasione tributaria, che esige un rinnovato impegno da parte degli organi preposti all’accertamento ma anche l’abbandono della pratica del condono (che ha contribuito al diffondersi di una sensazione di impunità e, stendendo un velo sulle precedenti illecite condotte, ne ha impedito l’accertamento) nonché una seria riforma dell’apparato sanzionatorio notevolmente mitigato di recente, sebbene la coscienza sociale esiga di fronte a tali condotte un atteggiamento di fermezza.
Di fatto i reati tributari, peraltro di difficile configurazione dopo l’ultima riforma, non vengono neppure menzionati nelle relazioni dei procuratori della repubblica.
Le frodi comunitarie
Le denunce relative a frodi comunitarie, iscritte nel registro notizie di reato, sono state a Brindisi 57, nulle a Taranto, a Lecce 42 per il reato di cui all’art. 60 bis c.p. ed a carico di 98 persone e 129 per il reato di cui all’art. 640 comma 2 c.p. ed a carico di 226 persone.
Si tratta per lo più di condotte fraudolente dirette al conseguimento dei benefici previsti dalla legge n. 488 del 1992, ottenuti da vari imprenditori della provincia, in assenza delle condizioni di legge e sulla base di false documentazioni.
Il pubblico ministero, allo scopo di assicurare all’amministrazione il recupero di quanto indebitamente erogato, ha fatto frequente ricorso al sequestro per equivalente previsto dall’art. 322 ter c.p.p. sia in danno della persona fisica dell’indagato che in danno della persona giuridica per conto della quale agiva, ai sensi della normativa introdotta col decreto legislativo n. 231 del 2001. Nell’anno sono stati sottoposti a sequestro beni per un valore di circa 5.000.000 di euro e recuperate somme di danaro per 1.690.000 euro. Infatti in molti casi gli stessi indagati hanno chiesto di restituire le somme indebitamente percepite ed hanno effettivamente messo a disposizione dell’amministrazione somme di importo corrispondente a quelle percepite ovvero, in altri casi, dopo l’avvio delle indagini hanno rinunciato all’erogazione dei contributi già riconosciuti in via provvisoria degli organi competenti.
Scrive il Procuratore della Repubblica di Lecce che “il rigore, la sistematicità e la qualità complessiva degli interventi repressivi hanno contribuito all’emersione di un fenomeno di particolare gravità e diffusione e, pur indirettamente, alla modifica adottata nel 2006 della normativa di cui alla citata legge n. 488 del 1992 con l’attribuzione alle banche concessionarie di più penetranti poteri di controllo, a seguito della quale il fenomeno delittuoso ha registrato notevole flessione”.
Pur condividendosi tali valutazioni va rilevato tuttavia che, in considerazione dell’incidenza che possono avere sull’economia e indirettamente anche sull’occupazione (sembrerebbe che molti imprenditori abbiano rinunciato ai contributi ed agli investimenti programmati per prevenire il pericolo di essere indagati, poiché ciò di per se ed a prescindere da effettive responsabilità, avrebbe potuto offuscare la loro immagine commerciale), tali indagini devono essere condotte con particolare rapidità, col massimo rispetto delle garanzie di legge e prevenendo la fuga di notizie ad evitare anticipazioni di giudizio prima che le indagini possano approdare alla fase del dibattimento.
Tutte le indagini in questo settore sono state eseguite con encomiabile scrupolo dalla Guardia di Finanza di Lecce il cui comando ha rivolto al personale operante guidato dal cap. Maniglio un encomio.
La tutela dell’ambiente
Nonostante l’impegno di alcuni uffici di procura (in particolare Taranto) assai poco soddisfacenti sono purtroppo i risultati conseguiti in materia di tutela dell’ambiente e del territorio.
Segnala l’Avvocato Generale di Taranto che “la presenza di siti industriali con caratteristiche altamente inquinanti contigui all’abitato ha indotto da oltre un decennio l’Organizzazione Mondiale della Sanità a qualificare il territorio di Taranto area ad elevato rischio ambientale” e però nonostante gli sforzi per dare avvio ad un processo di recupero con i rappresentanti degli enti territoriali e del mondo sindacale, nonostante le valutazioni dell’ARPA e gli impegni della proprietà dei siti inquinanti, il tasso di inquinamento rimane elevato ed è notevolissimo il crescendo di affezioni gravi o gravissime legato da indiscutibile nesso di causalità. Duole constatare che mentre le iniziative spontanee e l’associazionismo sollevano e sottolineano il problema, i poteri pubblici –quando addirittura non entrano in conflitto tra loro come è avvenuto di recente tra la Regione e lo Stato – tendono per lo più a sottovalutare il problema e le gravissime conseguenze che ne derivano sul piano della salute pubblica e d’altra parte non è neppure raro il caso di gestione di discariche, termovalorizzatori, scarichi a mare che spesso vengono realizzati con vistose violazioni normative.
“Rimane aperto il problema della gravità della situazione del mondo del lavoro di Taranto in cui le limitatissime opportunità gravitano esclusivamente sull’Ilva, nella quale dominano infortunistica a livello primario in Italia, inquinamento della città e di alcuni quartieri in particolare, violenza subdola e programmata nei confronti di chiunque crei fastidi sindacale e lavorativo”.
“Va aggiunto che l’altra azienda attualmente inquinante presente sul territorio (raffineria di petrolio) ha raddoppiato la sua capacità produttiva con le relative conseguenze e continua ad operare la raffinazione del grezzo abbandonata quasi dappertutto”.
