mercoledì 2 luglio 2008

Il Patteggiamento

L'applicazione della pena su richiesta delle parti, il cosiddetto patteggiamento sulla pena, è un istituto del diritto processuale penale disciplinato dal punto 4 dell'art.2 della legge delega dl 1987 e dall'art. 444 c.p.p. come modificato dalla legge 12 giugno 2003 n.134.

« 1. L'imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l'applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria.
1-bis. Sono esclusi dall'applicazione del comma 1 i procedimenti per i delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, nonché quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali e per tendenza, o recidivi ai sensi dell'articolo 99, quarto comma, del codice penale, qualora la pena superi due anni soli o congiunti a pena pecuniaria.
»

(Art.444 c.p.p. commi 1° e 1-bis - Applicazione della pena su richiesta)


Disciplina

Il "patteggiamento" (termine breve per indicare ciò che più correttamente è definito "applicazione della pena su richiesta delle parti") è, nel contesto della procedura penale, il procedimento speciale caratterizzato dalla richiesta rivolta al Giudice dall'imputato, e sempre che vi consenta il Pubblico Ministero, di applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva che, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non superi i cinque anni (di reclusione o arresto), sola o congiunta a pena pecuniaria, salvo che a formulare la richiesta sia un imputato che abbia riportato più di una precedente condanna (recidiva reiterata), nel quale ultimo caso l'imputato incontra il limite dei due anni di pena detentiva "patteggiabile".
La richiesta, che può essere formulata durante le indagini preliminari, in udienza preliminare (prima delle formulazioni delle conclusioni), prima della dichiarazione di apertura del dibattimento nel caso di procedimento monocratico a citazione diretta o di giudizio direttissimo, e infine con la dichiarazione di opposizione a decreto penale di condanna, può essere subordinata alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. La richiesta può altresì avvenire entro 15 giorni dalla notificazione del decreto che dispone il giudizio immediato.
Il pubblico ministero se dissente deve enunciarne i motivi.
Inoltre se la struttura del procedimento penale lo consente l'imputato che si è visto rigettare la richiesta di patteggiamento - poiché mancava l'assenso del Pm o perché il giudice non ha accolto la sua richiesta - può ripresentarla al giudice del dibattimento prima della dichiarazione di apertura e questi può accettarla se ritiene ingiustificato il dissenso del Pubblico ministero o il rigetto da parte del giudice. In tal caso però l'ufficio del pubblico ministero può proporre appello (in deroga alla disciplina generale che invece dispone l'inappellabilità di questa sentenza). Non solo: il giudice può pronunciare ugualmente sentenza che applica la pena richiesta anche alla chiusura del dibattimento o nel giudizio d'impugnazione se ritiene congrua la pena chiesta dall'imputato e ingiustificato il dissenso del Pm o il rigetto del giudice sempre che l'imputato la abbia ripresentata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento. Anche in tale caso l'ufficio del Pm potrà proporre appello se questi era dissenziente.
L'imputato può chiedere l'applicazione di pena anche nel corso del dibattimento solo se il Pubblico ministero procede alla contestazione di un fatto diverso da quello indicato nel decreto che dispone il giudizio se risulta da elementi già in suo possesso al momento dell'esercizio dell'azione penale.
Vediamo un esempio. Tizio, incensurato e reo confesso, è imputato di furto aggravato per aver sottratto una autovettura lasciata in sosta sulla pubblica via e perciò esposta a pubblica fede. La confessione di Tizio può essere positivamente valutata in suo favore come attenuante generica e la sua condizione di incensuratezza può far prevalere questa attenuante sull'aggravante della esposizione a pubblica fede del bene oggetto di furto. Ecco come Tizio potrà chiedere al Giudice l'applicazione di una pena: "Concesse le attenuanti generiche per la confessione resa, da ritenersi prevalenti sull'aggravante contestata, Tizio chiede applicarsi la pena di mesi sei di reclusione ed euro 160 di multa, così ridotta ex art. 444 c.p.p. (fino a 1/3), la pena di mesi otto di reclusione ed euro 200 di multa, rinveniente dalla riduzione ex art. 62bis c.p. della pena base di anni uno di reclusione ed euro 300 di multa; subordina la richiesta di applicazione della pena alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena."
Vediamo cosa succede dopo. Le evenienze sono cinque: a) il p.m. non presta il consenso; b)il Giudice ritiene la pena non congrua; c) il giudice ritiene di non poter concedere il beneficio della sospensione condizionale richiesto come condizione di accesso al "patteggiamento"; d) il giudice ritiene non corretta la qualificazione giuridica del fatto reato; e) il giudice ritiene carente la prova del fatto di cui all'imputazione. Ebbene, nel primo caso (a) il giudice prende atto della mancanza del consenso del P.M., procede al giudizio e all'esito se ritiene congrua la richiesta formulata da parte dell'imputato applica la pena chiesta dall'imputato con l'istanza di patteggiamento, con tutte le conseguenze previste in caso di accoglimento del patteggiamento (esonero dalle spese, riduzione di un terzo di pena, ecc.). Nel secondo caso (b) occorre distinguere il caso della istanza proposta in sede di indagine o di udienza preliminare da quella proposta innanzi al giudice del dibattimento. Nei primi due casi il giudice raccoglie la istanza e se ritiene la pena non congrua la rigetta senza far altro; nel terzo caso, invece, rigetta e trasmette gli atti ad altro giudice per il giudizio ordinario. Il nuovo giudice non potrà pronunciarsi sulla richiesta di patteggiamento, ma deve procedere al dibattimento e se, giunto alla fine, ritiene fondata la richiesta di patteggiamento, anche sotto il profilo della congruità della pena, concluderà il giudizio applicando la pena chiesta dalle parti, con tutte le conseguenze (legali) che ne derivano in termini di spesa, benefici ed altro.
Si è detto che la parte può condizionare l'accoglimento della istanza di patteggiamento alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. In questo caso il consenso del P.M. deve riguardare espressamente anche tale richiesta. Ove il giudice decidesse di non potere concedere il beneficio non potrà accogliere la istanza solo per la applicazione della pena, ma dovrà rigettarla integralmente.
Quanto, poi, alla pronuncia sulla eventuale domanda civile della persona offesa e/o danneggiata (parte civile) il giudice non pronuncia sull'an, ma si limita alla sola liquidazione delle spese di costituzione (fatta eccezione nel caso del patteggiamento richiesto nel corso delle indagini preliminari, considerato (a) che la sentenza di patteggiamento, per quanto equivalga a sentenza di condanna, non è una sentenza di condanna (b) la richiesta di patteggiamento non equivale a confessione di una responsabilità penale e (c) che la costituzione della parte civile può aver luogo per la prima volta solo nella fase del giudizio, cioè all'udienza preliminare, ove essa è prevista).
Fra le altre eventualità abbiamo visto che vi è anche quella del giudice che ritiene non corretta la qualificazione giuridica del reato, così come contestato dal P.M.. Ebbene, poiché non è consentita la modifica negoziale della qualificazione giuridica del fatto (c.d. patteggiamento sulla imputazione, possibile nel sistema anglo-americano), il giudice se ritiene sbagliata la imputazione deve rigettare l'istanza di patteggiamento.
Quanto - infine - al regime delle impugnazioni, come già detto, la sentenza di applicazione della pena non è appellabile, ma ricorribile solo per Cassazione.

