Il peculato, nel diritto penale italiano, è il reato previsto dall'art. 314 (Peculato) del codice penale, in virtù del quale Il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da tre a dieci anni.
La disciplina del peculato è stata di recente modificata con la Legge 86/1990, recante Modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.
Elementi:
Oggetto
Oggetto specifico della tutela penale è non solo la tutela del regolare funzionamento e del prestigio degli Enti pubblici ma anche quello di impedire danni patrimoniale alla pubblica amministrazione.
La disciplina del peculato è stata di recente modificata con la Legge 86/1990, recante Modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.
Elementi:
Oggetto
Oggetto specifico della tutela penale è non solo la tutela del regolare funzionamento e del prestigio degli Enti pubblici ma anche quello di impedire danni patrimoniale alla pubblica amministrazione.
Azione
Il delitto di peculato si configura con l'indebita appropriazione di denaro o altra cosa mobile appartenente alla pubblica amministrazione che si trova, al momento della consumazione del reato (ovvero al momento del tentativo di consumazione), nel possesso o comunque nella disponibilità del soggetto attivo, in ragione del suo ufficio o del suo servizio.
Anche l'indebita alienazione, distruzione, semplice detenzione, utilizzo, ... di denaro o di altra cosa mobile appartenente alla pubblica amministrazione integra questa fattispecie delittuosa.
Soggetto
Trattandosi di un reato proprio, soggetto attivo del delitto di peculato può essere solo un pubblico ufficiale oppure un incaricato di pubblico servizio. Sono escluse, pertanto, forme di responsabilità per quanti esercitino un servizio di pubblica necessità.
Il cosiddetto peculato d'uso
Il comma 2 dell'art. 314 del Codice Penale prevede l'ipotesi del cosiddetto "peculato d'uso": tale fattispecie si configura quando l'agente si appropria della cosa al solo scopo di farne uso momentaneo e, dopo tale uso, la restituisce immediatamente.
Va da sé che oggetto di tale fattispecie possono essere solo le cose mobili (ad esempio: un'automobile di servizio) e non anche il denaro o cose generiche.
La pena per il peculato d'uso è la reclusione da 6 mesi a 3 anni.
Il peculato mediante profitto dell'errore altrui
L'art. 316 del Codice Penale introduce un'ulteriore fattispecie delittuosa che il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio integra quando, nell'esercizio delle sue funzioni, giovandosi dell'errore altrui, riceve o ritiene indebitamente, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità.
La pena per il peculato mediante profitto dell'errore altrui è la reclusione da 6 mesi a 3 anni.
Giurisprudenza
"Il peculato d'uso costituisce un reato autonomo, non attenuante del peculato" (Corte di Cassazione, sentenza del 29 aprile 1992)
La Corte di Cassazione ha ribadito la natura plurioffensiva del reato di peculato ritenendo oggetto di tutela il patrimonio della pubblica amministrazione e la legalità, il buon andamento e l'imparzialità della stessa (sentenza n. 8009 del 24 agosto 1993)
L'espressione "uso momentaneo" non va intesa come sinonimo di uso istantaneo, bensì temporaneo, cioè protratto per un tempo limitato, così da comportare una sottrazione della cosa alla sua destinazione istituzionale, tale da compromettere seriamente la funzionalità della pubblica amministrazione (Corte di Cassazione, sentenza n. 4651 del 16 aprile 1997)