Molto attenta è peraltro l’azione della polizia giudiziaria.
Nell’ottobre 2007 personale del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Taranto scopriva in territorio cittadino un sito adibito a “sversatoio” di rifiuti speciali con annesso impianto abusivo di triturazione inerti. L’area e i macchinari utilizzati per la illecita attività venivano sottoposti a sequestro. Si accertava inoltre che in località Torre Caprarica del comune di Grottaglie società autorizzata allo smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi operava senza il rispetto delle prescrizioni e dei vincoli imposti con l’autorizzazione, in particolare senza alcuna verifica o analisi chimica dei rifiuti conferiti
L’abusivismo edilizio
Ugualmente diffuso nelle tre province il fenomeno dell’abusivismo edilizio favorito ed incoraggiato dai frequenti condoni, che hanno reso possibile il mantenimento, con poca spesa, non di rado neppure entrata nelle casse dello Stato, come si sarebbe appurato con una recente indagine, di opere deturpanti spesso realizzate con il simulacro di atti amministrativi compiacenti, rilasciati da dipendenti comunali che, nel malcostume imperante, non si fanno scrupolo di regolarizzare situazioni che stanno mutando, forse hanno già irreversibilmente mutato, le caratteristiche paesaggistiche del nostro paese.
Secondo uno studio de Il Sole 24 ore la provincia di Lecce occupa assieme a Bari uno dei primi posti nella graduatoria dell’abusivismo:nella provincia salentina ci sarebbero 52454 particelle, ossia porzioni di terreno su sui sono stati identificati edifici fantasma, non registrati al catasto.
Il Comando Polizia Municipale di Brindisi, nel segnalare la diffusione dell’abusivismo, auspica l’introduzione di incentivi al cittadino che, denunciando l’abuso, permetta un tempestivo intervento della polizia ed un maggiore impegno nell’azione di contrasto, con la istituzione di forme di controllo elettronico delle aree a maggior rischio ambientale. La Polizia Municipale di Lecce segnala anch’essa le difficoltà degli accertamenti in questa materia, data l’ampiezza del territorio di competenza e considerato che gli abusi riguardano per lo più il litorale dove la vigilanza è per necessità discontinua.
Reati connessi competizioni sportive
Dalle procure del distretto non è stato segnalato alcun episodio di particolare violenza e allarme sociale in occasione di competizioni sportive. Unico episodio di un certo rilievo è stato quello verificatosi nel marzo 2008 quando un corteo organizzato dalla tifoseria ultras della squadra di calcio del Lecce, per festeggiare il centenario della costituzione della squadra, ha attraversato la città diretto allo stadio. Durante il percorso vi è stato ripetutamente da parte dei tifosi l’accensione di fumogeni e l’esplosione di petardi ed a un certo momento di una bomba carta di maggior potenziale. Ciò determinava l’intervento dei carabinieri al quale gli ultras reagivano con il lancio di un vero e proprio ordigno all’indirizzo di un autoveicolo dei carabinieri che ne restava fortemente danneggiato, con pericolo per la vita stessa dei carabinieri che vi erano a bordo. Le indagini relative a tale grave episodio sono ancora in corso.
Il Questore di Lecce ha adottato 23 provvedimenti di divieto di accesso agli stadi ed ai campi sportivi e zone circostanti, contenenti la prescrizione dell’obbligo di presentazione negli uffici di polizia in concomitanza con lo svolgimento delle partite di calcio.
Gli anzidetti provvedimenti sono stati tutti convalidati dal gip.
Reati di fabbricazione di monete false
Nel maggio 2008 nella zona industriale di Melissano, carabinieri del Nucleo antisofisticazione monetaria, coadiuvati da personale della Compagnia di Casarano, col supporto di un velivolo del 6° nucleo elicotteri di Bari e del RIS di Roma, traevano in arresto cinque persone sorprese all’interno di un fabbricato adibito a stamperia clandestina di banconote false con taglio da 50 euro. Nel contesto venivano sequestrate banconote false per un valore nominale di dieci milioni di euro e sofisticate apparecchiature per la produzione delle stesse.
Un’analoga ed altrettanto brillante operazione è stata portata a termine dalla Guardia di Finanza nel Comune di Leverano dove pazienti e diligenti indagini permettevano di individuare un soggetto, poi tratto in arresto, che, al riparo di una apparentemente lecita attività artigianale, aveva in realtà impiantato una piccola fabbrica di banconote false di vario taglio.
Le intercettazioni telefoniche
Tutti i procuratori della repubblica segnalano “l’importanza determinante delle intercettazioni telefoniche (aumentate nel periodo di riferimento di oltre il 20%) specialmente in alcuni procedimenti per reati di criminalità organizzata, dal momento che la giurisprudenza tende sempre più a diminuire l’importanza delle prove testimoniali e delle dichiarazioni dei coimputati mentre in molti casi è stato accertato in dibattimento che l’unica prova di accusa che resisteva alle pressioni psicologiche esercitate su testimoni e coimputati era quella ricavabile dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali”.
I ricorsi al tribunale del riesame
La percentuale, nel periodo di riferimento, di pronunzie di accoglimento in tema di ricorsi al tribunale del riesame contro provvedimenti privativi della libertà è da anni attestata –per quanto riguarda il Tribunale di Lecce che ha competenza distrettuale- intorno al 28% che certamente non è poco sebbene, nelle loro relazioni, i procuratori della repubblica del distretto parlino di percentuale bassissima, spiegando che la proposizione del ricorso al tribunale del riesame in molti casi ha la sola funzione di consentire alla difesa di prendere cognizione degli atti dell’indagine.