Problemi di natura costituzionale

Come abbiamo visto innanzi potrebbe anche accadere che le parti chiedano una pena in applicazione pur difettando la prova della responsabilità dell'imputato. C'è chi vi ha scorto un profilo di illegittimità costituzionale dimenticando che esiste una norma cerniera nel sistema processuale penale rappresentata dall'art. 129 c.p.p., secondo cui il giudice "in ogni stato e grado del processo,quando riconosce che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità lo dichiara d'ufficio con sentenza." Tale norma impone al giudice di affermare - allo stato degli atti - l'innocenza dell'imputato addirittura anche difronte a cause concorrenti di estinzione del reato (comma secondo cit. art.). Poiché l'istanza di patteggiamento deve riguardare tutte le imputazioni formulate dal P.M. è evidente che nel caso in cui il giudice dovessere ritenere non sussistente la responsabilità penale in ordine ad uno dei fatti contestati, fermo restando l'obbligo di declaratoria immediata ex art. 129 c.p.p., non potrà modificare l'accordo, ma dovrà limitarsi a rigettare la richiesta rimettendo (se la richiesta è formulata in fase di indagine preliminare) gli atti al P.M., ovvero (nel caso di procedimento giunto ad una fase successiva a quella dell'indagine preliminare) procedere al giudizio.
Le questioni di costituzionalità sorte intorno all'istituto del patteggiamento sono: a) quelle relative alle incompatibilità del giudice ex art. 34 c.p.p. nel decidere procedimenti connessi, determinata dalla pronuncia di una sentenza di patteggiamento nei confronti di alcuno degli imputati; b) quelle relative alla mancata previsione della condanna alle spese civili (la Corte Costituzionale con sentenza 443 del 1990 ha dichiarato la illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui estende anche alle spese della parte civile l'esclusione dell'onere di pagamento delle spese processuali).

Il "concordato" nel giudizio di appello
Sempre ispirato al principio di celerità e speditezza dei giudizi e di economia processuale, il legislatore del 1989 individuò un meccanismo destinato ad assicurare la accelerazione della definizione della fase della impugnazione e così stabilì che con rito camerale (art. 124 c.p.p.), invece che in pubblica udienza, venissero trattati gli appelli aventi ad oggetto concessione o rivalutazione del bilanciamento di circostanze attenuanti comuni o generiche e di altri benefici in favore del condannato, nonché quelli nei quali le parti si trovassero d'accordo su alcuni motivi, rinunciando ad altri eventuali. Dubbi di costituzionalità vennero sollevati da più giudici in relazione alla conformità della norma alla Legge delega. Tali dubbi si trasformarono in certezza di incostituzionalità dalla Corte con la sent. 143/1990. Sentenza destinata, cuomunque, ad essere travolta dalla novella del 1999.
Tenendo presenti infatti anche le conclusioni alle quali era giunta la Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 143, dichiarativa della illegittimità della norma nella parte in cui prevedeva che nel patto negoziale potessero rientrare anche circostanze relative all' accertamento della responsabilità penale, argomentando con riferimento alla esigenza di escludere il ricorso alla procedura camerale nei casi in cui si dovesse discutere sull'an della responsabilità penale dell'imputato, il novellatore del 1999 (L. 19 gennaio 1999 n. 14) ha ricondotto ad unità le ipotesi del vecchio "concordato sulla pena" e di quello "sui motivi", escludendo ogni forma di corredo premiale (ciò che distingue questi casi dal c.d. "patteggiamento").

Oggi - dunque - alle parti appellanti (imputato, p.m., parte civile, responsabile civile) è consentito accordarsi sui motivi della impugnazione, intesi in senso lato, e di indicare l'entità della pena sulla quale essi sono d'accordo nel caso in cui l'accoglimento di essi costringa alla rideterminazione della sanzione.

Tale accordo, però, non vincola il Giudice, che può decidere in modo difforme dal contenuto di esso; in questo caso ordina la citazione a comparire al dibattimento, con conseguente perdita di effetto della richiesta e della rinuncia, che sono comunque sempre riproponibili nel dibattimento.