Più puntualmente riferisce il Presidente del Tribunale di Lecce che “”nel periodo indicato sono sopravvenute 921 impugnazioni attinenti a misure cautelari personali (1061 nell’anno precedente, 851 nel periodo luglio 2005-giugno 2006; 1069 nel periodo luglio 2004-giugno 2005), con una flessione quindi di circa l’11% rispetto all’anno precedente ed una sostanziale omogeneità di dati rispetto all’anno ancora precedente.
Le pronunzie di riforma, nel concetto comprendendo quelle in cui si è operata una modifica del regime cautelare in virtù di valutazioni compiute solo sulle esigenze cautelari, sono state nel periodo indicato 166 pari al 18% circa (erano pari all’11,45 nell’anno precedente; e pari all’11,9% e al 15,7% nei due anni ancora precedenti. Può quindi rilevarsi una sostanziale omogeneità del dato statistico nel tempo, pur in presenza di un aumento delle percentuali di riforma.
Quanto alle pronunzie di annullamento, nel concetto comprendendo sia quelle sostenute dal rilievo della ricorrenza dei vizi di nullità del provvedimento, sia quelle fondate sull’assenza di gravi indizi di reità, sono state 87 pari al 9% circa del totale (erano state pari al 10,24% del totale nell’anno precedente, e 89, pari al 10,4% e pari al 2,4% nei due periodi di riferimento ancora precedenti. Può quindi rilevarsi che circa il 27% dei procedimenti di riesame si è concluso, nel periodo in esame (con un aumento del 5% rispetto ai due anni precedenti) con pronunzia favorevole all’impugnante, così tornandosi a valori prossimi a quelli registrati per lo stesso periodo dell’anno 2004-2005 in cui dette pronunzie ammontavano al 28% circa.””
Per il Tribunale di Taranto che ha competenza per l’ambito territoriale della sezione distaccata, di fatto coincidente col circondario, vi è stato un andamento presso che analogo: i ricorsi sono stati 336 a fronte dei 348 del periodo precedente e ne sono stati accolti 76 (il 22,61%) a fronte dei 55 del periodo precedente (il 18,96%).
I riti alternativi: il giudizio abbreviato e il patteggiamento
Mancano pure rilevazioni statistiche complete ed affidabili che permettano di stabilire l’incidenza del ricorso ai riti alternativi stimato, si ritiene con approssimazione, dai procuratori della repubblica non superiore al trenta per cento del complessivo numero dei procedimenti.
Neppure si dispone di dati precisi per poter stabilire in che misura abbia contribuito la recente riforma che ha introdotto la possibilità di richiedere approfondimenti istruttori con la richiesta di abbreviato condizionato e con quelle più innovativa dell’integrazione probatoria disposta dal giudice d’ufficio, mentre è evidente che ne ha ampliato l’ambito di operatività la sentenza della Corte Costituzionale n. 169 del 2003 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli articoli 438 comma 6, 458 comma 2 e 464 comma 1 secondo periodo codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono che, in caso di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria, l’imputato possa rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento ed il giudice del dibattimento possa disporre il giudizio abbreviato.
Sebbene manchino precise rilevazioni statistiche a riguardo, l’impressione che deriva dall’esperienza è che l’imputato fa ricorso al patteggiamento della pena solo quando può trarre benefici ulteriori rispetto a quelli che l’istituto dovrebbe consentire, quando per esempio è possibile contenere la pena nei limiti del presofferto ed ottenere quindi da subito la rimessione in libertà oppure quando si può fare affidamento sulla sospensione della pena, poiché negli altri casi il vantaggio che indirettamente l’imputato spera di trarre dalle lungaggini del processo, non esclusa la prospettiva di prescrizione del reato, superano nella sua ottica il vantaggio di una riduzione della pena. Queste stesse ragioni spiegano la maggior fortuna che pare abbia avuto il c.d. patteggiamento allargato introdotto con la legge n. 134 del 2003, che, con riferimento ai reati più gravi, per i quali prima non vi era la prospettiva di evitare l’esecuzione della pena in caso di condanna, permette ora di concordare una pena che consente l’accesso, in virtù della diminuzione applicata per la scelta del rito, alle misure alternative alla detenzione in carcere.
Ridottissimo è invece il numero dei procedimenti definiti in appello con pena concordata ai sensi dell’art. 599 c.p.p.: le considerazioni sviluppate all’inizio sulle lungaggini del processo e la possibilità di confidare in una lontana definizione dello stesso sconsigliano con ogni evidenza l’utilizzazione di ogni mezzo di definizione semplificata del processo che in un certo senso anticiperebbe gli effetti della condanna e quindi vi si fa ricorso solo in situazioni eccezionali (quando per esempio l’imputato è in stato di custodia cautelare e, in previsione di una condanna, non ha interesse a ritardare la conclusione del processo). Senza dire che l’indulto di recente concesso ha fatto venir meno l’interesse ad una riduzione della pena (in ogni caso condonata) per cui vi è una ragione ulteriore a differire nel tempo gli effetti della condanna suscettibile di essere travolta da eventi imprevedibili (la prescrizione del reato o innovazioni legislative più favorevoli al condannato).
La magistratura di sorveglianza
Il presidente del tribunale di sorveglianza riferisce che l’attribuzione, per effetto della legge c.d Simeone, della competenza al magistrato di sorveglianza della relativa competenza consente di provvedere con procedimento de plano all’accoglimento delle istanze di liberazione anticipata che non richiede accertamenti di particolare complessità e si risolve in un abbuono di pena subordinato alla circostanza che l’interessato abbia dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione e tanto ha sicuramente deflazionato in maniera rilevante il carico delle pendenze dei tribunali accelerandone i tempi di decisione. Riguardo al beneficio si sottolineano le ambiguità di fondo, sul rilievo che la valutazione parcellizzata della condotta del detenuto, semestre per semestre, mina un complessivo giudizio di recupero più o meno rieducativo dello stesso mentre è difficilmente comprensibile la concessione della liberazione anticipata anche a soggetti sottoposti al regime del 41 bis con riferimento ai quali non è prevista attività trattamentale. D’altra parte l’evanescenza –e talora l’inesistenza- di offerte rieducative per i soggetti detenuti, all’interno degli istituti di pena, non consente di norma un puntuale giudizio di osservazione della personalità, sicché la concessione del beneficio finisce per essere unicamente condizionata dall’esistenza o meno di rapporti disciplinari promossi dal personale di custodia.
In entrambi gli uffici di sorveglianza di Taranto e di Lecce è cresciuto in modo rilevante il numero delle istanze di liberazione anticipata, che peraltro vengono definite in tempi ragionevolmente brevi in considerazione del fatto che gli interessati intendono conseguire, attraverso l’auspicata riduzione della pena, l’ulteriore concessione di misure alternative alla detenzione in carcere.
Molto numerosi sono i casi di rinvio dell’esecuzione della pena nei riguardi di persone affette da HIV o AIDS e tossicodipendenti, settore nel quale la legge Simeone dilata senza confini la detenzione domiciliare, atteso che i rinvii della pena prescindono dall’entità della stessa pur in presenza di incertezze diagnostiche, di terapie inefficaci, di programma riabilitativi generici e mal individualizzati.
Riferisce il presidente del Tribunale di sorveglianza di Lecce che “è da registrare un sensibile incremento delle istanze presentate da soggetti tossicodipendenti, soprattutto da cocaina, in ordine alle quali la legge n. 46/2006 ha attribuito al magistrato di sorveglianza la facoltà di ammettere l’istante in via provvisoria alla misura dell’affidamento terapeutico; che in continuo aumento sono altresì le istanze di detenzione domiciliare e di differimento della esecuzione della pena per gravi motivi di salute, in dipendenza da patologie di natura sia fisica che psichica o psichiatrica, le quali interessano in particolar modo soggetti con problemi attuali o pregressi di tossicodipendenza”.
Nei casi di domande proposte da condannati in condizioni di grave infermità fisica o psichica o da persona affette da infezioni HIV o da AIDS, il Tribunale applica preferibilmente –in luogo del rinvio o della sospensione della pena- la norma di cui all’art. 47 ter comma 1 ter ordinamento penitenziario che consente l’applicazione surrogatoria della detenzione domiciliare a termine, ma non senza valutare l’eventuale sussistenza di un concreto pericolo della commissione di delitti.
Quanto ai permessi non si segnalano particolari inconvenienti anche se resta comunque alto il rischio operativo che grava sul magistrato di sorveglianza date le difficoltà di una valida prognosi sulla pericolosità esterna del detenuto e la cogenza di circostanze familiari e personali che spesso impongono la concessione del permesso.
La concessione della sospensione della parte finale della pena, prevista dalla legge n. 207 del 2003, c.d. indultino, non sembra abbia comportato una significativa riduzione dei detenuti all’interno degli istituti di pena perché quasi sempre il beneficio, concesso a causa della sua automatica applicazione in assenza di ogni verifica di meritevolezza ed opportunità, quasi sempre è stato revocato, data la incapacità del soggetto che ne aveva beneficiato di affrancarsi con i propri mezzi, in assenza di un progetto rieducativo e lavorativo, da quelle dinamiche devianti che precedentemente lo avevano portato a delinquere sicché, non appena rimesso in libertà, è portato a violare le prescrizioni connesse alla concessione della sospensione.
Sono sostanzialmente queste le ragioni per le quali il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Lecce giudica “provvidenziale” l’intervento della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 255 del 2006, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 comma primo della legge n. 207 del 2003 nella parte in cui non prevede che il giudice di sorveglianza possa negare la sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva al condannato quando ritiene che il beneficio non sia adeguato alle finalità previste dall’art. 27 comma terzo della Costituzione.
Gli istituti penitenziari
I presidenti di entrambi i tribunali di sorveglianza del distretto segnalano la condizione di sovraffollamento degli istituti di custodia.
La casa circondariale di Lecce, una delle più grandi ed importanti nel panorama nazionale, è tornata a presentare nell’ultimo anno, dopo il periodo di forte calo dovuto all’applicazione dell’indulto (agosto 1996) il problema di sempre: il sovraffollamento: ad oggi le presenze raggiungono punte di 1200 detenuti, a fronte di una capienza ottimale di 550 e tollerabile di 850 -900 posti.
Ciononostante l’ordine e la sicurezza interna sono sempre stati assicurati da una valida azione direttiva che ha potuto contare sulla professionalità e lo spirito di servizio della Polizia penitenziaria e del personale civile..
Molto apprezzabile anche è l’azione svolta dalla Direzione finalizzata al recupero sociale dei detenuti.
Fra le tante iniziative sono da segnalare il protocollo con l’Università del Salento e l’Amministrazione provinciale per garantire il diritto allo studio di un consistente numero di detenuti, le attività teatrali, i corsi di abilitazione informatica.
Speciale menzione, infine, merita l’iniziativa imprenditoriale realizzata nella Sezione femminile in collaborazione con la Cooperativa Officina Creativa che ha consentito l’avviamento al lavoro di dodici detenute la cui produzione di abbigliamento e accessori , destinata al mercato nazionale, è stata oggetto di una “sfilata di moda” all’interno dell’Istituto che ha avuto vasta eco e successo nella società, riflettendo l’immagine e la sostanza di un mondo , quello carcerario, nel quale è ancora viva la speranza del riscatto.
Nel periodo di riferimento rarissimi sono stati i casi di richiesta di mandato di arresto in ambito europeo; parimenti sporadiche le richieste di estradizione sia attiva che passiva.
Questioni specifiche della giustizia civile
Non risulta che nel periodo in considerazione siano state sollevate questioni pregiudiziali in ordine all’interpretazione della disciplina comunitaria ai sensi dell’art. 234 del Trattato C.E.E. o che vi siano state occasioni di diretta applicazione da parte del giudice nazionale della disciplina comunitaria.
Non sono state pronunziate decisioni di particolare importanza in applicazione della convenzione europea dei diritti dell’uomo mentre sono in progressivo aumento a causa delle rilevate disfunzioni della giustizia italiana i procedimenti per l’indennizzo del danno da ritardata definizione dei processi (c.d. legge Pinto): si è già detto della crescita esponenziale di tali procedimenti e degli esborsi sostenuti dall’erario.
I presidenti di tutti i tribunali del distretto indicano come considerevole e crescente il flusso dei procedimenti di separazione personale dei coniugi e di conseguenza di quelli di divorzio.
Non risultano essere stati instaurati giudizi di responsabilità civile nei riguardi di magistrati mentre sono numerosi i giudizi in cui è parte convenuta una pubblica amministrazione, per lo più per danni derivati dalla trascurata manutenzione di beni di proprietà pubblica (in particolare strade) ovvero per danni da occupazione di terreni, originariamente finalizzata all’espropriazione per pubblico interesse ma poi divenuta illegittima per il mancato compimento della procedura espropriativa nonostante la già avvenuta realizzazione dell’opera pubblica, con l’effetto quindi di rendere irreversibile l’occupazione.
Da nessuno dei tribunale del distretto è stata segnalata la pendenza di cause aventi ad oggetto la tutela del consumatore, ai sensi del vigente codice di consumo, instaurata su impulso delle associazioni dei consumatori o del singolo consumatore o utente che sia. Numerosi sono stati invece al Tribunale di Brindisi i procedimenti disciplinati dal decreto legislativo n. 5 del 2003, instaurati di norma dai diretti interessati nei confronti degli istituti bancari, venditori e gestori, a seguito di contratti stipulati direttamente o a mezzo di propri promotori, di prodotti finanziari di vario tipo, di cui era stata magnificata la convenienza ma che nel tempo avevano perduto quasi completamente ogni valore. Nel periodo di riferimento sono stati iscritti al Tribunale di Brindisi numero trenta procedimenti e ne sono stati definiti cinquanta, quasi sempre con la dichiarazione di nullità dei contratti e molto spesso con la condanna dell’istituto bancario oltre che alle restituzioni anche al risarcimento del danno. Numerose sono state le conciliazioni sempre in termini favorevoli al consumatore.
Le esecuzioni immobiliari
Notevole, in tutti i tribunali del distretto, il numero delle procedure di esecuzione immobiliare. Nel Tribunale di Lecce il numero “spaventosamente elevato” delle procedure pendenti alla data del 2002 è in via di progressiva e sensibile riduzione e può dirsi contenuto ormai in limiti fisiologici e ciò soprattutto grazie alle disposizioni della legge n. 302/98 che ha consentito al creditore di depositare il certificato notarile in luogo della documentazione ipocatastale. Superate le difficoltà derivanti dal mancato rilascio dalla Conservatoria dei Registri Immobiliari della documentazione necessaria perché potesse disporsi la vendita, negli ultimi tre anni tutte le procedure iniziate negli anni 90 sono prossime ad essere definite.
Da nessuno dei tribunali del distretto vengono segnalate problematiche particolari per le procedure di rilascio riguardanti immobili destinati ad abitazione non essendovi nel distretto situazioni di particolare tensione abitativa.
I fallimenti
Notevolmente diminuito il numero dei fallimenti dichiarati.
Nel periodo di riferimento sono pervenute al Tribunale di Lecce 246 istanze di dichiarazione di fallimento a fronte delle 465 pervenute nel periodo precedente; le istanze accolte sono state il 25% a fronte del 36% del periodo precedente. Si nota quindi, secondo il Presidente del Tribunale, “un self-restraint del ceto creditorio nella proposizione dei ricorsi, che costituisce un positivo effetto della riforma”.
Con un provvedimento di carattere generale emesso il 22.5.07 il Tribunale di Lecce ha disposto il deposito da parte di tutti i curtori di una relazione periodica di aggiornamento al fine di consentire al giudice delegato di controllare efficacemente il loro operato e di rilevare eventuali sacche di inefficienza. Pur essendo stato detto provvedimento ampiamente diffuso, solo pochi professionisti vi hanno ottemperato: ritiene il Presidente del Tribunale che, per evitare responsabilità da violazione del principio di ragionevole durata del processo sarà necessario adottare specifici provvedimenti.
Anche per il Presidente del Tribunale di Taranto quella dei rapporti con i curatori fallimentari è “questione seria” poiché spesso si rende necessario richiamare i curatori ad una maggiore diligenza nell’espletamento del loro delicato incarico, laddove “la frammentazione degli incarichi e l’elevato numero delle procedure pendenti di fatto non consente ai giudici delegati (in numero di due a Taranto, dove al 30.6.2008 erano pendenti 1293 procedure fallimentari) di esercitare un effettivo controllo sull’andamento delle procedure, la cui durata appare talvolta priva di giustificazioni.” Assicura tuttavia lo stesso Presidente che “negli ultimi anni si è avviato un processo di maggiore selezione nelle nomine dei curatori e di maggior controllo sull’operato degli stessi e che con l’entrata in vigore della riforma, che assegna al curatore un ruolo ancora più centrale nella gestione della procedura, i criteri di nomina hanno privilegiato ancor più i requisiti i professionalità e serietà degli aspiranti agli incarichi fallimentari”.
Comunica invece il Presidente del Tribunale di Brindisi che in quel tribunale la gestione delle procedure concorsuali non ha posto alcun particolare problema né ha manifestato alcuna anomalia.
La giustizia minorile
La giustizia minorile si caratterizza sempre più per la frequenza di episodi di bullismo e più in generale di violenta devianza e ciò non può non preoccupare poiché appare evidente che all’origine di tali comportamenti vi è un generalizzato rifiuto di valori, trasmesso molto probabilmente e comunque non contrastato dall’esempio degli adulti, che caratterizza la condotta di una sempre più elevata percentuale di minori, appartenenti anche ad ambienti culturalmente e socialmente in apparenza evoluti.
Nel periodo di riferimento, secondo il Presidente del Tribunale minorile di Taranto, la tipologia ed il numero dei reati non hanno subito aggravamenti sensibili rispetto agli anni precedenti ma resta preoccupante il fenomeno dello spaccio di sostanze stupefacenti ancora prevalentemente circoscritto alle droghe leggere ed alla vendita al minuto di quantità modeste ma con allarmante progressiva estensione a quelle pesanti (cocaina in particolare) ed alla partecipazione attiva a traffici di più vasta estensione organizzati dagli adulti. Altrettanto allarmante, anche se non frequente, è la spregiudicatezza quasi adulta con la quale vengono consumate o tentate rapine all’interno di esercizi commerciali. Fortunatamente ancora irrilevante il fenomeno della criminalità di gruppo, tanto quella organizzata che quella improvvisata ed impulsiva, e ciò nonostante l’aggravamento del fenomeno nelle città anche a non dimensioni metropolitane o ad alto rischio di degrado socio-ambientale. Non poco preoccupante è poi la frattura spesso insanabile tra il minore e la scuola, con fenomeni di totale disinteresse per lo studio cui seguono forme di bullismo scolastico, ribellione alle regole e continui episodi di disturbo delle attività didattiche, fenomeno che non solo non ha subito attenuazioni ma che è in costante aumento quantitativo e soprattutto qualitativo.
Secondo il procuratore minorile di Lecce, il lieve aumento del numero dei procedimenti iscritti così come del numero dei minori denunciati essenzialmente dipende dalla reintroduzione del reato di guida senza patente. Dal punto di vista qualitativo in proporzione è maggiore l’aumento dei delitti di lesioni personali e ciò (considerato anche il coinvolgimento di due minori rispettivamente in un omicidio e in un tentato omicidio) è indicativo di una preoccupante propensione alla violenza da parte di ragazzi e ragazze, favorita dall’allentamento dei freni inibitori, collegato all’abuso di alcol e stupefacenti, dall’abitudine molto diffusa di portare con se coltelli, dalla suggestione dei gruppi in cui si è inseriti.
Parte di tali reati si riferiscono poi ad episodi di bullismo, che continuano a diffondersi nelle scuole e in tutti gli altri ambienti di aggregazione tra adolescenti di ogni ceto sociale, comportamenti tenuti da parte di adolescenti e di giovani dell’uno e dell’altro sesso in condizioni di disagio e con forti carenze educative, i quali “violando ogni regola pretendono di imporre agli altri la legge del più forte e lo fanno spesso per noi o per gioco, per il mero gusto di ledere, di intimorire e comunque di far soffrire persone più deboli ed indifese”. All’origine di tali condotte vi è, secondo il procuratore minorile di Taranto, una “vera emergenza educativa che chiama in causa la famiglia, la scuola ma anche la società civile nel suo complesso: la famiglia, in forte difficoltà in questa società piena di contraddizioni, sottoposta com’è, secondo modelli dominanti continuamente proposti dai mass media, a tante lusinghe consumistiche ed a tante spinte disgregatrici che poi si risolvono ai danni di bambini ed adolescenti; molti genitori non avvertono il senso e la responsabilità del loro essere educatori, comunicatori di sicurezze e di valori; la scuola non sembra in grado di adempiere efficacemente al suo ruolo formativo , anche perché la classe insegnante stanca e frustrata, va perdendo prestigio ed autorevolezza a causa di indisciplina e di permissivismo troppo a lungo tollerati; anche la società nel suo complesso ha le sue responsabilità… vengono continuamente offerti ai ragazzi modelli negativi di deplorevoli comportamenti pubblici e privati che poi sono assorbiti ed emulati, diventando costume di vita”.
A ragion veduta rileva il procuratore minorile di Lecce che “il bullismo deve essere doverosamente contrastato con adeguate sanzioni sul piano penale e sotto il profilo disciplinare scolastico e tuttavia non può trascurarsi che è sintomo di un disagio che deve essere affrontato soprattutto con azioni educative e, se necessario, di trattamento psicologico non solo nei confronti dei singoli, ma anche dell’intero piccolo gruppo in cui spesso si manifesta.
“”Ben venga allora il rilievo dato al comportamento scolastico attraverso l’influenza nuovamente riconosciuta al voto in condotta, giacché il dilagare degli atti di danneggiamento degli edifici, del bullismo, del consumo di stupefacenti anche all’interno delle scuole esige una risposta decisa e ferma. Tuttavia è evidente che la disposizione normativa dev’essere accompagnata da una rinnovata presa di coscienza del proprio ruolo formativo e della propria autorevolezza da parte dei dirigenti scolastici e dei docenti, talvolta dimostratisi fin troppo permissivi e sfiduciati nel recente passato. Il comportamento scolastico degli alunni di ogni età dev’essere inoltre occasione di un rinnovato dialogo tra docenti e famiglie, perché a parte altre considerazioni, è di per sé uno dei sintomi più significativi del disagio e di disturbi profondi di bambini, adolescenti e giovani.””
Non vi sono state denunce per reati associativi. Negli ultimi tempi però vi sono stati delitti allarmanti che possono far pensare ad una riorganizzazione delle associazioni delinquenziali in più o meno diretta continuità con i gruppi storici della sacra corona unita. Appare perciò possibile che giovani e giovanissimi figli o congiunti di appartenenti alla sacra corona unita possano costituire i primi destinatari di coloro che potrebbero voler promuovere la ristrutturazione delle locali organizzazioni criminali.
Segnala invece il procuratore minorile di Taranto il preoccupante aumento dei reati violenza sessuale (16 iscrizioni a fronte dei 9 dell’anno precedente) e i reati di pedopornografia minorile (7 iscrizioni a fronte dei 2 dell’anno precedente), che sono, a suo avviso, “prova del diffondersi a largo raggio di una mentalità libertaria ed edonistica e di una forte caduta di valori etici anche fra giovanissimi dell’uno e dell’altro sesso”.
Altrettanto preoccupante per il procuratore di Taranto “il fenomeno della diffusione della pedofilia informatica di cui i bambini e i ragazzi possono essere, anche casualmente, potenziali consumatori, collegandosi ad internet, se non addirittura irretiti nel traffico immondo dei pedofili. Purtroppo il fenomeno è in espansione anche per la diffusione di telefoni cellulari dotati di videocamera: fra i casi di pornografia minorile denunziati vi sono quelli di ragazzine che si prestano a farsi ritrarre in immagini e filmati di parti del proprio corpo a contenuto pornografico, immagini poi diffuse anche contro la loro volontà.”
Molto frequenti e gravi i danneggiamenti di edifici scolastici, specialmente nella fase iniziale dell’anno scolastico, sia nelle città capoluogo che nei centri minori del distretto, anche ad opera di vere e proprie bande composte da alunni e giovani adulti, con finalità di assurdo vandalismo ed insieme di profitto, concretizzate nella sottrazione di computer ed altri oggetti.
Le denunce a carico di minori stranieri restano pari a circa il 10 per cento del totale.
Gli interventi di sostegno e recupero, previsti nei piani di zona dalle amministrazioni locali e dai servizi territoriali, d’intesa con l’autorità giudiziaria minorile, iniziano ad avere concreta attuazione con positivi risultati, per ora però quasi esclusivamente nei confronti di minori per i quali è stata disposta la sospensione del procedimento con la messa alla prova. Il Presidente del Tribunale minorile di Lecce segnala tuttavia l’inadeguatezza dei servizi sociali istituiti presso i comuni, specie i più piccoli, nella maggior parte dei quali manca nell’organico la figura dello psicologo, quando non è assente addirittura l’assistente sociale o è assente per lunghi periodi senza sostituzione. Altamente positivo è invece il giudizio relativo ai Servizi Minorili dell’Amministrazione della giustizia, quasi esclusivamente impegnati però nella elaborazione dei progetti per i minori ammessi all’istituto della messa alla prova ed al controllo poi della loro applicazione.
Nella prospettiva di favorire una giustizia riparativa e tendente alla conciliazione delle parti, si sono conclusi recentemente, su impulso della Regione, accordi di programma con le province di Lecce e Brindisi per la istituzione di uffici di mediazione, che dovranno operare nel campo civile e penale con professionisti specializzati.
Segnala il Presidente dl Tribunale di Lecce che l’attività dell’istituto penale per i minorenni è attualmente sospesa per lavori di ristrutturazione dello stabile e che è urgente ripristinare la destinazione dell’istituto non solo ai minori in stato di custodia cautelare ma anche ai minori in espiazione di pena. La possibilità infatti di consentire ai minori condannati un contatto frequente con i familiari e il loro coinvolgimento nel piano di trattamento e di recupero è una esigenza che non può e non deve essere sottovalutata.
I presidenti di entrambi i tribunali minorili del distretto segnalano l’urgenza, nonostante i ripetuti interventi “riparatori” della Corte Costituzionale, dell’emanazione di un ordinamento penitenziario minorile che è in ritardo di oltre un trentennio posto che l’art. 79 della legge 354 del 1975, nell’estendere ai minori degli anni diciotto sottoposti a misure penali la normativa in essa contenuta, espressamente prospettava la necessità di un’apposita disciplina per i minori. Giova ricordare che nel preambolo della raccomandazione n. 20 del 1987 del Consiglio d’Europa è previsto che il sistema penale per i minorenni deve caratterizzarsi in primo luogo per gli obiettivi della rieducazione e del reinserimento sociale del giovane e che deve, nei limiti del possibile, sopprimere la carcerazione per i minorenni.
Informa a sua volta il procuratore minorile di Taranto che il Centro di Prima Accoglienza di Taranto opera in una struttura che avrebbe necessità di un serio intervento di manutenzione che il Comune di Taranto, proprietario dell’edificio, a causa delle condizioni di dissesto in cui versa, non è in grado di operare. Peraltro detto Centro non può operare regolarmente a causa dell’organico ridotto della polizia penitenziaria, che non può assicurare il tempo pieno per tutti i giorni della settimana, con la conseguenza che i minori che vengono arrestati nei giorni festivi vengono tradotti nei centri di Lecce e di Bari, con grave disagio per le famiglie dei minori ma anche per l’organo di polizia che ha proceduto all’arresto.
Comuni a quelle degli altri tribunali minorili le problematiche giuridiche affrontate dal tribunale di Lecce; in particolare e come anche in altre sedi permane tuttora aperto il contrasto con il tribunale ordinario in tema di competenza a provvedere sull’affidamento dei figli in pendenza di una causa di separazione personale dei coniugi, ritenendo il tribunale per i minorenni che la competenza attribuita dalla legge al giudice della separazione non impedisce l’adozione da parte del giudice minorile di provvedimenti urgenti quando l’interesse del minore lo richiede. Sono perciò notevolmente aumentati i ricorsi mirati, in modo più o meno strumentale, ad ottenere dal Tribunale per i minorenni decisioni che anticipino oppure ribaltino quelle del giudice della separazione o del divorzio.
La recente modifica introdotta dalle legge 8 febbraio 2006 n. 54 in materia di affidamento dei figli minori nei casi di separazione aveva determinato, nel primo periodo di applicazione, una diffusa incertezza interpretativa in ordine alla competenza funzionale con riguardo ai provvedimenti ex art. 317 bis codice civile circa il regime di affidamento dei figli minori nati da unioni naturali. L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 8362 del 2007 ha risolto il conflitto affermando la competenza del Tribunale per i Minorenni estesa anche alle situazioni di natura economica. Siffatto indirizzo giurisprudenziale, condiviso dalla maggioranza dei giudici minorili, fa emergere, secondo il Presidente del Tribunale minorile di Lecce, con più evidenza la grande difficoltà derivante dalla mancanza di una organica normativa del processo civile minorile, che, realizzando i principi di cui agli artt. 24 e 111 della Costituzione tenga conto della specificità delle controversie in cui è comunque implicato un soggetto minorenne.
La necessità del resto di una valutazione unitaria dei problemi della famiglia, da cui nascono o in cui comunque si inseriscono le situazioni di disagio dei minori, per individuare le soluzioni più rispondenti alle esigenze ed all’interesse di questi ultimi, considerandoli non isolatamente ma come parte di una realtà familiare fatta di difficoltà ma anche di risorse, consiglia la concentrazione in un unico organo giudiziario della competenza a decidere su tutte le questioni riguardanti la famiglia e costituisce dunque una ragione più che valida a favore di chi considera ormai indifferibile la costituzione di un tribunale della famiglia in cui siano concentrate le competenze oggi frammentate tra tribunali ordinari e tribunali minorili.
I presidenti di entrambi i tribunali minorili del distretto informano che l’istituto dell’affidamento etero-familiare, nonostante la fiducia in esso riposta dal legislatore, non ha trovato finora rilevante applicazione per via della quasi totale inesistenza di famiglie o di persone singole disponibili e idonee a prestare cure materiali ed affettive in via solo transitoria. Ciò dipende principalmente da un impegno insufficiente dei servizi degli enti locali territoriali che, al di là dei buoni propositi e dell’emanazione di normative anche dettagliate, non hanno un vero progetto di diffusione della cultura dell’affido e dell’organizzazione di gruppi ad esso predisposti e debitamente assistiti. E d’altra parte le famiglie di origine ritengono più conveniente per i propri figli –nei periodi di disagio e di difficoltà del nucleo familiare- il ricovero in una struttura piuttosto che l’affidamento ad una famiglia.
E qui la mia relazione si conclude; mi pare giusto che si concluda con questa particolare attenzione dedicata ai giovani nei confronti dei quali nessun permissivismo si giustifica (sarebbe deleterio per il loro avvenire) mentre ragione vuole che, per quanto essi possano apparire insolenti ed insopportabili, si deve evitare di criminalizzare i loro comportamenti e di illudersi che la via penale possa costituire una scorciatoia percorribile per risolvere i problemi legati alla loro condizione di disagio.
Vi ringrazio per avermi ascoltato.